LAVORARE STANCA

 

 

Lavorare stanca. Su quest’affermazione, sono sicura, siamo tutti d’accordo.

Ora affrontiamo un’altra questione: il lavoro è un privilegio concesso dalla sorte o una dolorosa necessità cui non si sfugge?

Viste le aspirazioni di molti a diventar ricchi con sei numeri più uno o degli 1X2 azzeccati, credo che la vostra risposta sia – senza pensarci – la seconda e, quel "..non si sfugge", lo vorreste cambiare in un "…spero si possa sfuggire".

Il lavoro, a qualunque livello esso sia, è fonte di stress per le scadenze, i tempi, le responsabilità, il dover rispondere a qualcuno che ci comanda, il non poter fare quel ci pare.

Anche il direttore generale di un’azienda è comandato: dagli azionisti; anche il libero professionista è comandato: dagli impegni; anche il piccolo artigiano è comandato: dai Clienti; anche il giocatore famoso è comandato: dai procuratori e dagli sponsor.

Tutti i lavoratori, anche ai livelli più alti, sono comandati da qualcuno!

State dicendo che, almeno loro, non prendono solo un milione e mezzo al mese? Certo, ma loro sono legati alla loro attività molto più tempo di quanto lo sia un operaio od un impiegato.

Certo, per chi lavora alla catena di montaggio, la giornata in fabbrica è rigidamente scandita. Se devi fare pipì c’è la S.B.F. (sosta bisogni fisiologici): 12 minuti al mattino e 12 minuti al pomeriggio quando la linea è ferma. Non è un bel vivere!!

Inoltre, l’idea di solidarietà stà scemando, si fa fatica a tenere salvi certi valori collettivi contro l’individualismo e l’egoismo e la formula "uniti si vince" non fa più presa nelle nuove generazioni.

Perché? Il maggior benessere ha aperto la strada alla ricerca di status symbol (né ricco, né povero ma qualcuno grazie al possesso di un telefonino, di una bella macchina, ecc. – oggi chi non ha un telefonino è …nessuno -). I diritti dei lavoratori conquistati dai nostri nonni e dai nostri padri sono un dato di fatto acquisito per molti e ciò ha abbassato la soglia di sorveglianza a tal punto che, se non stiamo attenti, questi diritti possono venire calpestati e diventare solo un ricordo.

Pensiamo solo all’uso della flessibilità e del lavoro a tempo determinato. Molte aziende assumono a tempo determinato ed, alla scadenza, rinnovano lo stesso contratto – se gli pare – sempre a tempo determinato e così fanno anche alla successiva scandenza; il lavoratore, con questi contratti, è in prova perenne, non può chiedere miglorie salariali e risponderà sempre positivamente a richieste di straordinari e flessibilità, per paura di perdere il posto. Che bellezza per i nostri moderni imprenditori!

Insomma, la flessibilità ed il tempo determinato sono utili per favorire le assunzioni solo se l’uso è regolato.

I diritti e la soddisfazione dei bisogni, soprattutto nel mondo del lavoro, non sono mai un dato acquisito e scontato, occorre tenerli vivi e proteggerli, consapevoli delle lotte e del sangue versato per la loro conquista.

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