IL DIVANO

di Gaetano Mistretta e Annalisa Tagliabue

 

 

 

Come tutte le sere Marco tornò stanchissimo dal lavoro, si lavò, mangiò e andò a stendersi sul divano in salotto.

"Caro, vieni a letto!" gli gridò più tardi la mogliettina, fresca di matrimonio e ancora molto passionale. "Perché te ne stai su quel divanaccio vecchio invece di stenderti su questo bel lettone? E poi sai cosa voglio dire, noooo???" aggiunse in tono malizioso.

"Certo che lo so, cara!" rispose e, senza aspettare oltre, spense la TV, si mise le pantofole e trottò felice verso di lei. Una volta infilatosi sotto le calde e accoglienti coperte del letto disse: "Sai amore, mi hai fatto venire in mente che dovremmo cambiarlo quel divano: ormai è tutto sfondato. Lo pagheremo a rate…"

Gisella, che aveva in mente ben altro, sussurrò un "Siiiiì…" disinteressato.

 

 

In settimana si recarono ai Grandi Magazzini Corradi di Ravenna, che svendevano tutto per fallimento.

"Sceglilo pure tu, cara: per me è uguale" disse Marco. Così, senza farselo ripetere due volte, Gisella optò per un divano in superofferta, una riproduzione di quelli in voga negli Anni 20, molto grande e morbido, color porpora antica. Non dovettero neanche fare la rateizzazione perché costava una miseria.

 

 

Il divano arrivò a casa loro dopo qualche giorno e quello vecchio finì alla discarica. Marco e Gisella ne erano entusiasti: in salotto stava davvero bene e gli donava quel pizzico di eleganza che Gisella aveva sempre desiderato.

Passò qualche mese e Marco passava tutto il tempo libero in salotto a guardare la TV steso sul divano nuovo; una sera poi, senza rendersene conto, si addormentò e venne sconvolto da un orribile incubo: aveva praticamente assistito alla sua morte e, per giunta, era una morte orribile.

Nell’incubo si trovava in un prato verde scuro, vastissimo: non vedeva altro che il prato e il cielo era nero come la pece. Né sole né luna: solo un uniforme colore nero… a un certo punto si sentì afferrare per un piede e, una volta caduto a terra, delle mani iniziarono a graffiarlo, strappandogli i vestiti per raggiungere la carne… e, quando ogni speranza sembrava ormai annegata in un lago di sangue, si svegliò urlando. Pensò subito alla cattiva digestione, come capita a tutti prima o poi, e andò a consolarsi fra le braccia della sua Gisella.

 

 

La sera seguente, però, gli successe di nuovo: questa volta nell’incubo faceva a pezzi la moglie con una mannaia, quindi rimase ancora più sconvolto. Aveva una tale furia addosso! Una brama di uccidere davvero pazzesca… Anche questa volta si destò sudato e debole e, per tirarsi su il morale, andò a prepararsi un salutare tè verde. In seguito ebbe altri incubi, uno più orrendo dell’altro. C’era un che di strano e ricorrente che non riusciva a interpretare, in quelle visioni, come se in un modo o nell’altro avessero un denominatore comune. Il suo stato d’animo, durante le "fughe", era sempre lo stesso: incazzato e senza speranza.

Un triste e bieco rituale che si ripeteva tutte le sere: inesorabilmente si addormentava e sognava cose allucinanti, efferate uccisioni, corpi lacerati, morti che vagavano, disgrazie di ogni tipo… il tutto per mano sua. Ora iniziava davvero a preoccuparsi e pensò che forse non doveva più stare su quel divano la sera, che forse era colpa sua. Magari dovrei solo andare da uno psicologo, ma chi se lo può permettere? Io no di certo.

Da quando il divano nuovo era entrato in casa loro erano iniziate le visioni a sfondo horror, per cui doveva pur esserci sotto qualcosa di strano. Naturalmente a Gisella non raccontò nulla per non farla preoccupare e poi perché gli avrebbe dato dello scemo o, peggio ancora, l’avrebbe accusato di volerla spaventare a morte. Brutta storia, pensò. Davvero brutta…

 

 

Come stabilito non dormì più sul divano per un mesetto ma poi dimenticò ogni cosa e si convinse di aver immaginato e ingigantito ogni cosa, così tornò a fare i suoi pisolini su quel sofà tanto comodo ed elegante e gli incubi, rimasti assopiti in attesa di tempi migliori, divennero veri e propri lavaggi del cervello: il divano si era indispettito per la sua lunga assenza e, tramite subdole visioni, prese a manipolare la mente di Marco il sempliciotto, tranquillo operaio di periferia che in vita sua non aveva mai fatto male a nessuno.

