Cultura e società

 

Nel corso della sua evoluzione biologica, che dura da almeno sei milioni di anni, l'uomo ha progressivamente colonizzato nuovi territori, adattandosi, di volta in volta, alle diverse situazioni ambientali e climatiche. Ciò è stato possibile, oltrechè da un cervello maggiormente complesso in rapporto a qualsiasi altro animale esistente, anche grazie alla cultura, che gli ha permesso di variare gli schemi comportamentali a sua disposizione, creando, sistematicamente, risposte adeguate alle pressioni provenienti dal mondo esterno. La cultura, quindi, funziona come un sistema adattivo, permettendo, ai suoi fruitori, di poter operare, quasi sempre con successo, nei differenti ambienti su cui si trova ad interagire. Ma cosa si intende per cultura? E quali sono le caratteristiche essenziali che la compongono? Di certo il problema è stato affrontato sotto tutte le angolazioni possibili, e le definizioni che ne sono seguite superano abbondantemente le cento. 

La prima formulazione sistematica di cultura la diede l'antropologo inglese Edward Burnett Tylor (1832-1917), che, nel 1871, la descrisse come

 "Quell'insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine che l'uomo acquisisce come membro di una società". 

Personalmente, ritengo valida la definizione che ne ha dato, nel 1965, un antropologo italiano, Vinigio Lorenzo Grottanelli (1912-); per lui il termine cultura equivale ad 

"Ogni attività cosciente e deliberata dell'uomo come essere razionale e come membro di una società, e l'insieme delle manifestazioni concrete ed astratte che da quell'attività derivano". 

Tentiamo di valutare la portata di questa definizione; Per Grottanelli, dunque, l'uomo è sia un individuo pensante, in grado, cioè, di mettere in pratica i frutti delle sue elaborazioni mentali, sia un essere sociale, condizione, questa, che gli deriva dalla sua "naturale" tendenza gregaria. La cultura, perciò, viene a caratterizzarsi per l'essere un'attività frutto di un pensiero di tipo volontario, e non semplice risposta ad impulsi fisiologici fissati nel codice genetico della specie Homo. Tutte le attività che consideriamo normalmente naturali, sono, in realtà, anch'esse culturalmente condizionate. Facciamo un esempio pratico: il mangiare rappresenta sicuramente il soddisfacimento di una necessità fisiologica, pena la morte di un individuo; attraverso il cibo forniamo, quotidianamente, al nostro organismo, tutte quelle sostanze di cui ha bisogno per svolgere le normali funzioni ed attività. Ciò che varia è la diversa modalità nell'espletare l'atto descritto. Si può mangiare utilizzando la forchetta, le bacchette, seduti per terra, su di una sedia. Il risultato sarà sempre il medesimo, quello che cambierà equivarrà al modo in cui le diverse società hanno trasformato un atto fisiologico in uno culturale, nel modo in cui lo hanno "pensato". La cultura avrà agito, in questo caso, come elemento plasmatore di un atto completamente naturale. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi per il numero di attività che un individuo normalmente compie nel corso della sua esistenza, questo perché la cultura di appartenenza gli ha introiettato, durante il suo periodo formativo, tutti i modelli comportamentali di cui è composta. Il processo, mediante cui una certa tradizione culturale passa da una generazione a quella successiva, prende il nome di inculturazione, mentre il processo mediante cui una società impone la propria cultura ad un'altra società, prende il nome di acculturazione. Normalmente una tradizione culturale va sempre in contro a cambiamenti più o meno radicali, al punto ché possiamo affermare, senza possibilità di essere smentiti, che il cambiamento è la condizione normale di una società nel corso della sua storia. Le situazioni in grado di modificare una cultura possono essere sia di origine interna (invenzioni, scoperte), sia esterna (diffusione di idee o di gruppi umani, provenienti da altri territori, portatori di tradizioni differenti). La possibilità che una nuova idea, o strumento, venga accettata definitivamente, e che per questo diventi parte integrante di una certa tradizione culturale, varia a seconda del modo in cui il gruppo si pone di fronte ad essa. La risposta potrà essere di rifiuto, se per esempio l'oggetto importato è già presente nel proprio strumentario, ed è considerato, inoltre, più funzionale alle proprie esigenze (chiameremo, questa, una situazione di pienezza tecnica), oppure se ne apprezzano le qualità innovatrici, e nonostante ciò, si mantengono le tradizioni già esistenti (inerzia culturale), o ancora lo si respinge perché, pur sapendo che la sua introduzione garantirebbe un miglioramento qualitativo, lo si considera non compatibile con i sistemi con i quali verrebbe ad interagire (inferiorità tecnica). Tre situazioni che ci informano di come, dietro un fenomeno di contatto tra culture portatrici di valori e tecnologie differenti, interagiscano una molteplicità di fattori che possono, alla fine, condizionare il processo decisionale riguardo la possibilità o meno di modificare delicati meccanismi socio-economici.

