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10 Febbraio: Il Giorno del Ricordo - Foibe ma non solo

 

Foibe_mortiDal 2005 la giornata del 10 febbraio è dedicata alla commemorazione dei morti e dei profughi: FOIBE e non solo: “…La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del Ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della piu' complessa vicenda del confine orientale…" Così recita la legge istitutiva n. 92 del 30 marzo 2004 che vuole mantenere viva la memoria di quanto accaduto al termine della seconda guerra mondiale in Istria, nel Quarnaro e in Dalmazia. Tanto per la precisione. La Giornata del Ricordo non evoca “gli infoibati fascisti uccisi dai cattivi partigiani comunisti (secondo gli storici Gasparri, Bisi ed altri), ma TUTTI gli infoibati (anche quelli comunisti infoibati dagli ustascia), ed anche la tragedia dei profughi italiani in Jugoslavia.

 

 

Il 10 Febbraio, Giorno del Ricordo, non richiama l’apertura di una foiba, la liberazione di pochi superstiti su 13 milioni di ammazzati, come nel caso del Giorno della Memoria. Il pretesto per la scelta del 10 febbraio è stato il collegamento al 10 febbraio 1947, data della firma del trattato di Parigi, che assegnò alla Jugoslavia il territorio occupato nel corso della guerra dall'armata di Tito. E’ allora il caso di tentare di rimettere in piedi uno straccio di verità storica, ad uso specialmente delle giovani generazioni, e delle deboli menti... sintetizziamo? non è stato Tito ad attaccare l’Italia, ma Mussolini ad attaccare la Jugoslavia.

 

Allora perché la Destra, con lo statista Gasparri in testa, ha voluto questa data, che per loro dovrebbe essere una data di sconfitta e di vergogna? Elementare, Mr. Watson! Perchè era la data più vicina possibile al 27 Gennaio, Giorno della Memoria. Insomma, un tentativo persino poco intelligente di avvicinare mediaticamente e politicamente Shoah e Foibe, di attenuare l’impatto della Giornata della Memoria. In termini comunicazionali, persino Foibe_ingresso Ajazzone avrebbe fatto meglio. Perché parlare delle foibe è una nuova occasione per mostrare, per differenza, tutto l’orrore della Shoah. E per sottolineare ancora una volta che le colpe di chi ha iniziato a menare le mani, e di chi ha reagito, magari con mezzi impropri, non possono essere accostate, neanche da Gasparri o da Bisi, noti storici italiani.

 

 Nel corso del post, spiegheremo perché. Ma un’anticipazione, tanto per non lasciare dubbi, vogliamo darla: ad Auschwitz – Birkenau, nei periodi di massima “efficienza”, si facevano passare per i camini 2500 persone al giorno in media. Nella storia delle foibe, anche a voler prendere le cifre più alte riportate da storici o sedicenti tali di destra, si parla di 10.000 morti (dopo i vaneggiamenti iniziali che parlavano di 20/30.000 morti). Nei 10.000 sono inclusi, per dire, più di 5.000 “morti presunti”; cadaveri provenienti dai campi di concentramento nazifascismi e buttati nelle foibe; morti ammazzati dai nazifascisti nostrani e jugoslavi. Ed ANCHE, fascisti ammazzati dai partigiani. Quindi rispetto al solo campo di Auschwitz – Bierkenau, quando parliamo di foibe, parliamo di un totale di morti che non arriva a due giorni di ”lavoro” di un solo campo nazifascista. Tanto per la precisione.

 

Il sito più pronto ad aumentare a dismisura il numero degli infoibati (www.leganazionale.it) scrive: “…Quanti furono gli infoibati? Purtroppo è impossibile dire quanti furono gettati nelle foibe: circa 1.000 sono state le salme esumate, ma molte cavità sono irraggiungibili, altre se ne scoprono solo adesso (60 anni dopo) rendendo impossibile un calcolo esatto dei morti. Approssimativamente si può parlare di 6.000 - 7.000 persone uccise nelle Foibe, alla quali vanno aggiunte più di 3.000 persone scomparse nei gulag (campi di concentramento) di Tito…”

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Foibe_graziani Tanto per mettere in fila i fatti (che in genere sono ottimi segnali delle responsabilità), vediamo un po’ di cronologia:

 

 

Cronologia della Campagna di Jugoslavia

 

 

27 settembre 1940 - Germania, Italia e Giappone firmano a Berlino il patto tripartito.

 

28 ottobre 1940 - L'Italia attacca la Grecia.

 

27 marzo 1941 - A Belgrado un gruppo di ufficiali dell'aeronautica, guidati dal Capo di Stato Maggiore gen.Dusan Simovic attua un colpo di stato rovesciando il governo filotedesco dei Karageorgevic, depone il reggente Paolo e insedia re Pietro II che ripudia l'alleanza con Hitler, il quale ordina di liquidare la Jugoslavia.

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5 aprile 1941 - Trattato di amicizia e di non aggressione tra Jugoslavia e URSS.

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6 aprile 1941 - La Germania invade la Jugoslavia e dichiara guerra alla Grecia. L'aviazione tedesca bombarda Belgrado (operazione "Castigo"). Anche l'Italia dichiara guerra alla Jugoslavia.

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10 aprile 1941 - Occupazione tedesca di Zagabria e nascita della Croazia indipendente governata dal movimento filofascista degli "ustascia" di Ante Pavelic.

