PEDAGOGISTA DELL'ETA' EVOLUTIVA
a cura della Dott.ssa Annalisa Fracassi

 

 

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IL RUOLO PEDAGOGICO-EDUCATIVO NELLA FORMAZIONE DELL'IDENTITA'

(discorso tratto da "Lo sviluppo del bambino dal concepimento alla pre-adolescenza",

conferenza tenutasi sabato 12 Marzo 2005 presso il centro sportivo AXA, Roma).

… in questa sede tratterò gli aspetti educativi nella formazione dell’identità ponendo l’accento sulle dinamiche familiari e gli aspetti psicologici che la caratterizzano.

Fare dell’educazione sessuale, nel senso più proprio, vuol dire mettere a disposizione di una persona tutto quanto può servirle per esprimere al meglio la propria sessualità; ciò avviene trasmettendogli della conoscenza e quindi attivando un’informazione.

Prima di proseguire, però, sarà bene chiarire che cosa intendiamo per sessualità e per educazione.

La sessualità è una “qualità” tipica ed esclusiva dell’essere umano e non riguarda soltanto lo sviluppo biologico e corporeo, ma l’intera persona nei suoi aspetti fisici, mentali e psicologici. La sessualità non scaturisce solo da un istinto, da una pulsione originaria, ma anche da emozioni affettive del carattere e dalla storia personale di ciascuno.

Educare alla sessualità vuol dire valorizzare la relazione attraverso un rapporto culturale tra bambino e genitore tirando fuori le potenzialità sviluppate da stimoli operativi, ne consegue che educare non significa imporre delle regole. Educare alla sessualità implica dare al bambino gli strumenti con cui conquistare per conto proprio una vita relazionale felice insieme ad un’altra persona anche al di fuori della sfera più prettamente “biologica”.

Molti genitori, ed insegnanti, vorrebbero delle indicazioni precise, delle ricette, ma in questo campo non esiste uno schema preordinato o delle “regole” stabilite.

Il bambino non sa che cosa sia la morale sessuale (ossia una ideologia eventualmente fondata su esperienze personali, su una cultura religiosa o politica), ma sa benissimo cos’è il suo corpo, quello della mamma e cos’è il piacere. Nella fase di apprendimento perciò un intervento punitivo dell’adulto lo sconcerta, qualche volta lo sgomenta, ad ogni modo gli è incomprensibile; potrà arrivare a respingere tutto ciò che ha a che fare col piacere sessuale per amore dei genitori o per l’illimitata fiducia in loro, ma non sappiamo quello che succederà in occasione della crisi puberale.

L’approccio educativo nella formazione dell’identità significa considerare i comportamenti del bambino come espressioni di strutture cognitive, affettive e relazionali.

La scoperta della propria identità, maschile o femminile, non è fatta solo di biologia, ma di esperienza; in primo luogo all’interno della famiglia, poi al di fuori, con i coetanei.

L’aspetto affettivo e relazionale si sviluppa fin dai primi mesi di vita del neonato il quale esplora e conosce il proprio corpo, toccandosi e portandosi mani e piedi alla bocca; con questa “manipolazione” si procura un piacere e vive i primi “barlumi” di sessualità, così come si sviluppano i primi comportamenti pro-sociali; pensiamo al momento dell’allattamento in cui il neonato non solo soddisfa i suoi bisogni primari e fisiologici, ma interiorizza mediante la relazione materna, i primissimi comportamenti di attaccamento per mezzo, non solo del legame affettivo, ma anche mediante un gioco di sguardi, sorrisi, carezze con la mamma. Durante queste fasi il ruolo pedagogico assume un’importanza notevole poiché i comportamenti di attaccamento interiorizzati del bambino (aspetto cognitivo) nel corso dello sviluppo si maturano nella capacità di saper comunicare, ascoltare, esprimere desideri nei confronti dell’adulto, fare domande anche in merito alla sfera della conoscenza sessuale.

I genitori probabilmente si sentiranno un po’ imbarazzati, anche un po’ emozionati, davanti alle domande del bambino, soprattutto intorno ai 4-5 anni che è l’età dei grandi “perché”, fase in cui il bimbo esplora non solo il mondo, ma se stesso in rapporto con i genitori. Per una corretta educazione sta ai familiari perciò incoraggiare la curiosità dei figli.

Certo, spazi della sessualità del corpo, possono incontrare imbarazzo sia per i grandi, sia per i piccoli, anche se negli ultimi decenni le famiglie sono cambiate: i temi del sesso sono stati già affrontati anche se non in modo sistematico.

Ai genitori non resta che far riferimento al proprio ruolo di sempre, alla funzione conoscitiva, di approccio, di apprendimento nei confronti del figlio ogni volta che questo si avvicina ad argomenti complessi (ad esempio è educativo l’utilizzo di videocassette del corpo umano o libri che illustrano l’identità sessuale maschile e femminile); nel parlare di sessualità non c’è uno schema fisso su chi debba essere il genitore che faccia educazione sessuale, spesso è la mamma a cui il piccolo si rivolge per parlare di cose più personali, mentre il padre ha quasi sempre una funzione d’indirizzo, pone limiti e divieti, ciò dipende dal ruolo dei genitori: quello che ha più confidenza col bambino è il più adatto ad accompagnare la visione di un documentario.

Esiste un momento in cui il bambino comincia a fare delle domande specifiche (ad esempio cos’è una donna, un uomo o il rapporto sessuale) ed è allora che esso comincia a costruirsi la propria storia personale, osservando i genitori ed un mondo che diventa sempre più ampio.

Non è molto pedagogico quando invece cerchiamo di spiegare troppe cose complesse ad un bimbo di 3 anni perché vogliamo fargli fare un’inutile salto in avanti, la funzione di stimolo è fondamentale, ma il genitore non deve avere in testa un bambino più adulto di quello che ha davanti.

Spesso i genitori si chiedono se esiste un’educazione sessuale differente per il maschietto o la femminuccia; io credo che la bambina per lo stesso processo di costruzione della femminilità sia più portata a parlare di temi della maternità: come si procreano i bambini, come crescano,come si allattano. Il maschio a volte se ne infastidisce, ma qui interviene per il bambino anche un problema di stereotipi sociali, di una sollecitazione alla competizione, all’affermazione, che diventa il suo modello di comportamento.

In entrambi i casi, l’aspetto educativo è quello di considerare la fantasia del bambino come ruolo fondamentale della costruzione dell’esperienza: è con la fantasia che ritornandosi una favola, un gioco, un’immagine, il bambino filtra il suo rapporto con l’età, sdrammatizza, supera le paure.

All’età di 5-6 anni sono molto immersi nel rapporto con la famiglia e nelle competizioni con i genitori; ci sono momenti in cui i bambini si sentono esclusi dal mondo dei genitori (ad esempio dalla camera da letto che diventa un luogo di grandi immaginazioni), proprio in questa fase essi faranno domande e riusciranno a stabilire un equilibrio tra fantasia e realtà.

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