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“CENTO SOMMERGIBILI NON SONO RIENTRATI ALLA BASE” DEL COM.TE C.C. TEUCLE MENEGHINI. PREFAZIONE DEL COM.TE C.C. J. VALERIO BORGHESE La Marina Italiana affrontò nel giugno 1940 la dura prova della seconda guerra mon-diale, avendo al suo attivo la più numerosa flotta di sommergibili allora esistenti nel mondo. A giusta ragione a tale tipo d’arma si erano dedicate durante il “ventennio”, da parte dei Capi preposti alla ricostruzione della Marina, particolari cure, sia per il basso costo delle unità relativamente adatte quindi alle nazioni più povere per fronteggiare le più ricche e potenti; sia per la posizione geografico-strategica dell’Italia, molo proteso nel cuore del Mediterraneo dalle cui basi potevansi irraggiare queste armi insidiose per tenere sotto controllo il nostro spazio vitale marittimo, da Gibilterra a Suez; sia infine perché il marinaio italiano possiede in alto grado le qualità idonee per la migliore utilizzazione dell’arma sottomarina. Entrammo in guerra con più di cento sommergibili; di questi alcuni, vecchi superati, dopo pochi mesi dall’inizio del conflitto, furono radiati perché dimostratesi inefficienti ai fini bellici; gli altri, per la maggior parte moderni e ben costruiti, erano sommergibili mediterranei, unità di circa 600 tonn. con 50 – 60 uomini di equipaggio, 6 – 8 siluri, un cannone navale, 2 – 4 mitragliere antiaeree e sommergibili oceanici sulle 800 – 1400 tonn. 16 e più siluri, due cannoni navali, 8 mitragliere antiaeree. Gli equipaggi erano ottimi nei loro componenti; ma la mancanza di una scuola per sommergibilisti, che avrebbe dovuto applicare uniformi norme selettive e formative per i destinatari allo speciale imbarco, lasciava dipendere il grado di addestramento alle peculiari personali caratteristiche d’ogni singolo Comandante. Vi erano quindi sommergibili pronti ad affrontare le difficoltà belliche, ed altri in cui la preparazione era meno perfetta nono- stante le alte qualità e la buona volontà d’ufficiali ed equipaggi. A questa deficienza del periodo preparatorio della guerra fu ovviato nel 1940, quando fu istituito la scuola sommergibili che ebbe sede a Pola prima, e poi a Fiume. Il maneggio del sommergibile non è difficile, ma richiede particolari qualità da parte del Comandante e grande esperienza e affiatamento da parte dell’equipaggio. Non dirò che sommergibilista si nasce, perché in realtà, si diventa con la applicazione, la pratica, l’esercizio; ma certo si è che, per doti personali, vi sono ufficiali “portati ” a diventare ottimi sommergibilisti ed altri, destinati a fare migliore riuscita sulle navi di superficie. Eccezionale resistenza alla fatica, calma costante e dominio dei propri riflessi in qualsiasi circostanza; grande ascendente personale sull’equipaggio; rapida intuizione e prontezza nelle decisioni; spirito di sacrificio; coraggio freddo e calcolato; adeguate cognizioni tecniche-professionali, sono le doti principali di un buon Comandante di sommergibile, doti che ogni ufficiale di Marina possiede, ma in misura e dosaggio naturalmente variabile. L’arte del coman-do del sommergibile, non presenta particolari difficoltà nella sua normale condotta, nell’ordinare e compiere le operazioni d’immersione, d’attacco, di lancio, di disimpegno dalla caccia. Le caratteristiche di un buon Comandante di sommergibile si manifestano nella prontezza, nella calma e nella capacità tecnica con cui reagire all’imprevisto; si tratta, stando rinchiusi in quel cilindro d’acciaio, che limita notevolmente la percezione e quindi la comprensione di quanto avviene all’esterno, di diagnosticare istantaneamente l’evento che produce l’anormalità e di prendere rapidamente i provvedimenti per ovviarvi, il tutto nel tempo di secondi, perché ogni ritardo può essere fatale. A bordo il Comandante