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11 aprile 1941 - L'Ungheria dichiara guerra alla Jugoslavia. La II Armata italiana, comandata dal gen.Ambrosio, entra in Jugoslavia dalla frontiera giuliana.

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12 aprile 1941 - Le forze armate tedesche occupano Belgrado.Lubiana

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17 aprile 1941 - Capitolazione dell'esercito jugoslavo. Re Pietro II e il governo, a bordo di aerei inglesi, vanno in esilio prima in Grecia e poi a Londra.

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 3 maggio 1941 - L'Italia si annette la provincia di Lubiana.


5 maggio 1941 - Il Partito comunista jugoslavo decide la resistenza armata con la guida di Tito. Quasi subito, però, ci sono anche sanguinosi scontri tra i vari gruppi di "resistenti" esistenti in Jugoslavia.


15 maggio 1941 - Viene costituito, sotto il controllo italiano, il Regno di Croazia.


8 maggio 1941 - Il Duca di Spoleto, Ajmone di Savoia - Aosta, è nominato re di Croazia con il nome di Tomislao II.

  

7 luglio 1941 - Primi combattimenti tra partigiani jugoslavi e reparti tedeschi e italiani.


3 ottobre 1941 - Il Montenegro occupato diventa protettorato italiano

 

 

 

Vediamo cosa pensa del Trattato di Parigi un sito di destra:

 

 10 Febbraio 1947: firma, a Parigi, del Trattato di Pace tra l'Italia e le nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale. Un atto fortemente contestato, anche da personalità non certo accusabili di filofascismo (per tutte Benedetto Croce (sic!)), un trattato che viene imposto all'Italia senza alcuna possibilità negoziale (sarà definito, per tale ragione, "Diktat") e che segna in maniera drammatica le sorti del confine orientale italiano: cessione alla Jugoslavia di Zara, di Fiume e di gran parte dell'Istria, costituzione di uno stato cuscinetto, tra Italia e Jugoslavia, definito T.L.T. - Territorio Libero di Trieste, affidato alla tutela dell'ONU (che dovrà nominarne il Governatore) - e comprendente Trieste, il territorio ad essa immediatamente limitrofo ed una parte dell'Istria, corrispondente a circa un quarto della penisola. All'epoca, non meno che in tutti i decenni che ne sono seguiti, il Diktat del '47 è stato ripetutamente bollato per la sua ingiustizia ed iniquità: giudizio di certo sacrosanto […]

 

 

Gasparri_9 …sacrosanto anche bollare come atto di stupidità scegliere come Giorno del Ricordo il giorno della firma di questo "iniquo diktat", al quale, se non andiamo errati, siamo stati portati dalla cogliona e criminale politica degli antenati di Gasparri&Bisi, o no? Siamo pronti a scommettere che se il Trattato di Parigi fosse stato firmato in settembre, a nessun fascista sarebbe venuto in mente di volere il giorno del trattato come Giorno del Ricordo, cercando disperatamente un altro evento “storico” più vicino al Giorno della Memoria (della serie “più si è vicini, più si disturba…) Vedete, amici della destra (minuscolo): quando si menano le mani, si possono darle o si possono prenderle, e noi le abbiamo prese: si può fare a mazzatte per difendersi o per attaccare, e noi abbiamo attaccato. E’ nella logica delle cose: chi perde, paga. E se durante la partita ha fatto delle porcherie, spesso viene ripagato con le stesse porcherie. Un consiglio mediatico-politico ai grandi storici Gasparri&Bisi: presentate una bella mozione per la cancellazione della giornata del Ricordo, perché è un autogol, di quelli Memorabili…

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Si può sapere quanti sono questi benedetti morti? (domanda posta da un incazzatissimo Bruno Vespa circa i morti dell’Italicus, quando ancora il treno bruciava, e neanche i pompieri potevano entrare nella galleria)

 

 

Quante furono le vittime? Secondo alcuni: 20-30 mila (sparare cazzate non è un reato punito per legge). Ma un’indagine minuziosa del Centro studi adriatici raccolta in un albo pubblicato nel 1989 le fa scendere a 10.137 persone: 994 infoibate, 326 accertate ma non recuperate dalle profondità carsiche, 5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali o altre fonti, 3.174 morte nei campi di concentramento jugoslavi. Erano presi di mira tutti coloro che si opponevano al disegno dell'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, compresi molti antifascisti, membri del Cln che avevano fatto la Resistenza al fianco dei loro assassini. La "caccia al fascista", infatti, si esercitò, perfino con maggiore precisione, nei confronti di antifascisti, i componenti dei Comitati di Liberazione Nazionale di Trieste e di Custercamp Gorizia, e gli esponenti della Resistenza liberaldemocratica e del movimento autonomistico di Fiume. Dunque, infoibati perché italiani. Lo sostiene anche lo storico Giovanni Berardelli: "La loro principale colpa era quella di essere, per la loro nazionalità, un ostacolo da rimuovere al programma di Tito di annessione del Friuli e della Venezia Giulia". Da cui l'odierna accusa di genocidio o di pulizia etnica.