Nella nuova serie di incubi l’esistenza gli appariva talmente scialba e noiosa che quando si svegliava, al mattino, gli faceva schifo persino prendere in mano il sapone per lavarsi la faccia: il suo matrimonio gli appariva fallimentare e la sua donna, che prima aveva tanto amato, brutta e grassa… naturalmente nulla era così ma il divano voleva assolutamente vendicarsi di lui.

Di conseguenza smise di mangiare e prese a intristirsi… niente più aveva senso, per lui, e la povera Gisella era preoccupata come non mai: quando facevano l’amore - cosa che accadeva sempre meno spesso - Marco sembrava un automa e lei capiva che lo faceva solo per soddisfarla: a lui, chiaramente, le loro effusioni non piacevano più…

Era ridotto un vegetale.

 

 

Una notte di luna piena il divano gli fece infine vedere come poteva cambiare la sua vita: dalle stalle alle stelle, insomma… nuova compagna, nuovo look, nuova personalità: tutto bello, luccicante, fresco… e questo finto bagliore rimase impastato nella sua mente confusa finché, in fabbrica, ci provò con una collega che da tempo gli sbavava dietro. Lui per anni aveva respinto le sue avances e i colleghi marpioni l’avevano sempre deriso, o forse invidiato senza darlo a vedere, per la sua incrollabile fedeltà a Gisella e ora, davanti alla sua resa senza condizioni, erano rimasti di sasso.

Vestiti nuovi, capelli biondi, Ray-Ban, macchina nuova e, soprattutto, DONNA NUOVA!

 

 

"Amore, che stai facendo?" chiese Gisella alzandosi dal divano sul quale, negli ultimi tempi, si sdraiava sempre più spesso. Era così mooorbido…

Marco apparve dall’altra stanza col cravattino mezzo allacciato e le rivolse l’ombra di un sorriso. "Niente, niente" bofonchiò, scomparendo in men che non si dica tra uno sbuffo di colonia e un altro di dopobarba. Aveva di meglio da fare che starsene lì a rimirare quella lagnosa che si stiracchiava sul sofà: entro venti minuti doveva trovarsi con la sua bella, quindi non c’era tempo da perdere.

"Amooreeee! Ma che fai ancora in bagno? Non dirmi che devi uscire anche stasera…"

"Purtroppo sì. Sai, i ragazzi vogliono la rivincita al poker… ieri li ho stracciati e mi sa che non gli è andata giù" si giustificò Marco, salutandola dalla porta del salotto mentre riponeva il cellulare nell’apposito fodero sul retro dei pantaloni di pelle nera.

"Non mangi niente?" Gisella si passò stancamente una mano fra i capelli spettinati. Ultimamente si curava sempre meno. Tanto, a che serve? Lui non mi guarda più!

"Meglio di no. Se non parto subito rimarrò imbottigliato dal traffico della partita."

"Già, la partita… ce n’è sempre una, di questi tempi. Ma vai, su! Che aspetti? Io mi arrangerò, come sempre, e poi mi metterò comoda comoda a guardare la TV."

"Allora ciao. Vedrai che domani staremo insieme. Promesso."

"Sì, certo. Domani…"

 

 

Domani, domani… intanto oggi è un altro giorno di merda. E Marco è diventato un altro che faccio persino fatica a riconoscere!

 

 

Ora il divano doveva mettere in atto il piano numero due: Marco era diventato troppo felice, anche se era tutta apparenza… era spensierato e questo non andava bene perché così rimaneva meno in casa e, come se non bastasse, non dormiva più su di lui: era troppo impegnato a passare le serate con la sua sgualdrina, l’allocco…

Una lacrima cadde dal retro del divano e Gisella non poté fare a meno di notare quella macchiolina. Oh! Ma guarda: si è sporcato… cosa sarà mai? Devo assolutamente pulirlo prima che torni Marco, pensò. Ci tiene tanto a questo maledetto divano!

Corse in bagno, prese straccio e detersivo, si mise carponi a strofinare con una mano artigliata alla stoffa del divano e, frega frega, cadde in una specie di trance. Durante la breve ma intensa allucinazione vide il marito sfrecciare sul lungomare a bordo della sua decapottabile ancora in rodaggio con accanto una biondona lasciva e prorompente, tutto il contrario di lei che era mora e pallida. Il volto della troia non le era nuovo… Ridevano spensierati e i raggi riflessi sul mare blu li colpivano come sciabole luminose, poi Marco l’abbracciava e la baciava… diamine, non l’aveva mai visto così radioso!

