Dadodautore 1991 - 2005

Quattordici anni dopo la prima mostra di dadi d'artista, promossa e curata dal Laboratorio Dadodue di Salerno (1991), nata allora come un concreto omaggio al suo impegno costante come centro di promozione culturale, questa iniziativa viene oggi riproposta, arricchita e ancor più qualificata dalla partecipazione di tanti nuovi artisti, poeti e intellettuali che con entusiasmo hanno risposto al nostro invito. Un work in progress che conta a tutt'oggi l'adesione di circa centotrenta autori che in una sorta di azzardo, si sono per così dire, calati, in questa insolita quanto stimolante partita, tutti coinvolti e ammaliati dal ludico, provocatorio alternarsi delle più facce. Artisti molto diversi tra loro, ognuno col proprio essere e il proprio sentire, che non hanno esitato a mettere in gioco i segni autonomi della propria esperienza estetica e poetica, contribuendo così ad alimentare quel continuo flusso di assonanze e di stridori, di vicinanze e lontananze, di allusioni e di negazioni su cui si articola il percorso di questa mostra. Dadi parlanti. Dadi scalfiti, segnati, tagliati, colorati. Dadi mascherati, svelati, costruiti e smontati. Dadi bruciati. Un sottile gioco di affinità e di contrasti dove ogni singola opera, pur nella sua peculiare identità e nella propria compiutezza, in virtù delle molteplici possibilità di orientamento e di combinazione insite nella pluralità delle sue facce, si inserisce mettendosi in relazione con gli altri, come una singola particella che partecipa alla formazione di un unico, dinamico insieme, sul quale e nel quale è possibile ipotizzare sempre nuovi sviluppi. Una mostra fuori dagli schemi convenzionali, quindi, che si è formata nel tempo in modo quasi spontaneo: al primo dado se ne sono aggiunti altri come per proliferazione naturale, è bastato parlarne con qualche amico per attivare quel virtuoso meccanismo di circuitazione che senza particolari sforzi organizzativi ci ha consentito questo straordinario risultato. Ma per meglio comprendere i motivi di questa sinergia è necessario fare un passo indietro e, lungi da ogni intenzione autocelebrativa, tentare una sintetica digressione che, pur se limitata e parziale per l'obbligatoria essenzialità delle notizie, possa fornire al lettore quelle minime informazioni utili per capire che cosa è stato e cosa ha rappresentato il Laboratorio Dadodue, nell'ambiente culturale salernitano e nazionale, dal 1977, anno della sua fondazione, al '95, anno in cui ha cessato le sue attività, sia come spazio espositivo che come cellula creativa e propositiva. Quali fossero gli intenti e i programmi del Laboratorio di via XX settembre, fu chiaro fin dal primo momento:agire all'interno del territorio come una struttura autonoma e autofinanziata, in sintonia con quella voglia di alterità che percorreva ed animava il pensiero e il progetto poetico di quella generazione di artisti che si trovarono ad operare negli anni settanta. Quel porsi fuori dalle logiche mercantili delle gallerie, delle riviste specializzate, dei critici prezzolati scegliendo il margine e la periferia come campo privilegiato di intervento. Guardarsi intorno per scandagliare l'entroterra, ritenuto come un deposito naturale di potenzialità inespresse, intrecciare collaborazioni con strutture culturali parallele e soprattutto fornirsi di uno spazio autonomo in alternativa al monopolio delle lussuose gallerie del centro, troppo impegnate ad alimentare e consolidare un mercato piatto e organizzato, chiuse in se stesse come santuari inviolabili in cui ai giovani artisti era negata qualsiasi possibilità di accedere. Non fu un caso, quindi, che la prima iniziativa proposta fosse intitolata "Controggetto": una sorta di mercatino di oggetti minimi, multipli e opere uniche, prodotti da un gruppo di artisti e messi in vendita