 

La storia dei 10.137 morti delle foibe (che includono, e non si sa perché, anche 3.174 morti nei campi di concentramento jugoslavi), è di una tale sconvolgente precisione, rispetto alla doverosa approssimazione degli storici più seri), che mi fa venire in mente la barzelletta, cretina ma sempre attuale, della vedetta del Generale Custer. Dunque, il Generale Custer manda in avanscoperta una vedetta, perché gli riferisca con esattezza quanti siano i nemici nascosti dietro le tre colline che chiudono la linea dell’orizzonte. Dopo 24 ore, la vedetta rientra e riferisce: “Generale, i nemici sono 10.137” Bravissimo, ma… come fai ad essere così sicuro e preciso? “Generale, vede la collinetta piccola, sulla sinistra? Ci sono esattamente 120 nemici… ho sentito l’appello; vede la collinetta piccolissima, sulla destra? Ci sono esattamente 17 nemici, li ho contati durante il rancio” Vai avanti, e allora?… “Vede quella grande collina al centro?, beh… lì c’è una gran quantità di nemici: saranno, a spanne, diecimila!”

 

Non vogliamo essere dissacratori, ma quando per superare la “soglia psicologica” dei 10.000 morti si ficcano dentro assassini comuni, morti partigiani, morti nei campi di concentramento, e si rimane ancora molto, troppo distanti dalla cifra-obiettivo, ecco la trovata alla Custer: “…5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali o altre fonti…”. Non è meraviglioso?

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Il punto di vista dell'ANPI

 

VIOLENZA FASCISTA


Guzzanti_mussoliniIl Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni ebbe l’effetto di un fiammifero sulla benzina. «Il Trattato - è scritto nella relazione - accolse in pieno le esigenze italiane e amputò un quarto abbondante dell’area ritenuta dagli sloveni come proprio "territorio etnico"». La politica estera fascista fece il resto: «Nella Venezia Giulia vennero progressivamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, le scuole furono italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero posti limiti all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi». All’eliminazione politica delle minoranze, si accompagnò da parte del regime mussoliniano un’azione che «aveva l’intento di arrivare alla bonifica etnica della Venezia Giulia». In questo senso, la commissione mista ricorda la repressione attuata nei confronti del clero, che rappresentava un importante momento di sintesi della coscienza nazionale delle minoranze: «Tappe fondamentali dell’addomesticamento della Chiesa di confine furono la rimozione dell’arcivescovo di Gorizia, Francesco Borgia Sedej, e del vescovo di Trieste, Luigi Fogar. I loro successori applicarono le direttive "romanizzatrici" del Vaticano», anche attraverso «l’abolizione dell’uso della lingua slovena nella liturgia e nella catechesi».
 

ODIO ANTI ITALIANO


La  prima  conseguenza  di  «questo  programma  di  distruzione  integrale delle identità» fu la fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia: «Secondo stime jugoslave emigrarono 105 mila sloveni e croati». Ma soprattutto si consolidò, agli occhi di queste minoranze, un fortissimo sentimento anti italiano, «l’equivalenza tra Italia e fascismo» che portò «la maggioranza degli sloveni al rifiuto di quasi tutto ciò che appariva italiano». Come reazione, si radicalizzarono gli obiettivi delle organizzazioni clandestine slovene che, verso la metà degli anni Trenta, «abbandonarono le rivendicazioni di autonomia culturale nell’ambito dello Stato italiano per puntare invece al distacco dall’Italia dei territori considerati loro». Un’azione che trovò l’appoggio del Partito comunista italiano. La risposta fascista fu pesante: dopo l’occupazione dei territori jugoslavi nel ’41, il regime «fece leva sulla violenza, con deportazioni nei campi istituiti in Italia (Arbe, Gonars, Renicci), il sequestro di beni e l’incendio di case».

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Mussolini_b_1La verità sulle foibe

"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani".

Benito Mussolini, 1920

.(di Marco Ottonelli - DemocraziaLegalità)

 

 

S L O V E N I   !

 

RoattaAl momento dell'annessione, l'Italia vittoriosa vi ha dato condizioni estremamente umane e favorevoli. Dipendeva unicamente da voi, di vivere in un'oasi di pace.  Invece molti di voi hanno impugnato le armi contro le autorità e le truppe italiane.  Queste, per un alto senso di civiltà ed umanità, si sono limitate all'azione militare, evitando misure che gravassero sul'insieme della popolazione ed ostacolassero la normale vita economica del paese.

 

E' solo quando i rivoltosi sono trascesi ad orrendi delitti contro italiani isolati, contro vostri pacifici concittadini e persino contro donne e bambini, che le autorità italiane sono ricorse a misure di rappresaglia ed a qualche provvedimento restrittivo, di cui soffrite per causa dei rivoltosi.

 

Ora, poichè i rivoltosi continuano la serie di delitti, e poichè una parte della popolazione persiste nel favorire la ribellione, disponiano quanto segue:

 

1°) A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana sono soppressi tutti i treni viaggiatori locali; è vietato a chiunque viaggiare sui treni in transito, tranne a chi è in possesso di passaporto per le altre provincie del regno e per l'estero; sono soppresse tutte le autocorriere; è vietato il movimento con qualsiasi mezzo di locomozione, fra centro abitato e centro abitato; è vietata la sosta ed il movimento, tranne che nei centri abitati, nello spazio di un chilometro dai due lati delle linee ferroviarie. (Sarà aperto senz'altro il fuoco sui contravventori); sono soppresse tutte le comunicazioni telefoniche e postali, urbane ed interurbane.

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 2°) A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno immediatamente passati per le armi: Coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe italiane; coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi; coloro che favoriranno comunque i rivoltosi; coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare falsificati; i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nelle zone di combattimento.

