Antonio Montanari
BIBLIOTECA MALATESTIANA di RIMINI
Precede quella di Cesena


Se la biblioteca Gambalunga (1619) è la terza in Italia ad essere pubblica dopo l'Ambrosiana di Milano (1609) e l'Angelica di Roma (1614), a quella riminese di Francescani e Malatesti del XV secolo spetterebbe il merito di essere stata la prima in assoluto ad essere pubblica, partendo dal documento del 1430. E di essere sorta anteriormente a quella di Cesena che infatti, si apre soltanto nel 1452.

1430. Un testamento.
Nel 1415 un Maestro di Grammatica, il «Venerabilis Vir Dominus Sampierinus Canonicus Arimini filius quondam Bartolini», lascia per testamento al «magnificum et potentem dominum Carolum de Malatestis» ed al venerabile uomo e canonico Angelo una sua casa, «in qua tempore suae vitae et mortis solitus fuit et erat tenere scolas grammaticales et scientiae grammaticalis» (Tonini, VI, 2, pp. 134-136).
Carlo Malatesti in quel tempo era noto anche per avere, nel 1397 a Mantova, quale capitano della lega antiviscontea, fatto rimuovere un’antica statua di Virgilio, con un gesto ritenuto da Coluccio Salutati oltraggioso verso la poesia, e da Pier Paolo Vergerio indegno d’un principe che pretenda di amare gli studi e la storia. [Fonte]
Quello di Carlo era stato soltanto un atto politico per segnalarsi al potere ecclesiastico, «credendo un delitto che i cristiani venerassero un uomo non cristiano», come si legge nella biografia di Vittorino da Feltre scritta (1474 ca.) dal suo allievo mantovano Francesco Prendilacqua.
Carlo Malatesti muore il 14 settembre 1429, lasciando il potere a Rimini in mano del nipote Galeotto Roberto (figlio del proprio fratello Pandolfo).
Il primo luglio 1430 Galeotto Roberto, essendo scomparso anche il canonico Angelo (l'altro erede del testamento del 1415), vende la casa di Sampierino per seguire l'intenzione dello zio Carlo, di «volere col prezzo di quella erigere in Rimini una Biblioteca a vantaggio di studenti poveri». Così Luigi Tonini (V, 1, p. 83) riassume i fatti.
Il denaro ricavato dalla vendita della casa, è consegnato da Galeotto Roberto Malatesti al Vescovo di Rimini Girolamo, con l'incarico (prosegue Tonini) «di erogarlo "pro fabrica et in auxilio fabricae Bibliothecae, et Libreriae antedictae"».
La figura del Vescovo Girolamo è centrale nelle vicende malatestiane di quegli anni.
Leggiamo nella «Cronotassi» di Luigi Nardi (1813): «Il Papa, morto Carlo, commise al nostro Girolamo d'intimare a Galeotto Roberto Malatesta la devoluzione degli Stati alla S. Sede» (p. 205).
Galeotto Roberto poi riesce ad ottenere dal Papa la «conferma», e nel 1431 manda Girolamo a Roma per prestare a suo nome obbedienza al nuovo Pontefice Eugenio IV (pp. 205-206).
L'intrecciarsi della sorte di Galeotto Roberto con le funzioni amministrative del Vescovo Girolamo, fa da sfondo alla scelta del nuovo signore di Rimini di donare alla Chiesa riminese la somma destinata alla Biblioteca voluta da Sampierino. La Biblioteca («construenda et fabrichanda in Civitate Arimini»), come si legge nell'atto del 1430, doveva essere destinata «ad comunem usum pauperum et aliorum studentium in facultatibus» (Tonini, VI, 2, p. 135).
Il concetto è ripetuto tre volte, in quest'atto di vendita. La prima è nella citazione riportata, quando si ricorda, come già abbiamo letto in Tonini (V, 1, p. 83), che Galeotto Roberto intende seguire l'«intenzione» dello zio Carlo (riferitagli dal proprio padre Pandolfo). La seconda volta quando si precisa che il ricavato dalla vendita della casa doveva essere speso «in auxilium Fabricae unius Librariae fiendae in civitate Arimini pro pauperibus studentibus». La terza volta infine quando è ribadito che la somma riscossa dalla vendita della casa va investita, come già abbiamo letto in Tonini, «pro fabrica seu auxilio Fabrice Biblioteche et Librarie antedicte...».
Possiamo dunque ipotizzare che le volontà originali di Sampierino fossero orientate verso una struttura laica, composta dai locali della Biblioteca e dalla raccolta dei materiali della Libraria.