provocatoriamente a prezzi popolari, al pari di oggetti seriali della più scadente produzione industriale. Gli anni che seguirono furono segnati da un continuo alternarsi di mostre personali per lo più dedicate a giovani artisti della provincia di Salerno: quegli stessi artisti che appena diplomati all'accademia di Napoli, sia pure forniti di un evidente talento, faticavano a trovare uno spazio che li ospitasse. Nonostante il Laboratorio Dadodue fosse nato, e continuasse ad essere lo studio del sottoscritto, da allora e per oltre diciotto anni, divenne uno spazio di riferimento per molti artisti, un punto di incontro in cui venivano a confluire e ad interagire esperienze di natura diversa, la poesia, la fotografia, la pittura, la scultura e quant'altro. Ma l'aspetto più significativo e caratterizzante di questo spazio altro, va individuato proprio nel suo essere "Laboratorio", ovvero luogo fisico nel quale lavorare per dare corpo alle idee e ai progetti. Aperto, in linea con quello spirito aggregativo e solidale che aveva attraversato e qualificato l'impegno politico e culturale degli anni settanta e che per libera scelta agiva ai margini, defilato da quella ufficialità che rimaneva ad eclusivo appannaggio delle gallerie e di quelle poche associazioni ben collocate nei salotti della politica e del potere. Uno spirito che non si esaurì ma al contrario trovò nuovi stimoli e nuove motivazioni negli anni a venire, in netta controtendenza rispetto al liberismo e all'individualismo tipici di quel riflusso che interessò la pratica culturale degli anni ottanta. E qui potrei dilungarmi in una lista infinita di iniziative e di progetti, tutti portati a buon fine, anche grazie al contributo di idee a d'impegno degli artisti Cosimo Budetta e Osvaldo Liguori e alla preziosa e costante presenza di Gerardo Pedicini: dall'operazione poetica "Atlantide " (1987), un progetto di respiro internazionale che registrò la presenza di oltre centosessanta artisti e l'adesione dell'università di Salerno oltre a quella di numerose associazioni e musei nazionali, al "Progetto internazionale sulla pace" (sempre del 1987) condotto in collaborazione col Laboratorio arti visive Labhirint di Cosenza e l'archivio Amazon di Milano. Da "La pietra dell'acqua"(1987) ad "Acquetinte" (1992) alle rassegne "Lo sguardo dell'angelo" (1988) e "Il solco del tempo"(1993). E così di seguito, passando attraverso la ricerca sul libro inteso come multiplo d'arte, prima con le edizioni "Latitudini", una collana di pubblicazioni di autori diversi, realizzate in fotocopia, poi con le edizioni "dadodue", libri opera in tiratura limitatissima, nei quali si tende a coniugare il linguaggio scritto dei poeti e quello iconico degli artisti, in una alternanza di rimandi e rispecchiamenti, in cui l'uno si sostanzia nel testo dell'altro. Un interesse tutt'ora vivo e che continua ad esprimersi nelle edizioni Etra/arte di Gerardo Pedicini, le edizioni Ogopogo di Cosimo Budetta e gli Ibridilibri del sottoscritto e che già nel 1988 trovò immediata visibilità con la rassegna "In forma di libro" ospitata nel castello dei Cavalieri di Malta a Valva. Queste, solo alcune delle iniziative messe in campo dal Laboratorio Dadodue nel suo lungo operare ma che sono sufficienti per dare l'idea della grande effervescenza culturale e dell'impegno dimostrato da questa struttura che non si è mai accontentata del banale e del già visto e che ha lavorato per definirsi un ruolo propositivo come spazio aperto sia all'interno del territorio provinciale che in campo nazionale. Ed è appunto in questo continuo impegno e in questa capacità di aprirsi agli altri, che vanno ricercate la ragioni di una così vasta e qualificata adesione a questa mostra, un omaggio di tanti, che mi piace considerare come un gesto tangibile di stima e di amicizia.

Antonio Baglivo