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3°) A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno rasi al suolo: gli edifizii da cui partiranno offese alle autorità e truppe italiane; gli edifizii in cui verranno trovate armi, munizioni, esplosivi e materiali bellici; le abitazioni in cui i proprietari abbiano dato volontariamente ospitalità ai rivoltosi. Sapendo che fra i rivoltosi si trovano individui che sono stati costretti a seguirli nei boschi, ed altri che si pentono di aver abbandonato le loro case e le loro famiglie, garantiamo salva la vita a coloro che, prima del combattimento, si presentino alle truppe italiane e consegnino loro le armi. Le popolazioni che si manterranno tranquille, e che avranno contegno corretto rispetto alle autorità e alle truppe italiane, non avranno nulla a temere, nè per le persone, nè per i loro beni.


gen. Roatta, Lubiana  luglio 1942 – XX

.Alcide_de_gasperi

Premessa: la redazione di DemocraziaLegalità (da cui è tratto parte del materiale) ha, come suo scopo principale, sempre privilegiato, quello della ricerca obiettiva della realtà dei fatti, anche quando scomoda e dolorosa. In un momento storico in cui gli eredi del partito fascista sono al governo del Paese, ed in cui la retorica patriottarda risuona ancor più violenta e oscurantista del solito, riteniamo necessario ricollocare storicamente e documentatamente la vicenda delle foibe istriane, vicenda alla quale la destra e le sinistra amorevolmente unite hanno deciso di dedicare una speciale giornata della memoria. Anzi, il ministro Gasparri ha voluto sollecitare tutti i mezzi di informazione liberi ad occuparsi della vicenda. Ci siamo occupati di questo aspetto nell’articolo “Ultime dal Minculpop”. La nostra redazione ha partecipato ad una trasmissione radiofonica – trasmessa da Controradio - che è servita a far luce e a chiarire la verità, appunto, di quel tragico periodo. L’audio completo della trasmissione, cui hanno partecipato Raffaele Palumbo, Nicola Tranfaglia, Giacomo Scotti, Marco Ottanelli, Giovanni Bellini, Sandro Damiani è disponibile nel CD intitolato “l’impunità” in vendita tramite il sito di DemocraziaLegalità.

Le origini antiche di un odio feroce

Sia nella Serenissima Repubblica Veneta, sia nell’Impero Austro-Ungarico, il concetto di nazionalità era tanto sfumato quanto poco “etnico”. È solo dopo la prima guerra mondiale, cioè quando i nazionalismi si affermano fino a sfociare nei razzismi di Stato, che il Regno di Italia comincia una politica di italianizzazione forzata delle “terre irredente”. Da ogni regione, piovono funzionari e impiegati pubblici, che sostituiscono i locali. La lingua ufficiale, anzi, obbligatoria, diventa l’italiano, e dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati, proibiti. Se l’effetto di tale norma è assai violento nelle città della costa, dove comunque gli “italiani” erano in maggioranza o assai numerosi, e dove bi e trilinguismo erano la norma, è nelle zone rurali e nell’interno che gli slavi (sloveni, croati, dalmati, cici), in gran parte contadini poco alfabetizzati, si ritrovano ad essere stranieri in Togliatti patria. Le durissime condizioni imposte dal Regno si fanno ancora più rigide ed intolleranti con il fascismo. Tra gli episodi da ricordare: la chiusura del liceo classico di Pisino, dell'istituto magistrale femminile di Pisino e del ginnasio di Volosca (1918), la chiusura delle scuole elementari slovene e croate, e il confino di alcuni esponenti Sloveni e Croati in Sardegna e in altre località italiane. A ciò si aggiungevano le violenze fasciste non contrastate dalle autorità, come gli incendi delle sedi associative a Pola e a Trieste. In Istria l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione e nei tribunali era stato limitato già durante l'occupazione (1918-1920). Nel marzo 1923 il prefetto della Venezia Giulia vietò l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione, mentre per decreto regio il loro uso nei tribunali fu vietato il 15 ottobre 1925. Il colpo definitivo al sistema scolastico sloveno e croato in Istria arrivò il 1 ottobre 1923 con la riforma scolastica del ministro Gentile. L'attività delle società e delle associazioni croate e slovene era stata vietata già durante l'occupazione, ma poi specialmente con l'entrata in vigore della Legge sulle associazioni (1925), Legge sulle manifestazioni pubbliche (1926) e Legge sull'ordine pubblico (1926). Nel 1927 fu il turno del cambiamento dei cognomi (la toponomastica era già stata italianizzata nel 1923). Così vennero italianizzati quasi tutti i cognomi sloveni e croati. Un vero atto di brutalità verso le identità personali. (Non dobbiamo dimenticarci che tali provvedimenti vennero presi anche a Zara e Fiume, città “extraterritoriali” che furono annesse a forza dopo la prima guerra mondiale.)

 

Ministro_gentile

Le leggi razziali antiebraiche e genetiche del 1938 (che seguono le meno famose, meno organiche, ma altrettanto famigerate leggi razziali del ’36-’37 emanate nei confronti dei popoli di pelle nera, e altri “coloniali”) dividono ancor più la cittadinanza in due categorie, gli “italiani puri” e gli inferiori. Duramente colpita, in particolare,  la numerosa e antica comunità ebraica di Trieste, da sempre città cosmopolita e multiculturale.

 

La Seconda Guerra Mondiale

 

La ignobile aggressione alla Grecia obbliga i comandi italiani in difficoltà a chiedere l’intervento della Germania, mettendo così fine alla illusione della “guerra parallela”. Nel 1941, dopo un criminale bombardamento su Belgrado, che viene rasa al suolo, Tedeschi, Ungheresi e Italiani invadono la Jugoslavia, occupandola completamente in poche settimane.

