maggio 2001

CHINATOWN IN ITALIA

 

 

Laboratori, botteghe, pelletterie in scantinati o garage. Immigrati che si ritrovano in comunità, vicini gli uni agli altri nelle attività e nella vita, per sentirsi meno soli in un paese straniero, per sentirsi meno lontani da casa.

Parlo dei cinesi, non due qua e due là, due su e due giù, ma accumulati in aree del paese: in determinati quartieri di Prato, di Firenze, di Milano (Sarpi-Cagnola), ecc..

Cinesi accusati, frettolosamente, di schiavismo ma in realtà sfruttati dai contoterzisti italiani perché lavorano molto e costano poco.

E’ gente che ha voglia di lavorare, è gente che aspira ad aprire una propria attività, è gente che vuole fare fortuna onestamente.

Vengono in Italia aiutati da parenti, per sdebitarsi lavorano, inizialmente, presso le loro piccole imprese in cambio di vitto e alloggio. Poi, un po’ d’iniziativa e la rete delle imprese familiari si allarga; saranno così felici anche le grandi griffe della moda che, spendendo poco per la manodopera, possono mantenere il prestigioso e remunerativo marchio "made in Italy".

Per il biglietto dalla Cina ci vogliono 31 o 32 milioni di lire, una cifra enorme in quel paese; aiutati dai parenti, arrivano in Italia e lavorano anche 14 ore al giorno, quasi gratis, per ripagarli.

Nessuno li obbliga ed il sacrificio è il prezzo che hanno deciso di pagare per una nuova vita.

Credo che questi cinesi, che arrivano in Italia con questo spirito e con questi obiettivi, non possono essere preda della malavita e rappresentano una risorsa per il paese.

Certi slogam generalizzati contro gli immigrati, come fonte di delinquenza, non sono solo gratuiti ma sono anche falsi, i cinesi e quelli come loro sono solo un esempio.

 

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