L’ATTRAVERSAMENTO  DELL’OCEANO  ATLANTICO

Durante  l’attraversamento  dell’Oceano, vedemmo  degli  interminabili  branchi  di  delfini  che  ci  seguivano, ci  giravano  intorno  saltellando  sull’acqua  come  volessero  farci  festa  inoltre, branchi  di  pesci  rondine  che  spuntavano  dall’acqua, trasformando  le pinne  in  ali  e  volando  a  due  tre  metri  d’altezza  fino  a  cento  metri  lineari  ed  anche  più. Una  mattina  trovammo  in  coperta, intorno  alla  torretta, trenta – quaranta  pesci  di  tale  specie. Era  accaduto che nella  notte, mentre volavano,  essi  picchiarono  contro  la  struttura  metallica  rimanendo  uccisi  sul  colpo. Il cuoco  li  recuperò  e  ne  fece  una  buona  frittura  che  fu  distribuita  a tutto  l’equipaggio. Vedemmo  anche  moti  squali  nelle  acque  tropicali; la  maggior  parte  di  questi  specie  si  trattavano  di  feroci  pescicani  che  ci  segui-  vano  per  lunghissimi  tratti  a  fior  d’acqua. 

Il  nostro  ufficiale  alle  armi, approfittando  del  mare  calmissimo, dell’andatura  del  sommergi-bile  molto  lento  e  per  di  più  la  zona  abbastanza  sicura  perché  ormai  lontani  dal  traffico  navale  e  aereo  nemico, si  era  messo  in  testa  di  provare  a  pescare  qualche  pesce, aveva  portato  con  se  un  po’  d’attrezzatura  da  pesca  con  ami, filo  e  quant’altro  utile  alla  bisogna. Chiese  il  permesso  al  Comandante  e  gli  fu  concesso. Scese  in  coperta  sistemandosi  sulla  piazzola  del  cannone  di  poppa, buttò  l’amo  in  mare  aspettando  che  qualche  malcapitato  pesce  abboccasse.  Tutto  l’equipaggio  compreso  il  Comandante, lo  prendeva  in  giro  e  l’ufficiale  non  dava  retta  a  nessuno  impassibile, insisteva  per  ore  sotto  il  sole  che  scottava, ma  di  pesci  neanche    l’ombra. Il  secondo  giorno, dalla  torretta, per  mezzo  dell’interfono  rimasto  aperto  sentiamo  un  vo-  ciare  confuso, in  un  primo  momento  pensammo  ad  un  avvicinamento  di  qualche  piroscafo nemico, invece  non  era  tutto  questo, l’ufficiale  pescatore  era  riuscito  a  prendere  un  bel  pesce  dal  peso  di  circa  due  chili  e  sghignazzando  voleva  richiamare  l’attenzione  di  tutti, anche  per  riprendersi  la  rivincita  dei  dileggi  e  scherni  subiti. Con  il  pesce  preso  per  la  coda  filò  il  boccaporto  della  torretta  per  mostrarlo  al  Comandante  questi, guardando  il  pesce  fece  una  battuta:

               “ Però, non  avrei  mai  immaginato  che  in  atlantico  ci  fossero  dei  pesci  così  fessi! ”

La  battuta  fece  il  giro  dell’intero  equipaggio  e  portò  fra  tutti  noi  un po’ di  buonumore. Nel  frattempo, l’ufficiale  non  si  diede  per  vinto  e  ricominciò  a  pescare, dopo  poco  tempo  ne  prese  un altro, il  giorno  seguente  altri  ancora  e  ricordo  che  pescò  sei - sette  pesci  in  tutto. Il  cuoco, dopo  averli  puliti  li  tagliò  a  fette  e  fece  una  buona  frittura. A  ciascuno  di  noi  venne data  una  fettina  di  fritto, che  dopo  tanti  viveri  inscatolati, fu  un  boccone  eccezionale. Ci  furono  fra  noi  discussioni  per  classificare  la  specie  del  pesce  che  durò  alcuni  giorni. non  riuscimmo  a  dargli  un  nome, assomigliava  al  merluzzo  ma  secondo  gli  esperti  ittici  non  poteva  essere  e  così  le  disquisizioni  continuarono  a  lungo. In  ogni  modo  servì  a  riassaggiare  un  po’ di   cibo  fresco, che  ruppe  la  passata  monotonia  purtroppo, l’ufficiale  dovette  interrompere  la  pesca  per  l’approssimarsi  della  zona  d’operazione.