 

All’Italia spettano: l’intera costa dalmata, parte del Montenegro, quasi l’intera Slovenia e la Croazia, sotto forma di protettorato. La Slovenia viene annessa, e diventa la provincia di Lubiana. La Croazia diventa un regno “indipendente”, con primo ministro Ante Pavelic, un fascista feroce e sanguinario, amico di vecchia data di Mussolini, e come Re un cugino di Vittorio Emanuele III, Aimone di Aosta. Il partito fascista e razzista croato, gli Ustascia, formato da fanatici religiosi (cattolici) e nazionalisti, appoggiati dal vescovo di Zagabria e primate di Croazia Stepinac, intraprendono fin da subito una opera di pulizia etnica nei confronti di Serbi e altre minoranze, spesso spalleggiati dalle truppe italiane.

 

Ante_pavelicL’intera Jugoslavia diventa territorio di stragi e di crudeltà. Alla fine della guerra, sarà uno dei paesi che avrà pagato il più alto tributo di morti, da calcolarsi in circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti (si pensi che i caduti italiani tra civili e militari, fra battaglie e bombardamenti, repressioni e fucilazioni, non supera le 300 mila unità su 45 milioni di abitanti). Fatte le proporzioni, è come se in Italia fossero stati ammazzati, in un modo o nell’altro, 4.200.000 connazionali. Pensiamo davvero che vorremmo tanto bene agli jugoslavi???

 

 

In particolare, sono da attribuirsi alla responsabilità diretta delle truppe di occupazione italiana almeno 250 mila morti, che le fonti serbe però portano ad un totale di 300 mila. Di questi, i morti in combattimento sono una parte esigua, perché la stragrande maggioranza delle vittime fu dovuta a vere e proprie stragi e repressioni, a saccheggi e a brutalità. In particolare, è da ricordare il ruolo della II Armata Italiana, sotto il comando del generale Roatta.

 

 

La situazione è differenziata nei diversi territori: le peggiori e più inumane condizioni si verificarono nella Jugoslavia meridionale, dove si aprì una vera e propria caccia al serbo. Vere e proprie spedizioni italo-croate partivano alla volta dei villaggi e delle cittadine serbe, dove, in un’orgia di violenze di ogni tipo, centinaia di uomini, donne e bambini venivano torturati e uccisi. I villaggi jugoslavi distrutti dagli italiani sono non meno di 250, ai quali vanno aggiunti quelli distrutti in collaborazione con i tedeschi o con altre milizie dell’Asse. 250 Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in cui i colpevoli, i macellai, eravamo noi. Gli episodi di efferatezza e di crudeltà non si contano, e le mutilazioni, gli stupri, gli accecamenti erano all’ordine del giorno.

 

Primate_stepinac_1

Il comandante partigiano cattolico Edvard Kocbek così descriveva un'offensiva sferrata dall'esercito italiano nell'agosto del 1942: "I villaggi bruciano, i campi di grano e i frutteti sono stati devastati dal nemico, le donne e i bambini strillano, quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per le armi, centinaia di persone vengono trascinate nei campi di prigionia, i bovini muggiscono e vanno vagando per i boschi. La cosa più sconvolgente è che questi orrori non vengono perpetrati da un'accozzaglia di primitivi come al tempo delle invasioni turche, ma dai gioviali soldati del civile esercito italiano, comandati da freddi ufficiali che impugnano fruste per cani... ". Spesso i partigiani slavi, o gli indifesi abitanti delle campagne, erano bruciati vivi (su roghi di fascine, o chiusi nelle chiese ortodosse, che furono distrutte – in questo modo- in gran numero). Le deportazioni della “inferiore razza serba” furono massicce, e decine di migliaia di ex soldati o di cittadini serbi fu avviata ai campi di sterminio tedeschi o a quello della Risiera di San Sabba, a Trieste, assieme con ebrei ed altre minoranze.

 

 

In Croazia, nel “regno indipendente”, l’opera delle truppe italiane fu di supporto e affiancamento alle milizie ustascia, mentre nelle coste e isole annesse, la repressione della II armata fu assai più pianificata e scientifica. Stessa cosa in Slovenia, che, entrata a far parte del territorio nazionale, doveva essere completamente assimilata.

 

 

Risiera Gli occupanti italiani costruirono campi di concentramento che, seppur non scientificamente predisposti allo sterminio, furono la causa di migliaia di morti e di infinite sofferenze. Tutti conosciamo Auschwitz e Buchenwald, ma decenni di censure ci hanno impedito di sapere che noi, italiani, costruimmo e gestimmo i leger di Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar,  Rab (isola di Arbe). Furono creati campi anche in Italia, per esempio a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso), a Renicci di Anghiari (Arezzo) e a Padova. Secondo stime rapportate nel volume dell'A.N.P.P.I.A. “Pericolosi nelle contingenze belliche”, i fascisti internarono quasi 30.000 sloveni e croati, uomini, donne e bambini. In Slovenia, già dall’ottobre del 1941, il tribunale speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città, rastrellamenti… prende corpo il progetto di deportazione di massa, con il trasferimento forzato degli abitanti di Lubiana, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 . In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene  proposta, addirittura, la deportazione della intera popolazione slovena

 

