La scuola di Manchester

 

Gli esponenti della scuola di Manchester si fecero assertori di un cambiamento radicale per quanto riguarda le scienze antropologiche, proponendo un paradigma che li allontanerà progressivamente dalle vecchie concezioni relative al funzionamento delle società, viste ancora come sistemi omeostatici ed in perenne equilibrio. Il tema del cambiamento culturale e del conflitto accomunerà un'intera schiera di giovani antropologi, stimolati dalla situazione storica in cui risiedevano molti paesi africani, vittime, in quegli anni, di una politica coloniale destrutturante e conflittuale. Alcuni allievi di Malinowski avevano già puntato il loro interesse verso i problemi scaturiti dal contatto tra culture diverse, denunciando, in alcuni casi, il pericolo che correvano le società tradizionali al cospetto dell'aggressività politico-militare dei paesi europei. Lo stesso Malinowski, dopo un periodo di studio in Africa alla fine degli '30, proporrà una sua teoria del cambiamento, tentando di far coesistere il tema del mutamento con quello funzionalista. Rispetto alle piccole tribù isolate che gli antropologi avevano inizialmente scelto come oggetto privilegiato di studio, le società africane, coinvolte in rapidi processi di acculturazione forzata, potevano sicuramente stimolare un tipo di visione dinamica dei fenomeni, proponendo una particolare attenzione verso la dimensione storica dei fatti.

Max Gluckman (1911-1975), antropologo sudafricano, può essere considerato il fondatore della scuola di Manchester. Compì i suoi studi in Rodhesia e nel Sudafrica, dove tentò di analizzare le realtà sociali al fine di rintracciare importanti conferme alle sue teorie. Come Radcliffe Brown, anche Gluckman ricerca, inizialmente, i fattori in grado di garantire coesione ed equilibrio all'interno delle realtà sociali. Il distacco concettuale dal maestro avverrà proprio riguardo il tema dell'organicità delle società; al contrario di Radcliffe Brown, infatti, l'equilibrio non era da rintracciare nell'interdipendenza dei fenomeni sociali, quanto nel loro rapporto conflittuale, aprendo la porta, cosi facendo, all'analisi ed allo studio del mutamento culturale. Per Gluckman il funzionamento di una società dipendeva da due forze opposte, funzionanti all'interno di un sistema in grado di auto-regolarsi, attraverso continui fenomeni di rotture e riaggiustamenti. Ciò che caratterizzava una società erano dunque delle ricorrenti forme di instabilità, intramezzate da altrettanti periodi di equilibrio, scaturiti dal riassestamento delle contraddizioni venutesi a creare. L'idea di aggregato funzionante come un organismo vivente, al cui interno i vari fenomeni sociali funzionavano come organi predisposti al funzionamento del tutto, tendeva a lasciare spazio ad una nuova idea relativa ai gruppi umani, grazie all'utilizzo di concetti nuovi per l'antropologia, quali conflitto, tensione, contraddizione, destrutturazione, cambiamento. L'attenzione principale di Gluckman rimase tuttavia ancora rivolta verso i meccanismi in grado di spiegare l'equilibrio e la conservazione di un sistema sociale. Gli stessi livelli di opposizione da lui enunciati (conflitto, lotta, contraddizione, competizione), non facevano che riportare, una volta superati, la situazione al livello iniziale. Solamente con il termine "contraddizione", Gluckman intese la possibilità che una tensione interna potesse portare ad un cambiamento radicale della struttura sociale, mentre teorizzò per gli altri dei semplici momenti conflittuali che, una volta assorbiti da specifici meccanismi regolatori, sarebbero stati eliminati per far posto ad una nuova situazione di equilibrio. Tra i principali strumenti sociali utilizzati dai gruppi umani per sedare le tensioni interne, vi era la sfera religiosa e magica. Il rituale, in particolare, svolgeva la funzione di convoglio di energie potenzialmente destrutturanti; attraverso la ritualizzazione delle lotte, per loro natura sottoposte ad un rigido controllo, si finiva per scaricare i propri impeti di ribellione, riconfermando, al termine di quella che potremmo chiamare una "metafora sociale", le regole vigenti. Il potere di un capo, ad esempio, che poteva suscitare sentimenti di invidia da parte di alcuni membri del gruppo, finiva per essere rinsaldato proprio nel momento in cui lo si inseriva all'interno di un rituale, attraverso il suo utilizzo come sistema di convoglio di pericolose energie in grado di minacciare l'ordine esistente.

Gli allievi di Gluckman, tra i quali ricorderemo qui Victor Turner (1920-1983), diressero la loro attenzione su quello che potremmo definire come il punto principale della scuola di Manchester, ossia quell'insieme di situazioni sociali che potevano creare situazioni tali da portare ad un cambiamento radicale della struttura esistente. Turner, in particolare, studiò i conflitti che caratterizzavano le società, proponendo una visione essenzialmente dinamica dei fatti, ed allontanandosi sempre più dalle concezioni struttural-funzionaliste di Radcliffe Brown. L'interesse di Turner fu quello di decifrare il modo in cui gli individui di un gruppo erano in grado di manipolare gli apparati simbolici e normativi di una società, al fine di perseguire un vantaggio personale. Il conflitto era da considerarsi endemico, cioè intrinsecamente esistente all'interno di una società, anche se esistevano precisi meccanismi che riuscivano ad utilizzare queste tensioni ai fini dell'unità del gruppo. La principale novità di Turner rispetto al suo maestro, sarà quella di porre in primo piano gli individui in quanto tali, i loro comportamenti, le loro strategie interne, e i modi in cui era possibile manipolare il capitale simbolico di una società, cosi da provocare uno scarto tra norma e comportamento. Soprattutto quest'ultimo punto sarà ripreso da studiosi dediti al tema del cambiamento socio-culturale, tra i quali possiamo ricordare la figura di Edmund Leach (1910-1989) e Fredrik Barth (1928-).

 

 

 

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