La storia della climatizzazione ha inizio nei primi
anni del ‘900 con i grandi sistemi di
trattamento dell’aria, gli IMPIANTI A TUTT’ARIA. Il cuore di questi impianti è l’Unità di Trattamento Aria
(U.T.A), un grosso “scatolone” di lamiera solitamente installato sul tetto
dell’edificio per via del notevole ingombro e dell’aspetto tutt’altro che
attraente. L’U.T.A aspira aria dall’esterno (aria di rinnovo), la miscela con
aria prelevata dagli ambienti climatizzati (aria di ricircolo), la filtra, ne
modifica temperatura e umidità e infine la ridistribuisce negli ambienti
attraverso una rete di canali e bocchette di distribuzione.
Per poter
funzionare l’UTA ha bisogno di un certo numero di componenti. Alcuni di questi
componenti sono contenuti nella stessa UTA (serrande, batterie di scambio
termico, filtri, umidificatore, ventilatori centrifughi), altri solitamente
sono situati all’esterno. I principali componenti esterni all’UTA sono i dispositivi che forniscono acqua fredda
(refrigeratore d’acqua o chiller) e calda (centrale termica) alle
batterie di scambio termico e i canali di ripresa e di distribuzione
dell’aria con i relativi accessori
(serrande, griglie di ripresa, bocchette, anemostati ecc.)
Gli impianti a tutt’aria rappresentano a tutt’oggi
la tipologia più diffusa nel Nord America, dove gli edifici sono tutti di
recente costruzione, non esistono limiti di cubatura e di dimensioni e il tipo
di costruzione (struttura portante in acciaio e pareti leggere) permette di
utilizzare canali di distribuzione aria di grandi dimensioni e facilita
eventuali modifiche degli impianti.
Nei Paesi europei e in particolare in Italia si
diffonde invece una tecnologia “ibrida” denominata MISTA ACQUA-ARIA. Negli impianti misti acqua-aria l’UTA tratta
esclusivamente l’aria di rinnovo (esterna) mentre l’aria di ricircolo viene
riscaldata o raffrescata e deumidificata da terminali alimentati da acqua calda
o fredda installati direttamente in ambiente: si tratta dei ben noti ventilconvettori
o fan coils. Nelle soluzioni impiantistiche più economiche l’UTA
viene addirittura eliminata e si installano solo fan-coils negli
ambienti (IMPIANTI A TUTT’ACQUA O IDRONICI), con l’eventuale aggiunta di
piccoli impianti di rinnovo d’aria a ventilazione forzata con recupero di
calore.
La diffusione della tecnologia mista acqua-aria e a
tutt’acqua in Europa è legata, almeno in parte, alla forte presenza di edifici
molto vecchi o antichi, spesso di interesse storico e artistico (palazzi
storici, musei ecc.). Questi edifici richiedono in genere tipologie
impiantistiche che abbiano un impatto estetico e funzionale molto ridotto sulle
strutture edilizie.
Come si può intuire da questa breve e sommaria
descrizione, gli impianti finora descritti sono sistemi in genere complessi, ingombranti, costosi,
difficili da progettare e in definitiva inadatti alle piccole applicazioni
residenziali e commerciali (case d’abitazione, negozi, studi professionali
ecc.). D’altra parte, bisogna riconoscere che un impianto a tutt’aria o misto
acqua-aria ben progettato permette un controllo molto preciso delle condizioni
termoigrometriche e si adatta perfettamente alla grande edilizia civile
(palazzi uffici, ospedali, centri commerciali, banche, scuole) e industriale.
Un bel giorno un progettista di talento ha un’idea
geniale: prende tutti i componenti indispensabili per il trattamento dell’aria
e li “impacchetta” dentro un
contenitore grande più o meno come un piccolo armadio domestico, da installare
direttamente in ambiente. Lo scopo del nostro progettista è ovviamente quello
di ridurre e semplificare al massimo il tradizionale impianto a tutt’aria,
eliminando i componenti esterni (refrigeratore d’acqua, centrale termica,
canali di distribuzione, terminali) per ottenere, alla fine, un apparecchio
completamente autonomo costituito essenzialmente da un circuito
frigorifero per raffreddare e deumidificare l’aria e da due ventilatori, uno per ricircolare l’aria dell’ambiente e
uno per espellere calore e umidità verso l’esterno.
