Aprile 2005
Lo
studio degli effetti della marijuana ha portato alla scoperta degli endocannabinoidi, i cannabinoidi
endogeni, cioè prodotti dall’organismo.
Le
ricerche hanno, infatti, svelato l’esistenza di specifici recettori, dislocati
in diverse parti del cervello, che hanno innescato negli studiosi il dubbio che
tali recettori non fossero lì per una pianta, ma per un neurotrasmettitore d’analoga
funzione.
Gli
studi successivi hanno così svelato la storia, ancora incompleta, degli
endocannabinoidi.
Gli
endocannabinoidi vengono prodotti in presenza di un surplus bio-chimico
all’interno dei neuroni (le cellule del cervello).
Sappiamo,
inoltre, che gli endocannabinoidi non vengono prodotti quando i neuroni si
attivano una singola volta, ma solo quando scaricano cinque o addirittura dieci
volte.
Questo
fa intuire che gli endocannabinoidi intervengono in situazioni d’emergenza,
con funzioni – evidentemente – di salvaguardia e protezione, di sopravvivenza
psichica.
I
risultati indicano che gli endocannabinoidi sono importanti nell’estinzione
delle emozioni negative e del dolore, innescati dal ricordo d’esperienze
passate.
Le
prove di laboratorio hanno, infatti, mostrato che l’asportazione dei recettori
preposti, mantiene la paura associata ad un suono anche quando dopo quel suono
non succede qualcosa di negativo; ciò significa che gli endocannabinoidi
hanno
un ruolo importante nella riduzione dell’ansia.
Un’implicazione
di queste scoperte è che un numero anormalmente basso di recettori dei
cannabinoidi oppure un difetto nel rilascio dei cannabinoidi endogeni siano
coinvolti in patologie come la sindrome postraumatica da stress o le fobie o in
certe forme di dolore cronico.
Persone
particolarmente ansiose potrebbero avere problemi nella produzione degli
endocannabinoidi.
La
sintesi ed il rilascio degli endocannabinoidi è, inoltre, innescata da altri neurotrasmettitori,
protagonisti nei sistemi di ricompensa del cervello, come la dopamina,
l’acetilcolina, il glutammato.
Queste ricerche ed i conseguenti
risultati possono aprire la strada a nuovi farmaci e terapie per la cura dei
disturbi dell’ansia e del dolore cronico.
Le
strade che si possono aprire vanno dalla messa a punto di farmaci che intervengono
sulla frequenza di scarica e dunque di rilascio degli endocannabinoidi, a
farmaci che ne impediscano il degradamento dopo il rilascio, in modo da
prolungarne gli effetti ansiolitici; in alternativa, anziché puntare
direttamente sul sistema degli endocannabinoidi si potrebbero concepire farmaci
che influiscano su quei neurotrasmettitori tradizionali coinvolti nel rilascio
dei cannabinoidi endogeni.
Com’è
affascinante la ricerca scientifica!!!!!!
Scrivi
a: