LA SCUOLA DI POCHI

 

Aprile 2006

 

La riforma Moratti ha messo in discussione ciò che dovrebbe essere la scuola: un luogo dove il sapere e la conoscenza sono a disposizione di tutti, ricchi e poveri, belli e brutti.

 

Quando si sente parlare di test d’accesso alle iscrizioni nelle scuole medie superiori, la prima cosa che mi viene in mente è che si vuole favorire la scuola privata e, quindi, fare differenze di classe; dico questo perché, fare una selezione in un momento della vita di un ragazzo in cui la formazione e le inclinazioni personali sono ancora – spesso - acerbe, significa – da una parte - creare frustrazioni e – dall’altra - favorire il ricco (che può permettersi l’alternativa della scuola privata) rispetto al povero.

Dico di più, ci sono scuole dove, invece dei test d’ingresso, si sono inventati il sorteggio, per decidere quali studenti iscrivere alle prime classi, visto che per tutti non c’è posto.

Vi rendete conto, sorteggiano il destino scolastico di ragazzi che saranno gli uomini di domani!

 

Tutto nasce dalla rivoluzione Moratti che disegna otto licei: scientifico, classico, linguistico, delle scienze umane, artistico, economico, tecnologico e musicale. In questi confluiscono sia i licei tradizionali (scientifico, artistico, classico e linguistico) sia gli istituti tecnici.

Questi accorpamenti generano classi troppo numerose che determinano un surplus di studenti; a ciò si aggiungono i problemi d’organico e la mancanza di risorse, per completare un quadro alquanto drammatico della scuola italiana.

 

Io sono fermamente convinta che la scuola, fino all’università, debba essere libera, gratuita ed aperta a tutti; è un preciso dovere dello Stato e della società preoccuparsi di formare culturalmente (e professionalmente) i giovani, che saranno gli adulti di domani.

 

Le risorse per i laboratori didattici e l’acquisto d’attrezzature sono diminuite, nel 2006 rispetto all’anno precedente, del 38%. Gli istituti tecnici sono nella condizione di abbandonare le sperimentazioni per mancanza di strumenti o, perché quelli a disposizione, sono talmente vecchi da essere inutilizzabili. Non c’è modo di acquistarne di nuovi, mancando i soldi, allora rimane solo la speranza di ricevere qualche donazione.

Tutto ciò ritengo sia molto grave perché la pratica è il necessario completamento della teoria e solo la sperimentazione è in grado di costruire in maniera stabile un concetto appreso sui libri.

 

Cosa ci aspettiamo da questi giovani quando entreranno nel mondo del lavoro?

Macchine passive o persone in grado di distinguere il grano dalla paglia?!?

 

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