Un altro  episodio  che  ruppe  la  monotonia  fu  una  rondinella  che  in  pieno  Oceano  si  posò   sull’antenna  ricetrasmittente  della  nostra  radio  di  bordo. Forse  il  volatile, distaccatosi  dallo  stormo  migratorio, sfinito  per  il  lungo  tragitto  percorso era  rimasto  isolato, approfittò  di  quell’appiglio  provvidenziale  sfruttandolo  per  più  di  un’ora; poi  riprese  il  volo  scomparendo  all’orizzonte. Ricordo  che  facemmo  a  gara  per  andare  a  vedere  quella  rondinella  che  in  pieno  Oceano  dava  dimostrazione  di  vita  e  di  energia. Sembrano  banalità  ma  nella  situazione  in  cui  ci  trovavamo,   erano  si  piccole  cose, ma  ci  dava  modo di  discutere, di  rompere  quell’atmosfera  che  man  mano  che  passavano  i  giorni  tra  noi, si  accentuava  sempre  di  più. Un  altro  giorno  ricordo, ero  a  riordinare  i  viveri  in  frigo, il  Comandante  stava  facendo  uno  spuntino, ed  in  torretta  oltre  alle  quattro  vedette  vi  era  un  ufficiale. Il  mare  era  calmissimo ad  un  tratto  l’unità  sbandò  su  un  fianco  per  l’effetto  di  una  rapida  accostata  detta  “ manovra  all’insaputa  del  Comandante  e  decisa  allo improvviso  dall’ufficiale  di  guardia, che  ci  fece  rimanere  con  il  fiato  sospeso, sospettammo  che  la  manovra  effettuata  fu  servita  a  schivare  qualche  siluro. Il  Comandante  si  portò  subito  in  torretta  dall’interrfonico  si  sentiva  discutere  ma  non  si  riusciva  a  capire  nulla.

Andai  nella cabina  radio, rimasi  alcuni  minuti  con  il  radiotelegrafista  di  guardia  ma, di  quanto  stava  accadendo  in  plancia,  mistero  assoluto. Dopo  un  po’  di  tempo  scese  una  vedetta  dalla  plancia  e  raccontò     che  avevano  avvistato,  a  circa  un  miglio,  qualcosa  che  galleggiava. L’ufficiale  di  guardia  di  sua  iniziativa,  aveva  manovrato  il  sommergibile  per  accostarsi  e  rendersi  conto  di  che  cosa  si  trattava. Era  una  piccola  imbarcazione  semisommersa  con  a  bordo  quattro  persone  decedute  ed  in  avanzato  stato  di  decomposizione. Chissà  da  quanto  tempo  la  scialuppa  vagava  alla  deriva  e  quanto  durò  la  spaventosa  terribile  agonia  di  quegli  sfortunati  naufraghi. Io  volevo salire  in  plancia  per  vedere  e  rendermi  conto  dell’orrenda  situazione  ma,  quel  mio  amico,  mi  sconsigliò  di  andare  facendomi  presente  che  era  una  vista  orribile da  far  rivoltare  lo  stomaco. Ci  rinunciai.

Riprendemmo  la  nostra  rotta  abbandonando  quei  poveri  resti  umani  come  l’avevamo  trovati. Tutti  noi  ne  rimanemmo  turbati. Il  Comandante  dopo  un  po’  ridiscese  dalla  plancia  e  raggiunse  il  quadrato  ufficiali  passando  davanti  al  ripostiglio  dove  io  stavo  sistemando  i  viveri, mi  chiese  se  fosse  possibile  avere  un  po’  di  caffe', ed  io  glielo  servii  in  un  bicchiere. Fece  un  sorso  e   disse  fra  se: “ la  guerra  è  una  brutta  cosa”. Parte  del  caffe'  e  dello  spuntino  che  stava  consumando  prima  di  salire  in  plancia  rimasero  sul  tavolo; raggiunse  la  sua  cabina  sdraiandosi  sulla  cuccetta  (completamente  vestito  e  per  tutta  la  durata  della  missione  per  essere  pronto ad  intervenire  in  caso  d’allarme). Anche  il  Comandante  era  rimasto  turbato  e scioccato  nel  vedere  quel  macabro  spettacolo.

