IL CONCETTO DI POVERTA' NEL MONDO OCCIDENTALE

 

 

 

 

 aprile 2005

 

Vorrei soffermarmi a riflettere sul concetto di povertà.

 

Per un africano di uno sperduto villaggio o per un indiano che vive in una capanna in riva al fiume, essere povero ha un preciso significato: soffrire di fame e di stenti.

Per un londinese essere povero significa non potersi permettere un paio di scarpe di pelle e per un italiano essere povero significa non poter andare in vacanza.

Un bambino che, alla ripresa scolastica, si troverà ad affrontare il tema di come ha trascorso le vacanze e che debba rispondere che non è andato al mare come tutti gli altri bambini, beh egli si sentirà povero, anche se non soffre la fame.

 

Insomma, il concetto di povertà è universale, ma il suo valore è relativo.

Per quell’africano dello sperduto villaggio, il londinese che, pur non potendo permettersi le scarpe di pelle, mangia tre volte al giorno ed ha una casa, è ritenuto meno povero e più fortunato.

 

La povertà è quindi una variabile sociale e culturale.

Nel mondo occidentale, una persona è povera se non risponde agli standard determinati dalla società in cui vive; se la maggioranza delle persone possiede – ad esempio – un lettore DVD, chi non ce l’ha finirà per sentirsi escluso dalle conversazioni sulle serate cinematografiche in salotto e, se non ha la possibilità di acquistarlo perché ha altre priorità, finirà per sentirsi povero, non perché lo sia nel senso universale del termine, ma perché lo diventa per la società in cui vive.

 

Più una società si affranca dai bisogni materiali come cibo, casa e vestiario, più il significato di povertà si sposta su livelli secondari.

Un ricco, di conseguenza, si sentirà povero nei confronti di un altro ricco che possiede una casa al mare, una in montagna ed una al lago se a lui manca quella al lago e non se la può permettere. Ciò non toglie che quello rimane sempre un ricco agli occhi di una persona che ha una sola casa dove vivere.

 

Povertà e ricchezza sono, dunque, concetti che assumono valenze diverse a seconda del luogo e della società.

 

Una società consumistica, poi, complica le cose perché, creando con la pubblicità bisogni superflui, genera automaticamente livelli di povertà che si portano dietro livelli di stress nella corsa al loro superamento e depressioni per le difficoltà di percorso.

 

Io credo che, per non farci travolgere da questi meccanismi, sia necessario - ogni tanto - allargare lo sguardo oltremare verso quell’africano che vive in uno sperduto villaggio vestito di due stracci e verso quell’indiano che vive in una capanna dove la sola acqua è quella sporca del fiume. 

 

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