Il risultato finale è che, con l'intervento di Galeotto Roberto che rimanda alle intenzioni dello zio Carlo comunicategli dal proprio padre, non si crea una nuova Biblioteca pubblica, ma si rende tale quella privata dei Francescani. Della quale è così arricchito il materiale già esistente.
In tal modo si crea una struttura che ha tre livelli: quello dell'ordine monastico preesistente (corrispondente all'organizzazione ecclesiastica); quello politico malatestiano che interviene a proprio nome, e quello civico per cui la Biblioteca è pubblica, ovvero aperta a tutti e soprattutto agli studenti poveri.
Galeotto Roberto, con questa scelta, vuole procurarsi un appoggio ecclesiastico in un momento in cui ne ha particolarmente bisogno, per evitare ulteriori tentativi di devoluzione di Rimini alla Santa Sede.
In questa prospettiva va letto un altro gesto di Galeotto: nel 1432 egli ottiene da Eugenio IV un «breve» che introduce per gli Ebrei il «segno» di distinzione obbligatorio.
(Il 13 aprile 1515 il Consiglio riminese stabilisce il dovere da parte degli Ebrei d’indossare una berretta gialla se maschi ed un qualche «segno», una benda anch’essa gialla, se donne. Il 22 luglio 1548 il Consiglio generale della città obbliga gli Ebrei riminesi a portare un distintivo ed a non abitare fuori delle tre contrade dove già si trovavano. Si anticipa così il provvedimento di papa Paolo IV che con la «bolla» intitolata «Cum nimis absurdum» del 17 luglio 1555 istituisce il ghetto in tutto lo Stato della Chiesa seguendo il modello realizzato nel 1516 dalla Serenissima Repubblica di Venezia.)
L'iter seguìto da Galeotto Roberto (vendita della casa di Sampierino e consegna del denaro da essa ricavato al Vescovo Girolamo) rispecchia formalmente le volontà del testamento di Sampierino, ma forse nella sostanza fa rientrare dalla finestra quello che si era fatto uscire dalla porta. Ovvero, vien da pensare che Carlo Malatesti, per rispettare i desideri del maestro di Grammatica, volesse non una Biblioteca "religiosa" ma laica, nello spirito delle idee umanistiche da tempo circolanti al proposito. Coluccio Salutati, scomparso nel 1406, ad esempio, aveva avuto «fisso in mente il modello, antico e moderno, della biblioteca pubblica» [A. Petrucci, "Le biblioteche antiche", Letteratura italiana, 2. Produzione e consumo, Torino 1983, pp. 527-554, p. 538]. Ma in casa Malatesti doveva essere ben presente il ricordo di Pandolfo II a colloquio con il Petrarca tra i suoi libri che il poeta nel 1362 destina a Venezia, in cambio di una casa, con il progetto proprio di biblioteca pubblica. Il progetto non va in porto, per cui Petrarca nel 1368 si trasferisce a Padova. ("Era il lungimirante disegno dell'istituzione di una pubblica biblioteca. Non ebbe attuazione, ma su quel l'idea si fondò la futura biblioteca di San Marco", si legge nel sito proprio della Marciana: "L'idea della realizzazione di una biblioteca pubblica a Venezia prese forma per la prima volta con la permanenza di Francesco Petrarca nella città della laguna. Nel 1362 egli decise di donare i suoi libri alla Repubblica perché andassero a formare il primo nucleo di una più ampia raccolta aperta agli studiosi e amanti della cultura. Nella deliberazione di accettazione della proposta del poeta, il Maggior Consiglio prospettava le spese necessarie per adibire un luogo adatto alla conservazione di libri. Il disegno di Francesco Petrarca non ebbe però seguito".)
Insomma, anche per il gesto di Galeotto Roberto si può dire che, come la rimozione della statua di Virgilio da parte di Carlo Malatesti, si tratta di un atto politico per segnalarsi al potere ecclesiastico, con cui doveva convivere per sopravvivere quale principe.
Dal documento del primo luglio 1430 parte Mazzatinti quando nel 1901 pubblica un inventario del 1560 ne «La Biblioteca di San Francesco (Tempio Malatestiano) in Rimini». In questo saggio di straordinaria importanza, si sbagliano due date fondamentali relativamente al discorso sin qui condotto, forse per banali errori di stampa: il testamento è spostato dal 1415 al 1435, e l'atto di vendita della casa dal 1430 al 1440.