Nasce così il “climatizzatore autonomo monoblocco”,
anche detto “ad armadio”, che ha un grandissimo successo nelle piccole e medie
applicazioni con potenze comprese tra 6000 e 45.000 frigorie/ora (uffici,
negozi, laboratori artigianali, piccole industrie) ed è a tutt’oggi ancora
utilizzato nel “condizionamento tecnologico” di centri meccanografici, CED,
sale quadri, centrali telefoniche e altri locali speciali ad elevata
dissipazione di calore. Con l’aggiunta di opportuni accessori (batteria riscaldante,
umidificatore ecc.) i climatizzatori autonomi monoblocco consentono anche il
riscaldamento invernale e il controllo
dell’umidità relativa in ambiente.
Per quanto compatto, relativamente facile da
installare e meno costoso di un impianto “tradizionale”, il condizionatore ad
armadio rimane grande come un armadio e quindi ancora troppo ingombrante per le
case d’abitazione dei comuni mortali. Così progettisti e costruttori iniziano a produrre apparecchi
autonomi sempre più piccoli e compatti, adatti per essere fissati a finestre o muri interni oppure montati su
carrelli a rotelle trasferibili. Nascono così i climatizzatori autonomi “da
finestra” fissi e trasferibili, tuttora molto diffusi negli USA nelle
versioni fisse e da noi periodicamente riproposti da vari costruttori sotto
forma di pinguini e altri animaletti a rotelle spacciati come “altamente
tecnologici” e “innovativi” ma in sostanza del tutto simili, sia nei pregi che
nei difetti, ai loro antichi antenati.
Passata l’iniziale euforia alimentata da una
rapidissima espansione del mercato della climatizzazione domestica, progettisti
e costruttori ben presto si rendono conto che i piccoli climatizzatori
monobolocco “da finestra”, fissi o trasferibili che siano, presentano grandi
limiti superabili solo attraverso soluzioni tecnologiche radicalmente nuove. I
monoblocco sono infatti rumorosi e si possono installare, nella maggior parte
dei casi, solo in corrispondenza di finestre, a meno che non si vogliano
praticare grossi fori nei muri esterni o, peggio, accontentarsi di brutti e
scomodi tubi volanti che attraversano porte-finestre lasciate mezze aperte. Per
non parlare del fatto che la tanto decantata possibilità di trasferire i
monoblocco a rotelle da un locale all’altro si rivela in realtà un’operazione
lenta, faticosa e complicata da cavi volanti, tubi, fori e altre scomodità.
Tutti questi inconvenienti vengono spazzati via
dall’avvento del climatizzatore split.
Il principio dello split è quello di separare dal
resto dell’impianto i componenti più ingombranti e rumorosi, cioè il
compressore e il condensatore, e “segregarli” in un contenitore di lamiera o di
plastica da installare all’esterno dell’abitazione (su una parete, su un
terrazzo, sul tetto o a terra), collegato alla sezione interna attraverso due
tubi di rame per il refrigerante e un cavo elettrico per l’alimentazione.
Questa soluzione risolve i problemi di rumorosità, ingombro e scarso rendimento
tipici dei monoblocco e in più permette una grande libertà di scelta e di
posizionamento delle unità interne, che si possono installare a parete, a
terra, a soffitto e nei controsoffitti.
Grazie a questi vantaggi gli split si diffondono
velocemente e oggi rappresentano la tipologia di gran lunga più diffusa nelle
abitazioni e, più in generale, nelle applicazioni domestiche e commerciali di
piccola e media potenza. Si può senz’altro affermare che il climatizzatore
split è ormai un vero e proprio elettrodomestico, facile da usare, economico e
affidabile al pari di una TV, di un HI-FI o di un frigorifero domestico. La
regione geografica dove si osserva la massima diffusione degli impianti split è
l’Estremo Oriente e in particolare il Giappone, Paese nel quale le abitazioni
residenziali hanno dimensioni estremamente ridotte e le esigenze di comfort
ambientale prevalgono sugli aspetti estetici.