I CREDITI AMBIENTALI 

 

 

Gennaio 2005

 

Il Protocollo di Kyoto entrerà in vigore dal prossimo 16 febbraio (2005).

Trentanove paesi industrializzati, fra cui l’Italia ma esclusi gli USA (!!), si sono impegnati a tagliare complessivamente del 5 % entro il 2008-2012 le proprie emissioni di gas accusati di surriscaldare la Terra.

L’impegno è importante e dimostra sensibilità nei confronti della sopravvivenza del Pianeta e, con esso, del futuro dei suoi abitanti ma, soprattutto, dimostra che il problema è serio.

Parliamo d’emissioni d’anidride carbonica (Co2), inquinanti l’atmosfera ed il suo ecosistema in cui tutti noi viviamo.

 

E’ stato pensato un sistema d’incentivi globalizzato.

Per evitare sanzioni, i paesi aderenti al protocollo e le loro aziende hanno due strade: investire in tecnologie pulite o comprare permessi d’emissione da chi è in grado di venderli.

E’ in grado di vendere permessi chi ha crediti ottenuti grazie ad interventi virtuosi di tutela ambientale, all’interno del proprio Paese oppure presso Paesi in via di sviluppo, dove le attività  hanno un costo inferiore perché in fase iniziale.

Questi crediti danno ad un Paese un duplice vantaggio: preservare l’ambiente e poter rientrare, almeno in parte, dei costi relativi all’investimento attraverso la vendita dei diritti. Il Paese che non vuole investire, potrà evitare le sanzioni comprando i diritti da chi li possiede, sostenendo – comunque – un costo; questo Paese sarà così costretto a valutare un intervento strutturale per ammortizzare nel tempo i costi ambientali e diventare, a sua volta, creditore.

 

Il meccanismo non fa una piega a patto che il prezzo dei “diritti ambientali” sia tale da scoraggiare le emissioni inquinanti ed incoraggiare l’investimento negli impianti e che ci sia un organismo indipendente di controllo.

 

Le aziende dovranno, comunque, dotarsi – al minimo – d’impianti per la misurazione delle emissioni ed i processi relativi dovranno essere certificati da società accreditate come Sgs Italia, Det Norske Veritas, Tuv Industrie e Japan Quality Assurance.

Queste società si occupano di emission trading ossia di trovare il posto più efficiente e meno costoso per ridurre le emissioni.

 

Si calcola che il business del risanamento dell’atmosfera muoverà dai 7 ai 15 miliardi di euro l’anno che, molto probabilmente, si riverseranno – almeno in parte – sul costo dei prodotti e/o servizi; io credo che, comunque, questo sia un rischio accettabile e calcolato in quanto diversamente il prezzo da pagare sarebbe, nel tempo, molto, molto più alto.

Occorrerà, tuttavia, che vengano effettuati dei controlli affinché le aziende non strumentalizzino questi interventi per aumentare senza motivo i loro prezzi; l’introduzione dell’euro ed il relativo, ingiustificato aumento dei prezzi dovrebbe aver insegnato qualcosa ai nostri governanti!!!!!!!!

 

In Italia sono coinvolti oltre un migliaio d’operatori che, per la loro attività, emettono nell’atmosfera anidride carbonica, fra cui Enel, Eni, Italcementi, Riva, Lucchini, Burgo tanto per citare i più noti. L’Eni ha già piani di recupero in Libia e l’Enel ammodernerà impianti in Russia e Slovacchia cosicché potrà inquinare in Italia, ma pareggerà i conti planetari fuori confine; in fondo, si tratta di ridurre il buco dell’ozono che stà sopra tutti noi abitanti del Pianeta Terra, italiani e non.

 

Sui controlli ritengo ci siano maglie un po’ larghe, tuttavia voglio essere fiduciosa, ma attenta agli  sviluppi.

 

Scrivi a:

malaguti.cinzia@iol.it

 

HOME PAGE