1475.
Testamento di Roberto Valturio che lascia la propria biblioteca alla «liberaria» (libreria) del convento dei frati di San Francesco di Rimini «ad usum studentium et aliorum fratrum et hominum civitatis Arimini», con la clausola che i frati facciano edificare «unan aliam liberariam in solario desuper actam ad dictum usum liberarie».

Dal documento (pubblicato per la prima volta da ANGELO BATTAGLINI nel 1794 in Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta), ricaviamo:
1. Nel 1475 esiste già una «liberaria» del convento di San Francesco.
2. Questa «liberaria» è posta al piano terreno.
3. Essa «liberaria» (scrive A. Battaglini) era già diventata copiosa a spese di Sigismondo, ma giaceva «in piano a terra pregiudicevole a materiali sì fatti» (Battaglini, op. cit., p. 168).
Il trasporto al piano superiore avviene nel 1490 (v. sotto ad annum).
Conclude Battaglini che Rimini «dovette dunque non meno a Sigismondo suo Principe, che al suo cittadino Roberto Valtùri [Valturio] l’acquisto fatto d’una pubblica Biblioteca» (Battaglini, op. cit., p. 170).
Sigismondo, come ricorda per primo Valturio, dona alla biblioteca monastica francescana, progettata dallo zio Carlo Malatesti, «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline» [cfr. R. VALTURIO, De re militari, XII, 13].

1490.
L’iscrizione del 1490 (e non 1420 come in un primo tempo era stata letta), ricorda il trasferimento della biblioteca francescana al piano superiore del convento da quello a terra, «pregiudicievole a materiali sì fatti» (Battaglini, op. cit., p. 169). Questa iscrizione è tuttora conservata nel Museo della Città di Rimini.
Di questa iscrizione non è stata mai fornita sinora la corretta trascrizione. Infatti si è letto come «sum» quanto va trascritto come «summa».
Il testo latino è questo: «Principe Pandulpho. Malatestae sanguine cretus, dum Galaotus erat spes patriaeque pater. Divi eloqui interpres, Baiote Ioannes, summa tua cura sita hoc biblioteca loco. 1490».
Ecco la traduzione: «Sotto il principato di Pandolfo. Mentre Galeotto, nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre della Patria. Per tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la biblioteca è stata posta in questo luogo. 1490».

Pandolfo IV, 1475-1534, è figlio di Roberto Novello (1442-1482), a sua volta figlio di Sigismondo (1417-68).
Roberto è morto combattendo al servizio della Chiesa. Con lui era Raimondo Malatesti (figlio di Almerico Malatesta e di Amabilia Castracani) che reca a Rimini la notizia della morte del signore della città.
Galeotto [Galeotto II Lodovico], figlio di Almerico Malatesta (e quindi fratello di Raimondo), è tutore di Pandolfo e governatore di Rimini.
Giovanni Baiotti da Lugo, frate francescano, è teologo e guardiano del convento di San Francesco.
Raimondo Malatesti il 6 marzo 1492 è ucciso dai nipoti Pandolfo e Gaspare, figli del fratello Galeotto II Lodovico ricordato nella lapide.
Il delitto è considerato da Clementini all'origine di tutti i mali che affliggono successivamente Rimini, ovvero «il precipizio de' cittadini e l'esterminio de signori» Malatesti e della loro casa.
Il 31 luglio 1492 Pandolfo e Gaspare, gli uccisori dello zio Raimondo, sono utilizzati dal padre Galeotto II Lodovico per una congiura contro lo stesso Pandolfo IV e la sua famiglia.
A mandarla all'aria evitando una strage, ci pensa Violante Aldobrandini, seconda moglie dello stesso Galeotto Lodovico e sorella di Elisabetta, madre di Pandolfo IV.
In casa di Elisabetta era stato ucciso Raimondo Malatesti quasi cinque mesi prima (il 6 marzo 1492).
Nella stessa abitazione di Elisabetta è ammazzato Galeotto Lodovico, mentre suo figlio Pandolfo è tolto di mezzo in casa del signore di Rimini Pandolfo IV. Gaspare invece è arrestato, processato sommariamente e decapitato.
Due mesi e mezzo dopo la congiura fallita e la morte dei suoi ideatori, Violante convola a nuove nozze. Violante era la matrigna di Gaspare e Pandolfo, figli della prima moglie di Galeotto Lodovico, Raffaella da Barbiano.
Pandolfo di Galeotto Lodovico a sua volta ebbe quattro figli (Carlo, Malatesta, Raffaella, Laura) perdonati da Pandolfo IV a testimonianza della sua volontà di pacificazione all'interno della famiglia e della città.
Dal 1492 per circa un secolo, gli omicidi politici che abbiamo registrato, continueranno «a far calare sangue», come acutamente osserva Rosita Copioli.

