Alle origini di Rimini moderna (13). Due fatti importanti del 1500, l'inventario perugino della Malatestiana e l'arrivo di forestieri che fanno soldi e cultura, i Gambalunga
Amarcord Petrarca, libri e politica
[Versione non definitiva]

Durante il XVI sec. a Rimini succedono due fatti in apparenza non legati tra loro. C'è una nuova testimonianza della quattrocentesca biblioteca Malatestiana nel convento dei francescani, a fianco del tempio voluto da Sigismondo: è l'inventario del 1560, conservato a Perugia e pubblicato nel 1901 da Giuseppe Mazzatinti.

Mattoni e ferro
E poi c'è l'arrivo in città di imprenditori forestieri (lombardi per A. Rigazzi, 1567 c., bolognesi secondo C. A. Del Frate, 1716). Essi fanno soldi e li investono anche nella cultura. Il loro cognome è Gambalunga, il più famoso diventa Alessandro che tra 1610 e 1614 costruisce il palazzo in cui "nella stanza da basso" colloca una biblioteca divenuta pubblica, la prima in regione e la terza in Italia, dopo l'Ambrosiana di Milano (1609) e l'Angelica di Roma (1614). In Emilia si aprono molto dopo le biblioteche di Modena (1750), Ferrara (1753), Bologna (Universitaria, 1756), Parma (1769) e Piacenza (1778).
Alessandro è nipote di un maestro muratore approdato poi alla mercatura, e figlio di un commerciante "da ferro" arricchitosi sia con gli affari sia con le doti di quattro matrimoni. Sua madre è forse la terza moglie, Armellina di Angelo Pancrazi. Nel 1583 circa a trent'anni si laurea in Diritto civile e canonico a Bologna per fregiarsi del titolo, più pregiato di quello nobiliare che ha acquisito e che oggi è giudicato dubbio.
Sul "tronfio quanto spiantato ceto patrizio locale" (come sta scritto nel sito web della Biblioteca Gambalunga, con uno stile che sembra di Piero Meldini), leggiamo quanto il bolognese Angelo Ranuzzi, referendario apostolico e governatore di Rimini, annota nel 1660 con un "eloquente e malizioso ritratto": "Vi sono molte famiglie antiche e nobili che fanno risplendere la Città, trattandosi i Gentiluomini con decoro et honorevolezza, con vestire lindamente, far vistose livree et usar nobili carrozze: nel che tale è la premura et il concetto fra di loro, che si privano talvolta de' propri stabili, né si dolgono di avere le borse essauste di denari per soddisfare a così fatte apparenze".

La prima civica
Nel 1617 Alessandro Gambalunga fa testamento: la sua libreria dovrà essere aperta a tutti e quindi passa al Comune, ci sarà un bibliotecario ("persona di lettere idonea ed atta") stipendiato con i propri soldi e nominato dai Consoli della città. Altra somma destina per gli acquisti di nuovi libri, la legatura ed il restauro di quelli in essa conservati. Il 9 agosto 1619 nomina lui stesso il bibliotecario, un dottore in legge suo amico, Michele Moretti, che diventa pure amministratore dei suoi beni. Il 12 agosto successivo, Alessandro Gambalunga scompare lasciando 1438 volumi. Moretti resta in carica sino al 1649.
La Gambalunga non è soltanto la terza biblioteca pubblica d'Italia ma, come scrive la storica Paola Delbianco, è pure la prima ad essere civica, ovvero appartenente ad una amministrazione cittadina. Così Rimini ospita la prima biblioteca pubblica e la prima biblioteca civica italiana. Non è soltanto un primato culturale, ma pure politico dal momento che ogni fenomeno che riguarda la vita intellettuale di un luogo è influenzato dalle linee amministrative che in esso prevalgono. Non per nulla oggi in Italia si parla di fuga dei cervelli. E nella Bologna del 1400, come osserva Ezio Raimondi, la crisi dell'Università dipende da "uno stato di cose assai più largo e complesso" che impediscono a quella città di avere "la pace necessaria per l'affermazione graduale, paziente di una cultura e d'una scuola".