Solo per quel che riguarda la piccola Slovenia,  nei lager italiani morirono 13.606 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (sull’isola di Rab) ne morirono dai 1.500 ai 2.500 circa. I civili e partigiani “fucilati sul posto”, cioè durante azioni belliche,  furono non meno di 2.500. 1.500 invece i fucilati civili trattenuti come ostaggi, uccisi cioè mesi dopo il loro internamento, per stanare le bande partigiane o per vendetta contro azioni verso i nostri militari. I morti per sevizie, torture, o bruciati vivi arrivano ad un totale documentato di 187. Ripetiamo: questo solo nella “provincia di Lubiana”, dove più numerose sono le documentazioni giuntaci. Altrettanto duro, e crudele, è il campo di Gonas vicino Udine. Qua sono migliaia i bambini, soprattutto croati, lasciati a morire letteralmente di fame. (A proposito di morte per fame, è da ricordare come una buona parte dei 100 mila greci deceduti sotto l’occupazione italiana, morì appunto di inedia, poiché, per mantenere i numerosissimi uomini del contingente di occupazione- al quale sono da includere anche i famosissimi reparti di Cefalonia e di Corfù- si procedette con una espoliazione totale delle risorse locali).

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STRALCIO DELLE COMUNICAZIONI VERBALI FATTE DALL'ECC.  ROATTA NELLA RIUNIONE DI FIUME DEL GIORNO 23-5-1942

 

"Il DUCE è assai seccato della situazione in Slovenia perchè Lubiana è provincia italiana […] Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario […]


L'Ecc.  Roatta esprime il suo pensiero nei riguardi del sistema da usare per risolvere la situazione in Slovenia:

 

Pola- 1) Chiudere la frontiera con la provincia di Fiume e con la Croazia, specialmente nella zona di Gorjanci […]

 

- 2) Ad oriente del vecchio confine sgombrare tutta la regione per una zona di una profondità variabile (3-4 km.). In tale zona sarebbe interdetta qualsiasi circolazione tranne che sulle ferrovie e sulle strade di grande comunicazione. Apposite pattuglie in servizio di vigilanza aprirebbero senz'altro il fuoco contro chiunque. Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone. Si può quindi estendere il criterio di internamento a determinate categorie di persone. Ad esempio: studenti. L'azione però deve essere fatta bene cioè con forze che limitino le evasioni […]

 

Ricordarsi che tutti i provvedimenti di sgombero di gente, li dovremo fare di nostra iniziativa senza guardare in faccia nessuno.

 

F.to: Generale Roatta (23 maggion 1942)

 

Nota del Generale Robotti al Capo di Stato Maggiore Galli

 

”…chiarire bene il trattamento dei sospetti, perchè mi pare che su 73 sospetti non trovar modo di dare neppure un esempio è un po' troppo. Cosa dicono le norme della 3° circolare, e quelle successive ?…”


Conclusione: SI AMMAZZA TROPPO POCO !

 

 

Il bilancio

 

 

Anche se le dimensioni di una tragedia non dovrebbero essere misurate solo dal numero delle vittime, è chiaro che le cifre sono sempre di forte impatto. In questa ottica, sul numero dei morti dei quaranta giorni di occupazione slava (Tito fu poi indotto a ripiegare e ad abbandonare almeno la fascia costiera) e di quelli del periodo successivo dell’immediato dopoguerra, si è scatenato un indegno balletto. Fonti della destra e di associazioni di profughi parlano di 20-30 mila morti, ma tali numeri sono assolutamente esorbitanti. Il dibattito triestino e giuliano, dentro e fuori dei confini nazionali, ha spesso esasperato i calcoli, le cifre sono state, talvolta, sparate alla cieca. Gli studiosi, ma non soltanto loro, hanno, invece, fatto un buon lavoro. Si è arrivati a indicare cifre attorno alle quattro-cinque mila vittime. Una cifra che comprende, lo ribadiamo, non solo gli infoibati. I quali, calcolati secondo il criterio dei corpi estratti direttamente dalle caverne, sono in effetti 570. Cinquecentosettanta sono dunque gli ufficialmente infoibati. Molti. Ma nulla giustifica i bilanci di fantasia, stilati nell’ordine delle decine di migliaia solo a scopo di pura propaganda e di falsificazione della Storia.

 

 

I morti degli altri

 

Se non esistono morti buoni e morti cattivi, non crediamo debbano esistere morti eroi e morti da dimenticare a seconda di chi li ha uccisi. Perché la stragrande maggioranza delle perdite italiane nella guerra derivano dai bombardamenti anglo-americani. Qua non vogliamo elencare le stragi provocate dai massicci e spesso indiscriminati bombardamenti sui civili anche – e soprattutto - dopo la firma dell’armistizio, perché il terreno è troppo vasto. Potremmo raccontare dei 20 mila morti (questi sì, documentati) di una piccola città come Foggia, o di Isernia, che perse un terzo dei suoi abitanti sotto gli attacchi aerei. Potremmo raccontare di Napoli, Livorno, Messina, Palermo e Genova, dove i lutti furono numerosissimi e i danni incalcolabili. O del terribile bombardamento  di Treviso. O di quelli indiscriminati che gli aeroplani anglosassoni facevano al ritorno dalle loro missioni, sganciando il “carico in eccesso”, cioè le bombe avanzate, su case e paesi (pratica in uso anche nella guerra alla Serbia del 1999, con lo scarico di bombe in Adriatico). Potremmo anche soffermarci su episodi di esplicito cinismo e crudeltà, come il mitragliamento di bambini alle giostre di Grosseto, o quello dei civili in fila per il pane nelle campagne di Caltagirone. Ma circoscriveremo l’analisi alla sola zona geografica della quale stiamo trattando.