Ci  trovammo  nella  zona  tropicale, un  mattino  dovetti  sostituire  una  vedetta  colpita  da  una  leggera  indisposizione. Salii  in  plancia  e  restai  esterrefatto: il  mare  sembrava  un’immensa  stesa  di  verde  che  si  estendeva  fino  all’orizzonte. Puntai  i  binocoli  verso  il  sole  che  stava  sorgendo    e  vidi  un  fenomeno  stupendo. Il sole, nell’affacciarsi  all’orizzonte  con  i  suoi  primi  bagliori  rossicci  rifletteva  i  suoi  raggi  su  quel verde  e  l’Oceano  assumeva  una  colorazione  fantastica, sembrava  insomma, un  immenso  tappeto  di  velluto  di  un  colore  indecifrabile, meraviglioso. Il  sottufficiale    che  stava  vicino  a  me, spiegò  che  stavamo  attraversando  il  “ Mare  dei  Sargassi”.  

In  questo  tratto  di  mare  prolifera  una  specie  d’alghe  molto  consistenti, tenute  a  galla  da  miriadi  di  palline  anch’esse  verdi  piene  di  aria  che, schiacciate  fra  le  dita, provocano  dei  piccoli  scoppi.  Lo  scafo  fendeva  quel  tappeto  e  dopo  il  nostro  passaggio  la  scia  che  si  era  formata  si  ricom-poneva  riprendendo  la  compattezza  di  prima. Passammo  la  linea  del  “ Tropico  del  Cancro” diri-gendoci  verso  le  Piccole  Antille. Dalla  partenza  erano  trascorsi  oltre  venti  giorni  e  non  avevamo  ancora  avvistato  nessuna  nave  nemica. Puntammo  allora  verso il  Mare  dei Carabi, il  Comandante incaricò  il  Direttore  di  macchina  di  relazionarlo  con  una  stima  il  più  possibile  precisa  di  quanta  nafta  avevamo  consumato  e  quanta  ne  restava. Il  risultato  dell’indagine  fece  riflettere  molto  il  Comandante  perché  emerse, che  avevamo  consumato  il  carburante  più  del  previsto. Convocò  in  camera  di  manovra, il  Direttore  con  tutto  il  personale  di  macchina   per  decidere  il  da  farsi.

Ammettendo  di  rifare  tutto  il  viaggio  all’inverso  (in  altre  parole  il  ritorno  alla  base)  sarebbe  rimasta  poca  disponibilità  di  nafta, senza  poi  tener  conto  di  possibili  spostamenti  in  zona  ed   eventuali  inseguimenti  in  caso  di  scoperta  di  qualche  nave  nemica. La  decisione  adottata  fu  di  restare  fermi  in  agguato  in  superficie. Di  conseguenza  furono  rafforzate  le  vedette, ad  intervallo  di  tempo  si  alzava  il  periscopio  per  cercare  di  allargare  la  vista  sulla  linea  dell’orizzonte. Dopo  alcune  ore  si  cambiava  zona  per  poi  riprendere  da  fermi, l’agguato. Cominciammo  a  passare  giorni  tremendi, nell’interno  del  som-mergibile  l’aria  era  stagnante  ed  il  caldo  eccessivo  provocavano  sempre  di  più  esalazioni  di  cattivi  odori  commisti  di  nafta, muffa, grassi  e  respirare  giorno  e  notte  di  continuo  in  quell’ambiente  fetido, provocava  a  tutto  l’equipaggio  nausea  e  malessere  generale. A  questo  punto  il  Comandante  ordinò  al  R.T.  di  comunicare  al  nostro  Comando  BETASOM, la  nostra  situazione. BETASOM  appena  ricevuta  la  comunicazione  ordinò  al  smg. Da Vinci, al Comando  dei  C.C. Luigi  Longanesi Cattani, essendo  il  più  vicino  che  disponeva  di  carburante  in  esuberanza  di  prendere  contatto  con  il  Morosini  e  passargli  un  quantitativo  di  nafta. Ci  incontrammo  ma  il  rifornimento  fallì  per  le  proibitive  condizioni  del  mare. Nel  tentativo, per  due  volte  ci  provocò  la  rottura  dei  cavi  di  rimorchio  costringendoci  a  rinunciare. Ci  salutammo  alla  voce  mentre  si  allontanavano  scomparendo  sulla  linea  dell’orizzonte  per  riprendere  la  loro  zona  di agguato. Dopo il  fallito  rifornimento, l’8  marzo  entrammo  in  contatto  radio  con  il  smg. Finzi  al comando del  C.C. Ugo Giudice. La  distanza  che   ci  separava  era  notevole in  quanto, il  Finzi, si  trovava a  N.E. di  Portorico  mentre  noi  a  circa  70  miglia  a  levante  di  Guadalupe (Piccole Antille)  per  tale  motivo  l’incontro  poteva  avvenire, salvo  imprevisti, dopo  due – tre  giorni. Il  smg.Finzi  aveva  nafta  in  esuberanza  ed  anche  viveri  perché  costretto  a  rientrare  in  anticipo  per  aver  esaurito  le  munizioni  (aveva  attaccato  ed  affondato  tre  piroscafi), e  in  più  aveva  alcuni  organi  meccanici  non  perfettamente  funzionanti. 