In Europa
Su come nasce l'idea di biblioteca pubblica in Europa, si cita Richard de Bury (1287 [1281?]-1345), vescovo di Durham, cancelliere inglese nel 1336. Ogni cosa scritta, leggiamo in Mario Praz, su di lui "esercitava un'attrazione irresistibile". Non si tratteneva nell'acquistare libri, ma molti ne ricevette anche dai monasteri con cui era in contatto. E dai quali essi tornavano a rivedere la luce grazie a lui che andava liberamente a frugar nei nascondigli. Dove giacevano indisturbati, dimenticati ed anche guastati dal tempo.
Il Francia la biblioteca del Capitolo di Rouen è accessibile agli stranieri, e pubblica, almeno in una certa misura, prima del 1428, anno in cui i canonici prendono misure per rimediare agli inconvenienti provocati da un accesso troppo esteso. La biblioteca che rivendica ufficialmente il titolo è aperta soltanto nel 1644: è quella detta "Mazarine" dal nome del cardinal Giulio Mazarino.

L'idea di Petrarca
Già nel 1437 l'umanista fiorentino Niccolò Niccoli, possessore dei libri di Boccaccio, aveva ordinato nel testamento che gli ottocento manoscritti che formavano la sua biblioteca personale fossero destinati ad uso pubblico. Ma il modello italiano più celebre è quello non portato a compimento, e dovuto a Francesco Petrarca. Girolamo Tiraboschi scriveche egli, "trovandosi l'anno 1361 in Venezia e non essendo alieno dal fissare ivi stabil soggiorno, fece a quella repubblica la generosa offerta di tutti i suoi libri, chiedendo per sé e per essi una casa in cui poterli disporre, e dare in tal modo cominciamento a una pubblica biblioteca che poi avrebbe col tempo e colle altrui liberalità acquistata gran fama".
Petrarca si era rivolto al doge Lorenzo Celsi con una supplica scritta di sua mano, per donare i suoi libri (come si legge in una traduzione del 1768 di M. A. Laugier) "con patto che non saranno né venduti, né distrutti, e che saranno custoditi in luogo a coperto dell'acqua e del fuoco, per comodo dei Nobili Veneziani, che ameranno le scienze. Questi libri non sono né in gran numero, né molto preziosi; ma spera, che questa Città ve ne aggiungerà degli altri; che molti particolari ed anco forestieri a suo esempio aumenteranno questa raccolta; di modo che si potrà pervenire col tempo a formare una Biblioteca simile alle Biblioteche antiche e celebri: ciò che ridonderà in onore di S. Marco. Se ciò succede, Francesco goderà di aver dato principio a tanto bene: dimanda non una casa grande, ma una casa onesta, dove vi sia un alloggio anco per lui, risolvendo di rimanervi il restante di sua vita; di che non è certo, ma lo spera". Il progetto non va in porto, per cui Petrarca nel 1368 si trasferisce a Padova.

Pandolfo II
Come è stato osservato da L. Chines e M. Guerra, Petrarca è il primo intellettuale della nostra tradizione letteraria a cui appartenga il senso della trasmissione della cultura. E proprio con lui nasce la definizione di "biblioteca pubblica". Di ciò troviamo l'eco nelle vicende della Malatestiana di Rimini nel 1430.
Ma tra queste vicende e le idee del Petrarca c'è un'altra specie di ponte da ricordare. Nell'ottobre 1364 il poeta esprime a Pandolfo II ed al fratello Malatesta Ungaro il suo dolore per la morte del loro padre Malatesta Antico, di cui attesta il grandissimo ricordo lasciato con la sua vita piena di gloria. Nel 1372 il Malatesti invita il poeta a Pesaro. La risposta (negativa) contiene le condoglianze per la morte della moglie e del fratello di Pandolfo, e l'annuncio dell'invio delle proprie rime volgari, il "Canzoniere", che definisce "cosucce" (nugellae).
In casa Malatesti era ben presente pure il ricordo di Pandolfo II a frequente colloquio con il Petrarca tra i suoi libri, che Pandolfo diceva essere il posto ideale del poeta. Pandolfo era in sintonia massima con Petrarca che considerava lo studio unico mezzo per diventare immortali. Anche il Malatesti ama i libri. Lo documenta Petrarca. Finiranno bruciati nel 1514 assieme ai documenti di famiglia. Pandolfo nella biblioteca del poeta di cui è ospite, non vede soltanto la proiezione di un'ansia ben descritta da Petrarca, ma soprattutto la tensione spirituale necessaria nel costruire il presente e progettare il futuro. Era già un umanista.
(13. Continua)

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Antonio Montanari

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