 

 

Foibecarrettoexodus Trieste viene attaccata massicciamente, per la prima volta, nel 1944. Il bombardamento più pesante è quello del 10 giugno, che viene effettuato come rappresaglia per l’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia. Solo quel giorno, i morti sono più di 400, migliaia i feriti. Solo nei raid del 15 luglio, del 9 - 10 settembre e del 23 ottobre 1944, si contano rispettivamente 50, 150, e 75 morti. I bombardamenti proseguono fino al maggio 1945 sia sul capoluogo, che sulle cittadine circostanti. Molti i morti anche a Muggia.

 

 

Pola, Istria e  Fiume: anche le più piccole località furono martellate ininterrottamente. Pola fu gravemente danneggiata, con decine e decine di morti, fin dal 1943, ma il primo attacco massiccio è datato 8 settembre 1944. Fiume, con porto e industrie militari, subisce distruzioni enormi e paga un altissimo tributo in vite umane.

 

Ma l’accanimento degli anglo-americani si manifesta soprattutto nei confronti di Zara. La piccola enclave (1,5 Km quadrati) subirà infatti ben 54 bombardamenti, che ne provocheranno la quasi distruzione. I morti saranno più di 4.000 su una popolazione di 38mila persone.

 

Ma per i revisionisti, per i professionisti della cantilena anticomunista, questi morti – dilaniati, straziati, bruciati dagli ordigni caduti dal cielo - non contano. Non contano come non contano gli altri, nel resto d’Italia, caduti – dal 1943, anno dell’armistizio, in poi - esattamente come gli infoibati, anche se la loro morte cadeva dal cielo. La teoria della “pulizia etnica” è tanto forzosa quanto miserabile, poiché la parte politica che, con questo pretesto, insiste da 60 anni in una violenta e brutale campagna (basta leggere alcuni siti web ed alcune riviste di … irredentisti) è la stessa che, negli anni del conflitto, intraprese una pianificata, scientifica, ufficiale e legale, nel senso che fu supportata da infami leggi razziste), campagna di genocidio e di morte nei confronti di ogni minoranza etnica, e, nelle terre conquistate, verso anche i popoli autoctoni maggioritari. Chi ha approvato ed esaltato, forse anche eseguito, i massacri, le deportazioni, i lager, i forni crematori, oggi dovrebbe avere la dignità di tacere.

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Foibe - I criminali di guerra (italiani brava gente)

Nell’immediato dopoguerra, tutte le parti politiche italiane, con l’appoggio ed il contributo determinante del comando anglo-americano, intrapresero una campagna, ed un'opera di deresponsabilizzazione. Gerarchi, federali, comandanti fascisti non solo evitarono punizioni ed epurazioni, ma furono lasciati ai più alti gradi di comando. Nessun generale, nessun comandante di armata, nessun ufficiale che si fosse macchiato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, venne mai processato o anche solo destituito. Il culmine della ipocrisia fu toccato, contemporaneamente, da De Gasperi e da Togliatti; dal primo, quando, alla Conferenza di Pace, illustrò meriti e onori del nostro Paese, e addirittura denunciò le pretese territoriali jugoslave che costringevano migliaia di profughi a scampare nella madrepatria (…l’Italia, stato aggressore, aveva perso la guerra!); il secondo, quando, da ministro di Grazia e Giustizia, emanò una amnistia generale che, se presentata come necessaria per pacificare il paese, in realtà permise la liberazione e il reintegro di migliaia e migliaia di fascisti.

 

Mentre Germania, Polonia, Romania, Ungheria subivano mutamenti territoriali drammatici, con trasferimenti di milioni e milioni di persone (otto milioni i tedeschi che abbandonarono la Prussia), le clausole del trattato di pace di Parigi venivano presentate in Italia come un affronto alla Patria. Nessuno vuole negare né disconoscere il dramma dei 250.000 profughi istriani e dalmati, che dovettero abbandonare le loro terre (spesso indotti a farlo dallo stesso governo italiano), ma è necessario ribadire che quello non fu un dramma causato dalla volontà persecutrice titina e comunista, come è stato troppe volte ripetuto, ma fu un dramma causato dalla sete di potere e di sangue di un regime dittatoriale militarista ed espansionista, che non aveva esitato, solo pochi anni prima, ad aggredire un altro membro della Società delle nazioni, l’Etiopia, nel quale aveva provocato non meno di mezzo milione di morti in soli cinque anni di occupazione.

 

Ma il senso di responsabilità mancò del tutto all’italia post-bellica, e, mentre le carceri si riempivano di ex partigiani, mentre i CNL venivano sciolti, mentre i consigli di fabbrica venivano cancellati, tutti i prefetti, tutti i questori, tutti i vicequestori nominati dal fascismo rimanevano saldamente sulle loro poltrone. Saranno gli stessi che, nel 1948, repressero con brutalità le manifestazioni seguite all’attentato a Togliatti, e gli stessi che, una volta epurata la polizia dai membri “sovversivi” (8.000 poliziotti definiti comunisti furono licenziati, o trasferiti in Sardegna e in Sicilia in una inutile e sanguinosa lotta al banditismo), provocarono gli scontri e i morti nel 1960, al tempo dell’infausto governo Tambroni.