Nel caso in cui una società decide, al contrario, di accettare una nuova idea proveniente dall'esterno, il processo seguirà una strada differente. Per prima cosa, l'elemento, che potrà essere, ad esempio, un nuovo tipo di arco o una tecnica agricola più redditizia, soggiacerà ad un periodo di prova, nel quale si valuterà il suo eventuale adattamento ad un sistema differente da quello originale. In questa fase, si potrà assistere ad una serie di cambiamenti più o meno marcati dell'oggetto preso in esame, nella sua forma ad esempio, o nel materiale utilizzato per la sua costruzione, fino a quando, superata ogni resistenza da parte del corpo sociale, lo si accetterà come parte integrante della propria cultura. Ciò che è importante sottolineare, è che l'intero meccanismo non si dovrà valutare nei termini di una semplice aggiunta (considerare, cioè, la cultura come il risultato di ciò che era prima più ciò che è stato introdotto), ma come una modificazione strutturale dell'intera tradizione, la cui coerenza sarà garantita da precisi meccanismi regolativi interni.

 

Società

 

Quando parliamo normalmente di società, intendiamo un gruppo di individui che condivide uno stesso territorio, e interagisce attraverso la comune adesione ad una serie di norme e credenze, trasmesse da una generazione a quella successiva. Da quanto scritto, si intuisce che società e cultura sono due termini profondamente legati, in quanto non può esistere una cultura senza nessuno che, in un certo senso, la metta in pratica, cosi come non può essere definita società un insieme di individui che non condividono la medesima cultura, capace di garantire coesione e le risposte più adeguate ai fini della continuazione stessa del gruppo. Vicinanza territoriale e partecipazione ad un stessa cultura, sono i due elementi che conferiscono, ad un raggruppamento umano, la "nomina" di società. 

