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S. BARBARA 1982 Da molti anni sono iscritto all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia con sede a San Benedetto del Tronto. Come ormai è tradizione, anche questo anno (domenica 5 dicembre 1982) abbiamo festeggiato S. Barbara. Durante la mattinata, dopo la Messa c’è stata la deposizione di due corone d’alloro sul cippo dedicato alla memoria di tutti i Caduti del mare, sito sul piazzale privato della nostra associazione, di queste corone una offerta dall’associazione stessa, e l’altra mia personale con l’intento di commemorare il quarantesimo anniversario della scomparsa del sommergibile Morosini avvenuto nel Golfo di Guascogna nell’agosto 1942. Dei 58 uomini dello equipaggio nessun superstite. Essendo stato uno di loro fino alla missione di guerra prima della tragedia, ho voluto, con quell’atto, ricordare e onorare tutti i miei carissimi commilitoni sprofondati con il sommergibile negli abissi dell’Oceano, facendo una fine spaventosa e tremenda. Durante la solenne cerimonia, tanti ricordi si sono susseguiti nella mia mente risalendo a quel tremendo periodo dell’ultimo conflitto mondiale fino alla commozione, alle lacrime. Partendo da questa oc- casione, ho voluto prendere quaderno e penna e tentare di fare un riepilogo dei fatti che mi sono rimasti maggiormente impressi nella mia memoria durante l’ultima missione di guerra a bordo del sommergibile Morosini. Cercherò, se ci riesco, a far conoscere a chi mi vuole seguire con attenzione, quale era la vita di bordo nei sommergibili in tempo di guerra, i sacrifici enormi che si sono dovuti affrontare l’ansia ed i patemi della nostra giovane esistenza sempre in bilico fra la vita e la morte. Basti pensare, che durante i tre anni di guerra 1940 – 1943, il bilancio delle perdite in sommergibili fu pesantissimo, circa cento unità dislocate in quasi tutti i mari ed oceani del mondo, non sono rientrati nelle loro basi, e le perdite umane furono di oltre tremilacinquecento uomini. Molte unità troncarono i contatti radio con la base, scomparendo nel nulla con tutti gli equipaggi, la fine terribile di giovani resterà per l’eternità un mistero insolubile. Il Morosini fu uno di questi, delle nove unità della stessa classe, a fine guerra ne rimase solo uno, il sommergibile Dandolo. Ecco perché io, essendo uno dei fortunati scampati da quest’immane tragedia, li ho voluti ricordare tutti a distanza di quarant’anni, deponendo quella corona d’alloro, ritenuto simbolo di gloria e sapienza. Preciso subito, che questo mio susseguirsi di fatti, è privo di dati tecnici per la mia non competenza in materia, ma di sincera e pura verità su tutto quello che ricordo. Sono fatti rimasti lucidi nella mia memoria, nonostante i molti anni trascorsi. Avvenimenti allucinanti che hanno lasciato su tutti i protagonisti, segni profondi nei nostri caratteri, nel nostro intimo, forse incomprensibile a chi ascolta o legge, che non hanno vissuto quello spaventoso periodo, o lo hanno vissuto lontano dalle zone calde dove la morte era costantemente in agguato. Vorrei tanto che certi misfatti non accadessero più, certe divergenze fra i popoli si risolvessero diplo-maticamente senza spargimento di sangue e senza distruzioni di sorta. La mia generazione ne è uscita sconvolta da quella terribile esperienza ed allora con- danniamo con fermezza, i provocatori e gli agitatori da qualsiasi parte del mondo essi operano. Il mio racconto sarà privo di retorica ed esaltazione di sorta, un racconto semplice, basato sulla realtà. I momenti di pericolo sono stati affrontati sempre con coraggio ma anche con tanta paura, cercando di non perdere il controllo impegnandosi a fondo nei compiti assegnatici, questo è coraggio. Basta pensare che una volta immersi, si era tagliati fuori dal resto del mondo, tutto il nostro mondo era ridotto a quel “piccolo” guscio d’acciaio sospeso fra i centocinquantametri di acqua e l’abisso sotto di noi. Ogni immersione, anche se non attaccati dal nemico, era un aumento di rischio, e risalire in superficie, era sempre una liberazione. La nostra base era installata a Bordeaux (Francia) con il nominativo di “BETASOM”, formata da un gruppo di sommergibili di trenta unità. Quasi tutti passarono lo stretto di Gibilterra in piena guerra eludendo la sorve- glianza degli inglesi. Riuscire a passare in quel piccolo tratto di mare dominato dalla munitissima roccaforte inglese di Gibilterra che con le sue navi controllava incessantemente quello spazio di mare, è da ritenere un’azione più che positiva per la nostra arma subacquea. |
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