Come Rimini dimentica.
1993, due "Tama" sul "Ponte"

Trecento anni fa, il 3 gennaio 1693 nasceva a Rimini un personaggio che avrebbe caratterizzato la vita culturale della città e dell'Italia. Si chiamava Giovanni Bianchi. Per diventare famoso si fece ribattezzare Ianus Plancus. Grazie all'esaltazione che ne fece lo storico Carlo Tonini, tutti ancor oggi ne parlano ricordandone soltanto i pregi. È vero che lo stesso Tonini ammise a mezza voce che Planco ebbe un'"indole sarcastica e battagliera", ma questo giudizio non rispecchia in pieno il cattivo carattere che costò al dottor Bianchi la permanenza all'università di Siena.
Il medico riminese fu sempre un bastian contrario per vocazione, un attaccabrighe per diletto, ed un censore petulante delle altrui opinioni. Appena qualcuno scriveva qualcosa, lui pubblicava un opuscolo (mai firmando con il proprio nome), per censurare, criticare, deridere. Se fosse vissuto nella nostra città degli anni Trenta, sarebbe finito immancabilmente nel repertorio felliniano di quella mitologia ossessiva e retorica che si sintetizza con la parola "riminesità".
La quale esiste purtroppo ancora. L'ultimo opuscolo dell'Apt ("Conoscere Rimini"), è una conferma di quella mentalità che soltanto pochi non vogliono abbandonare, quando parla ai turisti di persone che hanno una loro “fama” limitata ad un borgo o ad un gruppo di amici.
Sergio Zavoli, che con un romanzo ha costruito il suo monumento alla memoria degli anni Trenta, oggi rimedita su quei giorni, e rovescia addosso a Rimini affettuose critiche. In una trasmissione di Telesanmarino ha detto: "Rimini non onora il cittadino che si fa onore. È dissacrante, disincantata, ironica. Non concede più di tanto, è scettica. La sua diversità risale al tempo dell'inverno vissuto nei caffè, che è il suo tempo, non l'estate: e noi d'inverno discutevamo se si dovesse dire “tela gommata” o “gomma telata”. Rimini gode nell'immaginare, nell'esagerare".Non è un ritratto consolotario, ma un'analisi del negativo che invade la città, con il suo voler essere contro tutto e tutti, semplicemente per quel gusto (planchiano) di finta furbizia che porta lo "zio pataca" di "Amarcord" a prevedere che la neve quell'inverno non si sarebbe “attaccata”. Era il ’29, l'anno del nevone.
Oggi questa "riminesità" dei bastian contrari per professione, non si esprime più soltanto nei caffè d'inverno, ma sale alle ribalte televisive nazionali. Così, certe stramberie che baristi (abituati a sentirle), perdonavano un tempo con una battuta, adesso offrono all'Italia un ritratto che non è il nostro. E nel teleschermo a colori, predomina il rossore della nostra vergogna.
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Riprendiamo il discorso dalla precedente puntata, partendo da quell'affermazione di Sergio Zavoli, secondo cui "Rimini non onora il cittadino che si fa onore". Ci è capitato di parlarne con un vecchio amico che vive e lavora a Milano, l'arch. Annio Maria Matteini, con cui abbiamo amaramente constatato come nulla Rimini faccia per ricordare chi alla nostra città ha dato tanto. Suo padre, lo scrittore Nevio Matteini, è scomparso il 16 gennaio 1992: ad un anno di distanza, la Cultura riminese sembra averlo dimenticato. E con il suo, potremmo citare altri nomi, tra cui quelli del prof. Carlo Alberto Balducci che ci lasciò nell'estate del ’91, o di Luigi Pasquini, Davide Minghini, Flavio Lombardini, Oreste Cavallari, morti da più tempo, e quindi testimoni ancora più accusatori dell'andazzo. È crudele che la città del padre di "Amarcord" debba lamentare quell'invecchiamento aterosclerotico che si sostanzia tra le altre cose nella dimenticanza.
Ma così va il mondo, ed a nulla servono le nostre lamentazioni. Le quali non possono essere smentite da una segnalazione che, dopo la pubblicazione di quella frase di Zavoli, ci è giunta, relativa alle frequenti e pubbliche premiazioni di atleti riminesi, ricevuti in pompa magna ed omaggiati con medaglie o trofei. Appartenendo alla fitta schiera di chi conobbe solo la gloria di placide passeggiate in bicicletta senza capacità arrampicatorie, senza eccessi di velocità e senza pretesa alcuna d'esibizione atletica, cui madre natura ci fece negati, lodiamo chi realizza quel grande fatto che è lo sport. Ma non di solo sport vive una città, nonostante il pallonarismo domenicale, divenuto mito e rito di otto milioni di mezzecalzette nazionali. Come rimediare, dunque?
L'assessore all'urbanistica Sergio Gambini ha esposto la sua ricetta per risolvere i mali della città: far ritornare tra noi la suora nana che in "Amarcord" (…e due), doma lo zio matto con un perentorio: "Nu fa e pataca". Ecco una di quelle notizie capaci di infonderci fiducia, come queste altre: Piero Leoni avverte che quella attuale è "una Rimini da lavori in corso". O fuori corso? Per una città diventata troppo rumorosa, egli invoca "un po' di silenzio". La prossima estate la Riviera non sarà più presente "nei contenitori televisivi". Ci si è finalmente accorti che il contenuto del turismo è altrove?
Il "Carlino" suggerisce di leggere la città con un "Ah, ciò", sintesi di autoironia: "Si dice così quando succede una cosa “che è così”".Resta però il problema di distinguere le cose "così", da quelle "così così", come gli slogan che vogliono sostituire a quella "rovinosa" una "Rimini luminosa": sembrano pubblicità dell'Enel.
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Pagina 1810.
Creata
03.01.2013.
Aggiornata
03.01.2013, 10:35