Affrontare  il  viaggio  di  ritorno  di  oltre  3000  miglia  in  quelle  condizioni, non  era  certo  da  stare tranquilli, in  tutti  i  modi, dopo  un  viaggio  carico  di  tensione  riuscirono  a  rientrare  indenni. Intanto  noi, in  attesa  dell’incontro  con  il  Finzi  ci  spostavamo  con  i  motori  al  minimo  ed  in  superficie  scrutando  il  mare  e  la  volta  infuocata  del  cielo, alla  ricerca  della  preda. Il  10  marzo, mentre  ci  recavamo  all’appuntamento  nelle  prime  or  del  mattino, dall’interrfonico  sentiamo  la  voce  concitata  di  una  nostra  vedetta  che  comunicava: “ Comandante  in  plancia! Fumo  all’orizzonte!” Il  Comandante  raggiunse  velocemente  la  plancia  e  con  i  suoi  potenti  binocoli  scoprì  che  si  trattava  di  un  grosso  piroscafo. Stabilì  la  rotta  di  avvicinamento  dando  nel  frattempo  ordine  ai  motoristi  di  forzare  l’andatura  al  massimo. Passò  qualche  ora  ma  pur-  troppo  il  piroscafo  si  allontanava  sempre  di  più  in  quanto  era  più  veloce  di  noi. Il  Comandante  rinuncia  all’inseguimento  ordinando  ai  motoristi  di  ridurre  i  giri  dei  motori. Bruciammo  tanta  preziosa  nafta  senza  esito.

Riprendemmo  la  nostra  rotta, passò  la  notte  e  nella  tarda  mattinata  dell’11  marzo, sempre  dall’interfonico  sentimmo  l’ufficiale  di  guardia  in  torretta  che  comunicava: “ Comandante  in  plancia!  Fumo  all’orizzonte!” il  Comandante  raggiunse  la  plancia  ed  impartì gli  stessi  ordini  del  giorno  prima. Dirigemmo  a  massima  forza  verso  quella  nuvoletta  di  fumo  che  man  mano  ci    avvicinavamo, diventava  sempre  più  nitida, ad  un  tratto  si  incominciarono  a  scoprire  sulla linea  dell’orizzonte  le  punte  degli  alberi, poi  la  coffa, ed  infine  la  sagoma  di  un  grosso  piroscafo. L’inseguimento  durò  alcune  ore, la  distanza  che  ci  separava  lentamente  si  accorciava.  Nel  tardo  pomeriggio  l’avevamo  sorpassato  sulla  diritta  senza  essere  stati  notati.  Il  Comandante  or-dinò  l’immersione  scendemmo  a  25 – 30  metri  e  con  i  motori  elettrici  cercammo  di  avvicinarci  il  più  possibile  sulla  rotta  della  nave.

Dopo  un  po’  di  tempo  risalimmo  posizionandoci  a  quota  periscopica  (8 – 9 metri  circa), il  Comandante  azionando  il  periscopio  scoprì  che  si  trattava  di  una  nave  inglese  che  ignara  del  pericolo, navigava  tranquilla  nel  mare  calmissimo. Il  piroscafo  predestinato  era  lo  “ Stangarth “  di  5960  tonnellate  che  venne  centrato  da  noi  con  due  siluri, essendo  carico, scomparve  nel  giro  di  5  minuti! Tale  azione  aveva  non  solo  rotto  la  monotonia  che  da  tempo  regnava  a  bordo e riem-pito  anche  di  soddisfazione  tutto  l’equipaggio  (in  guerra, purtroppo  accade  anche  questo ….).  l’indomani  mattina, giorno  12, entrammo  in  contatto  visivo  con  il  Finzi. Dopo  esserci  scambiati  i  segnali  di  riconoscimento  ci  avvicinammo. Il  nostro  Comandante  permise  a  tutti  gli  uomini  liberi  di  salire  in  coperta  dandoci  così  la  possibilità  di  scambiarci  i  saluti.  Appena  ci  affiancammo  ci   fu  una  grande  festa, incontrarci  con  l’altro  equipaggio  dopo  oltre  un  mese  di  navigazione  in  quel  lontanissimo  lembo  di  mare, fu  per  noi  di  grande  sollievo  morale  e  psicologico.