 

 

I militari, in particolare, ebbero le più alte protezioni. Lo stesso Badoglio, considerato dal governo abissino come il diretto responsabile di stragi e bombardamento con i gas asfissianti, godeva dei favori particolari degli inglesi. I quali inglesi negarono in modo risoluto ogni possibilità di consegna dei criminali di guerra fascisti ai paesi richiedenti. In una Italia che vedeva il passaggio di gerarchi nazisti da Roma, in fuga verso il Sudamerica, fuga organizzata e gestita direttamente dal Vaticano, la cosa non deve – purtroppo - sorprendere. Lo stesso Ante Pavelic, il più sadico dei dittatori d’Europa,  si rifugiò in Vaticano per poi imbarcarsi verso l’Argentina.

 

 

Le autorità jugoslave fornirono immediatamente la lista dei criminali di guerra, con grande profusione di documenti. Le autorità militari inglesi, preoccupate del pericolo comunista, trovarono fin da subito ogni scusa per rimandare l’esecuzione degli arresti. Quando poi la sovranità tornò completamente al governo italiano, le richieste di estradizione furono semplicemente ignorate.

 

 

Da Belgrado era stata presentata una lista con circa 800 nomi. Essa fu via via ristretta, fino ad arrivare al numero quasi simbolico di 40 . Ma neanche questo indusse De Gasperi e gli alleati a ricercare la verità e la giustizia. Anzi! È in quegli anni che si decide di occultare, nascondere, insabbiare anche ogni inchiesta sulle stragi nazi-fasciste compiute in Italia. Sarà solo negli anni ’90 che un caparbio procuratore militare scoprirà un armadio, con le ante chiuse e volte verso il muro, contenente i fascicoli e le prove di decine e decine di massacri compiuti nell’Italia centro-settentrionale da tedeschi e repubblichini. È “l’armadio della vergogna” che Franco Giustolisi racconta con profusione di particolari nel suo libro omonimo.

 

Mentre in Germania si celebrano i processi di Norimberga (il più famoso, quello ai grandi gerarchi, provocò la condanna a morte di tutti i più alti esponenti del terzo Reich, ed altri ne seguirono contro funzionari minori, contro generali, medici, funzionari, magistrati e industriali corresponsabili delle barbarie naziste), in Italia le responsabilità della guerra e delle sue atrocità vennero semplicemente ignorate, ovattate, nascoste, poi, negate.

 

 

L’unico grande gerarca condannato (ma soltanto per il suo ruolo nella Repubblica di Salò, non per i crimini contro i popoli stranieri) fu il Maresciallo Rodolfo Graziani.  (Graziani fu processato da un tribunale militare e condannato il 2 Maggio 1950 a 19 anni di carcere, di cui 13 condonati, per la sua attività legata alla RSI. La pena da scontare di un anno e otto mesi fu ulteriormente ridotta a quattro mesi per la richiesta della difesa, subito accolta, di far iniziare la decorrenza della carcerazione preventiva al 1945. Pertanto, quattro mesi dopo la sentenza, il 29 agosto, Graziani tornò in libertà lasciando l'ospedale militare dove aveva trascorso gran parte della durata del processo. Graziani nel marzo 1953 divenne presidente onorario del MSI. Morì nel 1955 per collasso cardiaco).

 

 

La lista dei nomi completa è disponibile presso molti archivi ufficiali. Tra gli incriminati, ricordiamo in particolare il Gen. Mario Roatta, capo del corpo di spedizione italiano in Spagna e comandante della citata II Armata in Croazia;  il  comandante dell’XI corpo d’armata Gen. Mario Robotti, il grande deportatore di Lubiana,  il Gen. Taddeo Orlando, comandante dei Granatieri di Sardegna, poi sottosegretario nel governo Badoglio, e poi comandante dell’arma dei carabinieri nel dopoguerra! Il Gen. Paolo Berardi, capo di stato maggiore del Regio esercito dopo  l’armistizio, il Gen. Gastone Gambara, comandante a Lubiana e della piazza di Fiume…E poi altri generali, e colonnelli, e ufficiali, e sottufficiali, soldati, funzionari, comandanti dei campi di concentramento… nessuno di loro dovrà rispondere mai delle proprie azioni. Anzi, spesso li rivedremo nella storia della Repubblica occupare incarichi e uffici delicatissimi. È da notare che Mario Roatta fu, in effetti, processato e condannato all’ergastolo, ma per un altro reato: l’assassinio dei fratelli Rosselli. Il 4 maggio 1945, evade, fugge con la complicità dei carabinieri (al cui comando in quel periodo e' proprio Taddeo Orlando). Immediata fu la reazione popolare, e durante le manifestazioni ci furono due morti. Il giorno successivo Taddeo Orlando fu sostituito. Roatta si era rifugiato in Vaticano e di lì sarebbe partito con la moglie per la Spagna franchista, da dove ritornerà, amnistiato, nel 1966. Morì a Roma nel 1968. 1992 torturatori, massacratori, genocidi rimangono quindi impuniti. Non varrà neanche l’offerta jugoslava di uno scambio con i responsabili delle foibe a cambiare le cose. Una cortina di omissioni e falsità scende sull’Italia. Tutto questo, e le responsabilità britanniche nel processo di occultamento, è talmente noto (all’estero!) che la BBC, la televisione pubblica del Regno Unito, ha prodotto nel 1989 “Fascist Legacy”, un documentario estremamente approfondito sia sui crimini di guerra italiani in Africa e Balcani, sia sulla loro impunità successiva. “Fascist Legacy” è stato trasmesso da molte televisioni del mondo, ed è stato acquistato anche dalla RAI. Ma non è stato mai trasmesso.

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