… in questa sede tratterò gli aspetti
educativi nella formazione dell’identità ponendo l’accento sulle dinamiche
familiari e gli aspetti psicologici che la caratterizzano.
Fare dell’educazione sessuale, nel senso
più proprio, vuol dire mettere a disposizione di una persona tutto quanto
può servirle per esprimere al meglio la propria sessualità; ciò avviene
trasmettendogli della conoscenza e quindi attivando un’informazione.
Prima di proseguire, però, sarà bene
chiarire che cosa intendiamo per sessualità e per
educazione.
La sessualità è una “qualità” tipica ed
esclusiva dell’essere umano e non riguarda soltanto lo sviluppo biologico e
corporeo, ma l’intera persona nei suoi aspetti fisici, mentali e
psicologici. La sessualità non scaturisce solo da un istinto, da una
pulsione originaria, ma anche da emozioni affettive del carattere e dalla
storia personale di ciascuno.
Educare alla sessualità vuol dire
valorizzare la relazione attraverso un rapporto culturale tra
bambino e genitore tirando fuori le potenzialità sviluppate da stimoli
operativi, ne consegue che educare non significa imporre delle regole.
Educare alla sessualità implica dare al bambino gli strumenti con cui
conquistare per conto proprio una vita relazionale felice insieme ad
un’altra persona anche al di fuori della sfera più prettamente “biologica”.
Molti genitori, ed insegnanti, vorrebbero
delle indicazioni precise, delle ricette, ma in questo campo non esiste uno
schema preordinato o delle “regole” stabilite.
Il bambino non sa che cosa sia la morale
sessuale (ossia una ideologia eventualmente fondata su esperienze personali,
su una cultura religiosa o politica), ma sa benissimo cos’è il suo corpo,
quello della mamma e cos’è il piacere. Nella fase di apprendimento perciò un
intervento punitivo dell’adulto lo sconcerta, qualche volta lo sgomenta, ad
ogni modo gli è incomprensibile; potrà arrivare a respingere tutto ciò che
ha a che fare col piacere sessuale per amore dei genitori o per l’illimitata
fiducia in loro, ma non sappiamo quello che succederà in occasione della
crisi puberale.
L’approccio educativo nella formazione
dell’identità significa considerare i comportamenti del bambino come
espressioni di strutture cognitive, affettive e relazionali.
La scoperta della propria identità,
maschile o femminile, non è fatta solo di biologia, ma di esperienza; in
primo luogo all’interno della famiglia, poi al di fuori, con i coetanei.
L’aspetto affettivo e relazionale si
sviluppa fin dai primi mesi di vita del neonato il quale esplora e conosce
il proprio corpo, toccandosi e portandosi mani e piedi alla bocca; con
questa “manipolazione” si procura un piacere e vive i primi “barlumi” di
sessualità, così come si sviluppano i primi comportamenti pro-sociali;
pensiamo al momento dell’allattamento in cui il neonato non solo soddisfa i
suoi bisogni primari e fisiologici, ma interiorizza mediante la relazione
materna, i primissimi comportamenti di attaccamento per mezzo, non solo del
legame affettivo, ma anche mediante un gioco di sguardi, sorrisi, carezze
con la mamma. Durante queste fasi il ruolo pedagogico assume un’importanza
notevole poiché i comportamenti di attaccamento interiorizzati del bambino
(aspetto cognitivo) nel corso dello sviluppo si maturano nella capacità di
saper comunicare, ascoltare, esprimere desideri nei confronti dell’adulto,
fare domande anche in merito alla sfera della conoscenza sessuale.
I genitori probabilmente si sentiranno un
po’ imbarazzati, anche un po’ emozionati, davanti alle domande del bambino,
soprattutto intorno ai 4-5 anni che è l’età dei grandi “perché”, fase in cui
il bimbo esplora non solo il mondo, ma se stesso in rapporto con i genitori.
Per una corretta educazione sta ai familiari perciò incoraggiare la
curiosità dei figli.
Certo, spazi della sessualità del corpo,
possono incontrare imbarazzo sia per i grandi, sia per i piccoli, anche se
negli ultimi decenni le famiglie sono cambiate: i temi del sesso sono stati
già affrontati anche se non in modo sistematico.
Ai genitori non resta che far riferimento
al proprio ruolo di sempre, alla funzione conoscitiva, di approccio, di
apprendimento nei confronti del figlio ogni volta che questo si avvicina ad
argomenti complessi (ad esempio è educativo l’utilizzo di videocassette del
corpo umano o libri che illustrano l’identità sessuale maschile e
femminile); nel parlare di sessualità non c’è uno schema fisso su chi debba
essere il genitore che faccia educazione sessuale, spesso è la mamma a cui
il piccolo si rivolge per parlare di cose più personali, mentre il padre ha
quasi sempre una funzione d’indirizzo, pone limiti e divieti, ciò dipende
dal ruolo dei genitori: quello che ha più confidenza col bambino è il più
adatto ad accompagnare la visione di un documentario.
Esiste un momento in cui il bambino
comincia a fare delle domande specifiche (ad esempio cos’è una donna, un
uomo o il rapporto sessuale) ed è allora che esso comincia a costruirsi la
propria storia personale, osservando i genitori ed un mondo che diventa
sempre più ampio.
Non è molto pedagogico quando invece
cerchiamo di spiegare troppe cose complesse ad un bimbo di 3 anni perché
vogliamo fargli fare un’inutile salto in avanti, la funzione di stimolo è
fondamentale, ma il genitore non deve avere in testa un bambino più adulto
di quello che ha davanti.
Spesso i genitori si chiedono se esiste
un’educazione sessuale differente per il maschietto o la femminuccia; io
credo che la bambina per lo stesso processo di costruzione della femminilità
sia più portata a parlare di temi della maternità: come si procreano i
bambini, come crescano,come si allattano. Il maschio a volte se ne
infastidisce, ma qui interviene per il bambino anche un problema di
stereotipi sociali, di una sollecitazione alla competizione,
all’affermazione, che diventa il suo modello di comportamento.
In entrambi i casi, l’aspetto educativo è
quello di considerare la fantasia del bambino come ruolo
fondamentale della costruzione dell’esperienza: è con la fantasia che
ritornandosi una favola, un gioco, un’immagine, il bambino filtra il suo
rapporto con l’età, sdrammatizza, supera le paure.
All’età di 5-6 anni sono molto immersi
nel rapporto con la famiglia e nelle competizioni con i genitori; ci sono
momenti in cui i bambini si sentono esclusi dal mondo dei genitori (ad
esempio dalla camera da letto che diventa un luogo di grandi immaginazioni),
proprio in questa fase essi faranno domande e riusciranno a stabilire un
equilibrio tra fantasia e realtà.