LA TRADIVA: suo marito LA TRADIVA!

 

 

Due giorni più tardi Gisella si trovava sull’autobus di ritorno dalla spesa. Si sentiva sempre più triste e sconfitta… sicura che Marco stesse per lasciarla. Le sportine piene di cibo e la puzza del marocchino seduto davanti a lei erano gli unici collegamenti alla realtà che le erano rimasti… anzi no: c’era anche una strana vecchia che la fissava da almeno cinque minuti. Un’anziana signora opulenta e bianca di capelli, vestita in modo sciatto ma funzionale. Forse sull’ottantina e ancora in gamba.

Gisella abbassò lo sguardo ma la vecchia, che non la perdeva di vista un attimo, le sorrise. Un sorriso aperto, cordiale. Strano, di questi tempi… Chissà cosa vorrà da me.

Tre fermate più tardi la vecchia si alzò e prese posto accanto a lei in un gradevole sbuffo di pesto alla genovese, posandole una mano calda, grassoccia e rugosa sulla gamba. Gisella trasalì.

"Tranquilla, cara. Non voglio farti male." La vecchia sorrise di nuovo.

"La conosco?" chiese Gisella, confusa.

"No, però ti posso aiutare."

"Aiutarmi?" Gisella notò che la vecchia non aveva trucco, né orecchini, né collane. Niente braccialetti e nemmeno anelli… niente di niente.

"So tutto di te e dei tuoi problemi. Di me ti puoi fidare."

"Ma io…"

"Niente ma. Lascia fare a me e ti libererò dal male."

"Mi scusi… devo scendere" protestò Gisella. La situazione si stava facendo paradossale, ma il bello doveva ancora venire.

"Che strano! Anch’io!" trillò la vecchia.

Le due donne scesero alla stessa fermata e si diressero entrambe verso est. La vecchia rise e la bontà della sua risata sciolse il cuore raggrumato di Gisella. "Ma lei chi è?" Il suo tono si era addolcito.

"Tesoro mio, io sono una vecchia che non ha più molto da vivere ma, prima di morire, vorrebbe aiutare una brava giovane a ritrovare l’amore del suo uomo."

 

 

L’amore del mio uomo… e chi se lo ricorda più, l’amore?

"Senta, lei è molto gentile ma certe cose sono troppo complicate per parlarne così sui due piedi…"

"Certo! Sono d’accordissimo. Per questo verrò da te e darò una bella ripulita al vostro divano."

 

 

Il divano! Come fa a sapere del divano?!

"Io so tutto, Gisella. Sono una maga, o una strega se preferisci. Una strega buona, però: il resto sono solo stronzate!"

Gisella stirò le labbra in un pallido sorriso e poi, senza sapere neanche lei il perché, proruppe in una risata liberatoria alla quale si unì anche la vecchia. Una forte amicizia tra donne stava sbocciando.

"Ecco, vedi? Il contatto è stabilito: non ci resta che procedere."

"Ma chi la manda? Come faceva a sapere…"

"Niente chiacchiere inutili, cara. E dammi del tu!"

Gisella annuì.

"Brava. Abbiamo un problema da risolvere e bisogna concentrarsi. Quella è casa tua, vero?"

"Sì." Gisella e la vecchia entrarono. Da lontano potevano sembrare nonna e nipote.

Il divano era in mezzo al salotto e pareva le stesse aspettando. Gisella, per la prima volta, lo trovò ostile, poco felice di vederla, se così si può dire di un oggetto inanimato, ma all’improvviso l’intera faccenda le parve una follia: roba da non credere… "Be’, eccolo" tagliò corto, riponendo la spesa sul tavolo della cucina. Un divano. È solo un divano!

La vecchia lo carezzò e fu come percorsa da un brivido. "Tesoro, puoi chiudere gli scuri?"

In un attimo la casa si rabbuiò e, stavolta, a tremare fu Gisella. La vecchia, nel frattempo, aveva tirato fuori dalla borsetta una moltitudine di candele e bastoncini d’incenso all’ambra.

"Ci vuole la massima concentrazione. Il rituale è complesso…"

L’atmosfera che si era creata era spettrale, inquietante: la vecchia si sedette sul divano e inspirò profondamente. I lineamenti del suo volto non più bello parevano mutare in continuazione alla tremula luce delle candele e Gisella sentiva che il fumo dell’incenso le dava un po’ alla testa… si sentiva confusa, fuori posto.