1560.
La biblioteca era costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna. “Circa” centocinquanta opere sono nella prima fila, “circa” centoventitre nella seconda. Ovvero “circa” 273 opere in tutto.

Questi dati risultano da un inventario del 1560 (p. 346) conservato a Perugia e pubblicato nel 1901 da Giuseppe Mazzatinti in un saggio intitolato La biblioteca di San Francesco (Tempio malatestiano) di Rimini, contenuto nel volume «Scritti vari di Filologia» apparso a Roma presso Forzani, Tipografi del Senato, pp. 345-352.
Il saggio di Mazzatinti è datato «Forlì, agosto 1901».

1511.
Ricordandoci attentamente di questo inventario del 1560, prendiamo in considerazione una notizia relativa al 1511, e contenuta in un testo ms. di padre Francesco Antonio Righini (SC-MS 372, "Miscellanea Scriptorum...", c. 284r, Biblioteca Gambalunga di Rimini).
Righini scrive: dai libri conventuali di San Francesco risulta che la biblioteca era stata trasferita a Roma «sic jubente Pontefice».
Righini precisa l'anno (appunto il 1511), citando un testo di Paride Grassi relativo al soggiorno riminese presso i francescani del papa stesso, Giulio II.
(Il testo di Grassi, cerimoniere pontificio, è stato pubblicato nel 1886, Le due spedizioni militari di Giulio II, in «Documenti e Studi» della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, I).
Il passo di Righini forse allude ad un trasferimento parziale della biblioteca francescana, dato appunto che nel 1560 la essa era costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna per un totale di “circa” 273 opere.

XVII secolo.
Nel Sito riminese di Raffaele Adimari, che esce a Brescia nel 1616, si legge (I, p. 72) che presso il convento francescano dei Conventuali esisteva una «sontuosa, et buona libreria».
All’inizio del secolo XVII, precisa Antonio Bianchi (Storia di Rimino dalle origini al 1832, Rimini 1997, a cura di Antonio Montanari, p. 146), «della preziosa libreria, che i Malatesti, per conservarla ad utile pubblico, avevano dato in custodia ai frati di San Francesco», restano soltanto quattrocento volumi per la maggior parte manoscritti.

Questo «rimasuglio» di quattrocento volumi (in realtà molto meno, “circa” 273, visto l’inventario del 1560), va perduto secondo monsignor Giacomo Villani (1605-1690), perché quelle carte preziose finiscono in mano ai salumai («deinde in manus salsamentariorum mea aetate pervenisse satis constat»).

Federico Sartoni (1730-1786), come riferisce Luigi Tonini (Rimini dopo il Mille, p. 94), sostiene invece che i frati vendettero la libreria alla famiglia romana dei Cesi, alla quale appartengono i fratelli Angelo (vescovo di Rimini dal 1627 al 1646) e Federico, fondatore dell'Accademia dei Lincei nel 1603.
Il manoscritto di Sartoni è in BGR, Sc-Ms.1136: SARTONI, FEDERICO COSIMO, Copia di uno zibaldone mss. che era in Casa Sartoni ed ora posseduto dal N. U. Signor Domenico Mattioli, contenente memorie ed avvertimenti per la storia di Rimini... Sta in: TONINI, LUIGI: [Cronache riminesi...] (cc. 222-97). La parte che qui interessa è alle cc. 49-50.

XVIII secolo.
Il convento di San Francesco è ristrutturato ampiamente, come documenta il ms. AB 51, relativo alle spese fatte «per la Fabrica del Convento (1762-1764)», conservato in Archivio di Stato di Rimini, Fondo Congregazioni soppresse.


CONCLUSIONI.

1. Francesco Gaetano Battaglini nelle sue Memorie sulla storia riminese (1789, p. 281) scrive che nel 1490 avvenne il trasporto della «celebre» biblioteca francescana «a più conveniente luogo», secondo le disposizioni di Valturio.
In precedenza, aggiungeva Battaglini, la biblioteca francescana era stata «arricchita di codici da Sigismondo, ed accresciuta dalla suppellettile libraria» dello stesso Valturio. (Questo passo è riprodotto da Luigi Tonini nella Storia di Rimini, III, p. 321.)

