quando il BENESSERE dei lavoratori va a braccetto con il PROFITTO delle imprese

 

Giugno 2006

 

Società quali Dow Chemical, Kimberly-Clark, Johnson & Johnson, Pitney-Bowes, Prudential Financial, Procter & Gamble, Volvo-Mack Truck, stanno sperimentando vari programmi di prevenzione e promozione sanitaria per i propri dipendenti.

Già, perché hanno capito che il benessere fisico e psichico del lavoratore va a braccetto con produttività e costo del lavoro.

 

Un dipendente sereno ed in buona salute riduce il costo del lavoro perché fa meno ore di malattia, il cui costo è a carico del datore di lavoro (per gli impiegati), ed è più produttivo, quando lavora. Tutto questo si traduce per l’azienda in un maggiore rendimento dell’investimento sulla risorsa umana, cioè in minore costo del lavoro.

 

Negli Stati Uniti, il cattivo stato di salute dei lavoratori incide sulla mancata produttività per ben 260 miliardi di dollari l’anno – o il 2,4% del PIL (prodotto interno lordo).

In una ricerca svolta su 26 paesi ad alto reddito, alcuni ricercatori hanno rilevato che una semplice riduzione del 10 per cento delle malattie cardiovascolari – ad esempio – può essere associata ad un aumento dell’1% del tasso di crescita pro-capite del Pil.

 

Alla base del cattivo stato di salute dei lavoratori occidentali ci sono cattive abitudini alimentari, il fumo, la sedentarietà, lo stress; tutti fattori di rischio che possono dare origine a  disturbi o malattie varie, produttrici d’assenteismo e calo di produttività lavorativa.

Non dobbiamo stupirci, pertanto, se alcune aziende si pongono il problema, perché non lo fanno per magnanimità, bensì per un tornaconto, ma – in questo caso – ben venga!

 

Cosa possono fare le aziende?

Al fine di migliorare la salute e la qualità di vita dei propri dipendenti, le aziende si possono organizzare installando palestre all’interno dei propri edifici, pagando dei personal trainer (quelli che insegnano a gestire lo stress!), fornendo informazioni nutrizionali e proponendo cibi più sani nelle mense, offrendo servizi di consulenza psicologica o pagando una quota d’iscrizione ad un club, ecc..

Un sistema di sgravi fiscali alle aziende che investono nel benessere potrebbe essere utile per incentivarle ad occuparsi anche della salute dei propri dipendenti. I governi avrebbero un tornaconto tradotto in minori spese a carico del servizio sanitario.

Una nuova attività si potrebbe, inoltre, aprire all’orizzonte: quella dello specialista della salute e del benessere.

 

Spero di poter conoscere presto il nome anche di qualche azienda italiana lungimirante.

 

Scrivi a:

malaguti.cinzia@iol.it

 

HOME PAGE