"Il divano è posseduto" disse all’improvviso la vecchia. "Uno spirito inquieto lo abita: un uomo molto sfortunato… un operaio, come tuo marito. Il poveretto è caduto nella pressa dell’imbottitura… lo vedo come se fosse qui… ed è morto fra atroci tormenti."

Gisella la guardò attonita. Non poteva credere alle sue parole. Una scena folle! "Ma come fai…"

"Shhhh. Ora lo devo esorcizzare." Gisella le diede una mano e lei la strinse con delicatezza. "Puoi sederti anche tu, cara. Ci sono io con te."

Gisella prese posto accanto alla vecchia e percepì una strana forza che si irradiava dal divano verso di lei. "Non temere" sussurrò la vecchia. "Rilassati. È tutto sotto controllo."

Le monetine conficcate sulle candele, intanto, cadevano una a una con un sinistro tintinnio in mezzo a sinuosi bagliori. Gli unici rumori che si udivano erano il respiro pesante della vecchia che stava raggiungendo il necessario stato di trance e il continuo tintinnio delle monete nei piattini.

"Lo sento. È già tra noi. Ora potrai interrogarlo." La medium alzò gli occhi al soffitto e Gisella non vide più che il bianco delle sue pupille. La voce della vecchia mutò. Ora la spirito parlava attraverso il suo corpo.

"AIUTO!" Una voce sgradevole, mascolina. In preda all’urgenza più disperata.

Gisella rabbrividì.

"LIBERATEMI! CAZZO, MI SENTO STRITOLARE!"

La vecchia sibilava, tra un’invocazione e l’altra dell’anima in pena.

"DOV’È MIA MOGLIE? SAPETE DOV’È MIA MOGLIE?"

Le candele iniziavano a spegnersi. Uno strano vento si era alzato nella stanza, e non era una cosa positiva: lo capiva persino Gisella.

"Chi sei?" domandò quasi senza accorgersene. Non che si aspettasse una risposta, però tentar non nuoce…

"E TU? CHI SEI, TU?"

Il terrore le paralizzò la gola.

"CHI È CHE PARLA? CHE CAZZO VUOI DA ME???"

"Io… i-io… ho solo comprato il divano…"

"E CON QUESTO?! VUOI CHE TI SCOPI PER QUESTO, EH? POTREI FARTI QUELLO CHE FACEVO A QUELLA PUTTANA DI MIA MOGLIE PRIMA DI UCCIDERLA!"

"S-senta… non so chi sia lei… ma io…"

"IO COSA?! HAI PAURA, ADESSO CHE PARLI CON ME?"

"Be’…"

"E ALLORA SUCCHIAMELO, TROIA!!!"

La vecchia, dopo questo rabbioso e assurdo invito, si afflosciò e non emise più alcun suono. Gisella, dopo qualche istante di stupore, le toccò un polso e capì che era morta. Non aveva retto alla tensione, oppure era stata uccisa dalla malvagità dello spirito nascosto nel divano.

 

 

E adesso che faccio?

 

 

Tanto per cominciare fece sparire candele, piattini e incensini, arieggiò la stanza e, quando Marco fu rincasato verso le due di notte, disse che la vecchia era una sua amica e che le era preso un colpo. Il che, dopotutto, era vero. Nessuno le creò problemi per questo. La vecchia, che si chiamava Jolanda Bechis, non aveva parenti e la polizia, una volta tanto, era contenta così. Un tranquillo caso di infarto. Semplice e pulito. Nessuna autopsia, niente scartoffie da riempire, tutto nei limiti della semplice routine. Un caso liscio come l’olio.

Per Gisella invece la storia era tutt’altro che finita: rivoleva assolutamente indietro il suo Marco e, soprattutto, voleva che la troia che aveva tentato di portarglielo via pagasse lo scotto del tradimento.

Una di quelle sere seguì dunque il marito e, dopo un lungo e umiliante appostamento qua e là per le strade cittadine tra ristoranti, cinema e night clubs, riuscì a scoprire dove abitava la "rivale". Che, per la cronaca, conosceva già di vista e di nome per averla incontrata a una cena aziendale.

 

 

 

"Benissimo. Ora so a chi dare il divano" disse a voce alta mentre componeva il numero di un’impresa di trasporti. Si sentiva perfida come Meryl Streep in She Devil. "E quando Marco mi chiederà che fine ha fatto gli dirò che mi aveva stufata. Ne compreremo un altro più sgargiante e meno infestato. Già: un divano normale. Poi vedremo che begli incubi si farà la stronza… anzi, magari le piaceranno anche… Come dice? No, no: stavo parlando con mio marito… Sì, avrei un divano da consegnare con urgenza a una persona… si chiama Vanna Bregoli e abita in via…"