2. L’archivio comunale e la biblioteca. Già da epoca anteriore, «apud locum fratrum minorum» (cioè nello stesso convento francescano) si trovava l’archivio comunale (F. G. Battaglini, p. 44). Questo luogo dell’archivio è definito a metà del XV sec. come «sacristia Communis Arimini in Conventu Sancti Francisci» (F. G. Battaglini, ibid.)
La presenza del pubblico archivio nella sede conventuale, documenta un particolare ed antico rapporto fra l’amministrazione cittadina ed i padri della chiesa di San Francesco, ben anteriore alla nascita di quella «celebre» biblioteca che, anche secondo Battaglini, essendo stata arricchita da Sigismondo, esiste quindi quando questi governa Rimini: dal 1430 assieme ai fratelli Galeotto Roberto (che scompare il 10 ottobre 1432) e Domenico Malatesta Novello; e dal 1433 da solo (mentre Novello diviene signore di Cesena).
Circa l’archivio, da altra fonte (una cronaca del 1532 firmata da padre Alessandro da Rimini e pubblicata nel secolo scorso da padre Gregorio Giovanardi), ricaviamo:

a) al tempo di papa Paolo II (1464-71) va a fuoco la sagrestia della chiesa di san Francesco con perdita di mss. «antichissimi ed importantissimi» (si ricordi quanto riportato in F. G. Battaglini circa «sacristia Communis Arimini in Conventu Sancti Francisci»;

b) il resto dell’archivio, verso il 1528, è dichiarato a Roma da papa Clemente VII (1523-34).

3. Augusto Campana [1932] nel celebre studio sulle biblioteche italiane, scrive al proposito della presenza dei padri francescani nella biblioteca malatestiana: «È possibile, ma è prudente darlo solo come possibile, “che questa libreria – per servirmi delle parole del Massèra – fosse affidata ai frati di San Francesco”». Prosegue Campana: «Ad ogni modo presso di quelli, verso la metà del quattrocento, dovette stabilirsi una notevole raccolta di libri», poi arricchita da Sigismondo (v. sopra).
Quindi Campana non mette in dubbio l’esistenza di una pubblica biblioteca malatestiana «ad communem usum pauperum et aliorum studentium», ma segnala che è prudente (seguendo Massèra) considerare possibile una sua gestione da parte dei frati.
Il che però contrasta fortemente con il testamento di Valturio del 1475 che si rivolge direttamente a quei frati. Se non l’avessero gestita loro, Valturio non avrebbe scritto quanto leggiamo nelle sue volontà (in ben tre stesure), dove sempre si parla della «libreria del convento dei frati di San Francesco».
Le carte d’archivio parlano chiaramente, e fanno decadere l’osservazione di Massèra e la conseguente cautela di Campana.

4. Massèra. Riporto il testo integrale di Massèra dal saggio sulla Gambalunga contenuto in «Accademie e Biblioteche d’Italia», 1928, VI, p. 27: «È probabile che questa libreria fosse affidata ai frati di San Francesco, il cui convento era attiguo alla chiesa» poi divenuta il Tempio malatestiano. «Appunto fu Sigismondo ad arricchire la biblioteca dei Conventuali di moltissimi volumi», come attesta Valturio etc.
Poi Massèra scrive che la lapide «tuttora esistente» attesta «che la sistemazione desiderata ebbe luogo o termine», essendo guardiano Giovanni Baiotti da Lugo.
A p. 29 Massèra incolpa i Conventuali riminesi d’aver lasciato «disperdere le ricchezze raccolte».
I frati vendettero liberamente la libreria alla famiglia romana dei Cesi, come pare sostenere Sartoni?
Forse essi furono costretti non dico dal vescovo romano, ma dalle loro misere condizioni (che risultano da molti documenti conservati in Archivio di Stato di Rimini).
Certo è che Massèra non conosceva la notizia di Righini del 1511 (la biblioteca era stata trasferita a Roma «sic jubente Pontefice»).

