Liliano Faenza, due libri (1994 e 2001)

Liliano Faenza: Sport e Fascismo a Rimini (2001)
Dopo «Paga Palloni», Faenza ci offre un altro capitolo della storia riminese degli anni Trenta. Politica ed agonismo si mescolavano allora, come racconta l'autore in queste pagine brillanti come l'autobiografico risvolto di copertina, piccola immagine fotografica del clima del Ventennio fascista. Nato nel 1922, Faenza è stato balilla, però escluso «dal plotone privilegiato dei moschettieri»; e poi avanguardista tra i marinaretti, mentre ambiva al raggruppamento che vestiva la divisa da arditi. Infine, Faenza si definisce «giovane fascista mancato», perché non si presentò alla premilitare, ma attese invano di essere convocato, facendo «il tonto» (come lui stesso ammette). Soldato di fanteria nel 1943, visse l'8 settembre a Foggia, da dove tornò a Rimini a piedi. E a Rimini partecipò come socialista alla vita politica della città «con scarso successo». In queste nuove pagine, Faenza fa rivivere le scene riminesi di una giovinezza all'insegna del fatidico «Vinceremo!». Ma sappiamo che, ai tempi supplementari della storia, la partita è finita male per noi. Con quei calci di rigore che erano le bombe che piovevano dal cielo. Proprio cinquant'anni fa.

«Guerra e Resistenza a Rimini, la memoria "ufficiale"» (1994)
Per celebrare il 50° anniversario della Liberazione di Rimini (21 settembre 1944), il locale Istituto storico della Resistenza ha programmato anche una serie di iniziative editoriali: la riproposta di «"In attesa di giorni più migliori", antifascismo e affetti familiari nelle lettere dei 'sovversivi' riminesi» di Stefano Pivato, e due novità: «Guerra e Resistenza a Rimini, la memoria "ufficiale"» a cura di Liliano Faenza, ed una raccolta antologica di scrittori locali con testi sulla guerra, prevista per l'autunno.
«Guerra e Resistenza a Rimini, la memoria "ufficiale"» è stato presentato alla città dal sindaco prof. Giuseppe Chicchi, da Augusto Randi (presidente dell'Istituto Storico) e dallo scrittore Liliano Faenza, che ha costruito il lavoro, in cui sono raccolti i documenti del 1944 sull'attività partigiana (Gap e Sap) nel Riminese, stilati dai protagonisti.
La raccolta ha un duplice scopo: presentare del materiale pressoché ignorato, ed offrire lo spunto per un dibattito storico-politico, a mezzo secolo di distanza, e proprio in un momento in cui tutto il passato viene rimesso in discussione, spesso senza più distinguere le molteplice facce del problema, e anzi mescolando i giusti discorsi della pietà con le confuse teorie che cancellano i torti della guerra e della violazione dello Statuto da parte di chi combatté contro l'unica realtà allora costituzionalmente valida, cioè il Regno del Sud.
Circa i documenti qui raccolti, nella presentazione avvenuta in Palazzo Civico non è stato lasciato il tempo di affrontare un aspetto che resta oscuro anche nel lavoro di Faenza: quei documenti sono stati riprodotti dagli originali (che non siamo mai riusciti a rintracciare), oppure dal fascicolo conservato alla Gambalunghiana (C.961), con il titolo «Copie di documenti originali sull'attività partigiana a Rimini e nel Riminese (1944-45)»? Se ha usato gli originali, perché l'autore non li ha citati? E dove si trovano? Il noto nome (pag. 68) di chi denunciò i Tre Martiri, è presente in Faenza, ed omesso nelle «Copie»: ciò significa che l'autore ha rintracciato gli originali? O lo aggiunto lui alle «Copie»? (Non si tratta di curiosità pettegole, ma di serie questioni critiche, relative all'edizione di un testo.)
Circa la sparizione di una relazione, che non si trova riprodotta nelle «Copie» (la n. 4, quella di Zangheri del Gap di San Marino, secondo l'elenco del 19. 11. 1944), crediamo di essere stati i primi a parlarne: sul «Ponte» del 10. 3. 1991, nella XIX ed ultima puntata de «I giorni dell'ira», intitolata «I misteri del Dopoguerra». Occhiello e sommario dicevano: «L'ex capo repubblichino Tacchi riuscì ad ottenere un certificato da partigiano. La corsa a cancellare il passato. La scomparsa della relazione Zangheri è legata all'uccisione del sarto Paolini?».
Quella relazione parlava anche di un partigiano (originario di Montemaggio), che era stato sergente della Milizia ed era figlio di un manganellatore fascista, per il quale si chiese lo «stralcio» (Giunta comunale di Rimini, 17. 11. 1944). Quindi non era, come scrive Faenza a pag. 12, il caso di un attendista divenuto partigiano dopo il passaggio del fronte. Si trattava forse di qualcosa di peggio. Una spia infiltrata? (Sull'argomento, si può vedere anche, nella puntata IV del 4. 3. 1990, la scheda n. 2).

Alla recensione di "Dentro il secolo" di L. Faenza (1997).

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