Il condividere lo stesso spazio geografico e la stessa visione del mondo, è normalmente la causa della nascita di ciò che chiamiamo "sentimento d'identità", che può essere descritto come l'elemento base in grado di garantire coesione tra gli individui e tra questi e il proprio territorio. Il sentimento d'identità, pur se sempre presente, cresce o decresce a seconda delle circostanze del momento. Facciamo un esempio chiarificatore: un individuo che emigra all'estero per migliorare la propria condizione di vita, cercherà, per quanto possibile, di frequentare i suoi connazionali. In questo caso il sentimento d'identità crescerà di intensità, perché ci si troverà nella condizione obbligata di doversi confrontare costantemente con lo straniero, con il diverso, con l'"altro". La reazione sarà quella di riconfermare, ad ogni occasione possibile, la propria appartenenza etnica, fino ad arrivare ad esagerare ogni atteggiamento in funzione di quel fine. L'utilizzo di simboli, che richiamino la propria appartenenza, è sicuramente il primo di questi meccanismi messi in gioco. Prendiamo, come oggetto di analisi, il quartiere italiano di New York; avremo un utilizzo enorme del tricolore italiano, simbolo principe d'identità, le tende dei bar e ristoranti avranno spesso quella decorazione, i locali assumeranno nomi caratteristici, tipo "caffè di Napoli", "ristorante italiano", "cucina piemontese", e cosi via, tutto in funzione di un richiamo costante alla propria nazione, alla propria cultura. Tuttavia, seppur collante potente, il sentimento d'identità, da solo, non riesce a garantire quella coesione indispensabile all'interno di una società. L'uomo, che come animale ha naturali tendenze gregarie, tenterà, in ogni caso, di acquisire nuovi spazi, di essere il più indipendente possibile, questo perché la società obbliga i propri membri a costrizioni più o meno accentuate, che ne limitano, di conseguenza, il campo d'azione. L'obbiettivo principale dell'integrazione e della coesione, ha fatto si che l'uomo sviluppasse, col tempo, particolari meccanismi finalizzati al mantenimento dell'ordine interno, il più efficace dei quali è stato l'organizzare la società in una serie di ambiti man mano più piccoli, tale da aumentare, e rendere più stabile, il processo di coesione, attraverso l'utilizzo di modalità aggregative funzionali ai bisogni della società. Non spaventiamoci, la questione è più semplice di quanto si pensi. Immaginiamoci un cerchio, che questo cerchio ne contenga un altro all'interno, e cosi via; avremo una serie di cerchi concentrici sempre più piccoli, che rappresenteranno i vari ambiti sociali di cui è composta una società. Il cerchio più grande, quello che contiene tutti gli altri, rappresenterà il grado di coesione maggiore, quello dell'intera nazione, mentre gli altri rappresenteranno, man mano, ambiti sempre più ristretti, quali il sesso, l'età, la classe, la professione e via dicendo. I livelli associativi funzioneranno a seconda della minaccia che si creerà di volta in volta. Nel caso di un tentativo di invasione da parte di uno stato nemico, l'aggregazione funzionerà a livello di nazione, ossia il cerchio più grande, senza distinzioni di età, sesso o professioni. Le divisioni interne non avranno importanza, perché in gioco ci sarà il grado d'integrazione maggiore. Mettiamo il caso, però, che la minaccia coinvolga solo le donne; in questo caso entrerà in funzione il secondo livello, perché, da questa minaccia, sarà esclusa, all'incirca, la metà della popolazione rappresentata dagli uomini. I livelli potranno restringersi sempre più, se la minaccia coinvolgerà solo le donne anziane, o magari le donne anziane impiegate in uno specifico ambito lavorativo.

Risulta evidente che gli ambiti nei quali sarà divisa una società cresceranno al crescere della sua complessità, rendendo il numero di incroci possibili estremamente numeroso. Consideriamo solo quelli che sono stati utilizzati universalmente da tutte le società esistenti. I primi, e sicuramente i più importanti, sono quelli che concernono la divisione per sesso ed età. Se la differenza tra uomo e donna è un elemento naturale, l'uomo l' ha utilizzata sul piano culturale, enfatizzandola a tal punto da dividere la società in due sezioni tra loro antagoniste. Possiamo dire che nelle società si viene "costruiti" culturalmente maschi o femmine, attraverso l'uso di modelli pedagogici atti ad esasperare l'iniziale differenza biologica. Quante volte si è sentita la maestra (personalmente ancora lo ricordo) sgridare una bimba con un "Smettila, stai composta, non comportarti come un maschiaccio!". La cosa funziona, ovviamente, anche nel caso contrario "Non giocare con le bambole, non sei una femminuccia, fai il maschio!". Attraverso l'uso di potenti strumenti di pressione, quali il ridicolo, la colpevolezza, l'umiliazione, il processo di inculturazione (a riguardo vedi paragrafo sulla cultura), fa si che, al termine di un lungo percorso pedagogico socialmente accettato, si assumano comportamenti e gestualità conformi agli standard sociali. Ogni rifiuto di essi verrà considerato come una devianza, il soggetto visto come "fondamentalmente" diverso, e, per questo, escluso dai normali quadri di riferimento.

 

 

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