5. Prima di Cesena. Se la biblioteca Gambalunga (1619) è la terza in Italia ad essere pubblica dopo l'Ambrosiana di Milano (1609) e l'Angelica di Roma (1614), a quella riminese di Francescani e Malatesti del XV secolo spetterebbe il merito di essere stata la prima in assoluto ad essere pubblica, partendo dal documento del 1430. E di essere sorta anteriormente a quella di Cesena che infatti, si apre soltanto nel 1452 (v. sotto, la scheda «TRA RIMINI E CESENA»).
La Gambalunga, va aggiunto, è la prima in Italia ad essere «civica» (cioè del Comune).


TRA RIMINI E CESENA

I rapporti intercorsi tra Rimini e Cesena a metà Quattrocento, sono documentabili attraverso due edizioni della Naturalis Historia di Plinio.

1. Il Plinio di Jacopo della Pergola (1446)
La prima, completata da Jacopo della Pergola a Rimini l’11 ottobre 1446, è stata voluta (secondo Raimondo Zazzeri, 1887) da Sigismondo Pandolfo Malatesti. Il quale poi la donò al fratello Malatesta Novello che la fece inserire nella biblioteca cesenate (S. XI. I).
Questa notizia di Zazzeri è stata smentita da Enza Savino (I due Plinii Naturalis historia della Malatestiana, in Libraria Domini. I manoscritti della Biblioteca Malatestiana: testi e decorazioni, a cura di a cura di Fabrizio Lollini e Piero Lucchi, Bologna, Grafis, 1995, pp. 103-114), soltanto in base al «fatto che Sigismondo Pandolfo, secondo l’immagine consegnata dalla storiografia locale, non coltivò interessi da bibliofilo né tanto meno da bibliografo con la stessa costanza e passione del fratello».
L’immagine che Enza Savino riprende di Sigismondo «dalla storiografia locale», è tutto all’opposto della realtà. Abbiamo già visto che Sigismondo, come scrisse Valturio, dona alla biblioteca francescana «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline». (Testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi «che restano quali tracce del progetto di Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all’ascolto di tutte le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del De rerum natura, da Seneca a sant’Agostino, sino a Diogene Laerzio ed alle sue Vitae degli antichi filosofi»: cfr. il mio Sigismondo filosofo umanista).
Non interessa stabilire, cosa del resto difficile se non impossibile, se veramente il ms. S. XI. I sia stato ordinato ad Jacopo della Pergola da Sigismondo. Il dato certo è che esso è stato lavorato a Rimini e che esso poi è finito a Cesena.
Augusto Campana [1932] ricorda che Jacopo lavorò sia a Rimini sia a Fano. Il che gli suggerisce questa importante conclusione: è possibile supporre che i copisti «fossero scambiati, al bisogno, tra il Signore di Cesena e quello di Rimini».
2. Il Plinio di Francesco da Figline (1451)
L’altra Naturalis Historia cesenate (S. XXIV. 5), è opera di Francesco da Figline commissionatagli dal medico riminese Giovanni di Marco («Scriptus et completus per me fratrem Franciscum de Fighino ordinis minorum pro egregio ac prestantissimo artium et medicine doctore Iohanne Marci de Arimino 1451 die 10 maii»).
Fu lasciata in testamento alla biblioteca cesenate nel 1474 dallo stesso Giovanni di Marco, in precedenza medico personale di Malatesta Novello.
Nel 1451 la Malatestiana cesenate non era ancora completata. Lo sarà l’anno successivo («la biblioteca fu compiuta nel 1452: M CCCCLII / Matheus Nutius fanensi ex urbe creatus, / Dedalus alter, opus tantum deduxit ad unguem», cfr. Campana).
Quindi Francesco da Figline non era ancora nella città di Novello che poi lo nomina primo bibliotecario della Malatestiana. Ma era ancora a Rimini. Dove lavora (anche) per Giovanni di Marco il quale come medico era attivo sia a Rimini sia a Cesena.

I due manoscritti di Plinio documentano dunque un’intesa attività ‘libraria’ riminese dopo il 1430 e prima del 1452 (apertura della biblioteca di Cesena).
Questa attività è facilmente collegabile alla esistenza della biblioteca dei Malatesti presso il convento di San Francesco di Rimini.
Per quel lasso di tempo i documenti si trovano, se non ci si dimentica di interpretare correttamente quelli che esistono già, come appunto i lavori ‘riminesi’ di Jacopo della Pergola (1446) e di Francesco da Figline (1451).

GLI AGGIORNAMENTI sul tema si leggono qui:
Indice Biblioteca Malatestiana Rimini
Mappa Biblioteca Malatestiana Rimini
[[Biblioteca Malatestiana Rimini, omnia]]

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