del sommergibile è coadiuvato da alcuni ufficiali preposti ai principali servizi e da un gruppo di sottufficiali e graduati, tutti di carriera, altamente specializzati, che costituiscono l’ossatura che regge l’organizzazione della nave. Gli equipaggi provengono in gran parte dalla leva; sono muratori, falegnami, contadini, pescatori che è precipua caratteristica degli italiani, si trasformano in breve termine, sotto la guida, l’ammaestramento e lo esempio dei loro ufficiali e sottoufficiali, in ottimi sommergibilisti. L’impiego bellico del sommergibile è del tutto speciale, non ha, in generale, nulla in comune con quello delle navi di superficie. Il sommergibile, la cui fondamentale caratteristica d’impiego è la “sorpresa”, si mantiene di giorno pendolando a piccola velocità in immersione nella zona d’agguato assegnatagli; in profondità notevole (proporzionata alla chiarezza delle acque e alla limpidezza del cielo), per non essere avvistato dagli aerei. Per mezzo degli idrofoni, strumenti di sensibilissima percezione d’ogni rumore circostante, tiene sotto controllo una vasta zona di mare la cui estensione dipende dalla portata degli strumenti d’ascolto. Ogni ora o due risale per qualche minuto a quota periscopica, per consentire un controllo visivo con un rapido “giro d’orizzonte”. Non appena si avverte un rumore d’eliche o di macchine, il sommergibile aumenta la velocità, si porta in posizione favorevole per avvicinarsi alla nave avvistata e condurre quindi, sempre in immersione ma a quota di visibilità periscopica, l’attacco contro il nemico. Se la manovra riesce, il sommergibile si porterà così, sempre non visto, a 1000 - 2000 metri dal bersaglio; da tale distanza gli lancerà alcuni siluri che, se i calcoli di lancio sono esatti, dovranno raggiungere il bersaglio. Appena calata la notte il sommergibile emerge; ricarica l’energia elettrica consumata durante il giorno; ricarica le bombole di aria che serve alle manovre d’immersione e rinnova l’aria ambientale per la respirazione. Protetto dall’oscurità, difficilmente visibile per la piccolezza delle sue sovrastrutture e per la tinteggiatura dello scafo che lo mimetizza con il colore della notte, il sommergibile riprende l’agguato in superfice, pendolando, a piccola veloci- tà, nella sua zona di sorveglianza. All’alba s’immergerà fino alla sera, e così per venti trenta giorni, fino all’esaurimento del combustibile o delle armi. Per difendersi da tale offesa, il nemico mette in opera numerosi mezzi, non navi isolate, ma in convoglio, scortate da cacciatorpediniere, fregate e cacciasommergibili; preventiva sorveglianza aerea, delle zone che devono essere attraversate dal convoglio ricerca del sommergibile con radar ed altri speciali apparecchi che ne rivelano la presenza in immersione, montati sulle navi, sugli aerei adibiti alla ricognizione antisommergibile, lancio bombe di profondità che tengono in allarme il sommergibile e lo costringono ad immersioni profonde, impedendogli l’effettuazione della manovra d’attacco; caccia sistematica per mezzo di navi apposite e una volta individuato il sommergibile, sua distruzione con lancio di grappoli di bombe di profondità; speronamento se il sommergibile è avvistato in superficie, o costretto ad emergere o se, per avaria o sorpresa, non riesce ad immergersi in tempo. I mezzi di ricerca, caccia e distruzione del sommergibile, sono numerosi, efficaci, terribili, in continua evoluzione, mentre il sommergibile non possiede che una sola arma veramente utile che gli consente l’esplicazione del compito d’offesa, tale arma, e lo ripetiamo, è la sorpresa. Venuta a mancare questa, il sommergibile potrà compiere prodigi di bravura nel cercare di far perdere le sue tracce con la navigazione occulta e silenziosa alle più grandi profondità consentitegli dalla resistenza dello scafo (cento - duecento metri); o potrà, se impossibilitato a mantenersi in immersione, con estrema risolutezza e coraggio, emergere ed affrontare la lotta in superficie, ma avrà perso la sua forza, che è quella di attaccare non visto, e dovrà affrontare il combattimento in condizione di netta inferiorità per l’estrema vulnerabilità delle sue strutture e per la inferiorità del suo armamento rispetto a quello di qualsiasi unità di superficie. Lotta quindi dell’inerme contro il forte, dell’astuzia contro la potenza, dell’insidia contro la violenza. Quanto sopra descritto a sommi capi, è il classico impiego del sommergibile in missione di guerra isolata applicata in Mediterraneo. In Atlantico, per intercettare gli immensi convogli alleati che portavano truppe e rifornimenti americani, in Europa ed in Russia, convogli di 50 e più navi, scortati formidabilmente da unità di superficie e da aerei levatesi dalle portaerei, il Comandante dei sommergibili tedeschi Amm. Doenitz, escogitò un tipo d’impiego del sommergibile completamente diverso. Avvistato il convoglio, vengono fatti affluire su un punto avanzato della sua probabile rotta, tutti i sommergibili che si trovano nelle zone finitime; saranno 8, 10, 20, a secondo delle circostanze. Navigando in superficie, fuori dalla portata della visibilità del convoglio; essi lo inseguono, lo affiancano, lo precedono, lo circondano, e così per giorni e notti, fino a quando, dal Comando a terra che dirige la manovra, non viene dato l’ordine d’attacco. Allora, nel cuore della notte, tutti i sommergibili che si trovano nel raggio del convoglio, gli si avventano contro, in superficie ed ad alta velocità, come un branco di cani contro il cinghiale. La scena che segue è apocalittica. Infilandosi in mezzo al convoglio, oltre la scorta di cacciatorpediniere, i sommergibili, agendo come unità di superficie, lanciano i loro siluri su ogni nave che capiti a tiro; è tutto un rintronare di lampi e di scoppi, mentre le navi braccate, si sparpagliano in ogni direzione e le unità di scorta, col cannone e lo sperone, squarciando le tenebre con i proiettori, ricercano e distruggono gli attaccanti. Alla fine della cruenta lotta che può durare l’intera notte, molte navi del convoglio saranno state affondate ma, anche qualche sommergibile sarà sparito in fondo al mare ……. All’alba, mentre le superstiti navi del convoglio saranno già lontane ed i sommergibili sfuggiranno alla ricerca della caccia e degli aerei immergendosi, sulla superficie del mare richiuso su tane tragedie, galleggiano tracce della battaglia notturna, imbarcazioni di salvataggio capovolte, salvagente, relitti, barili, chiazze d’olio e di nafta e qualche naufrago esausto nella vana attesa di un aiuto impossibile ……….. questa è la guerra che, a fianco agli U-BOOT combatterono i nostri sommergibili atlantici della base di Bordeaux (BETASOM). Quanti Comandanti che furono nostri amici, quanti ufficiali che conoscemmo, quanti marinai che apprezzammo non sono più fra noi! Negli attuali oscuri tempi nei quali, sembra che i valori morali e tradizionali abbiano perso d’importanza a favore dei fattori puramente materiali materiali e pratici della vita, la rievocazione delle gesta di questi nostri equipaggi che hanno saputo compiere fino all’estremo sacrificio il proprio dovere, incuranti d’ogni materiale interesse solo animati di servire la Patria, ci riporta in un’atmosfera di purezza e di fede, ci da la forza di sperare in tempi migliori, ci obbliga a perseverare per il conseguimento degli ideali che furono Loro. I sommergibilisti italiani, in tre anni d’asperrima lotta all’attacco delle più agguerrite e potenti flotte del mondo, hanno scritto meravigliose pagine di eroismo navale ed hanno duramente pagato per la loro audacia. Non v’è conquista senza sacrificio.
“Ai miei amici, che furono giovani invano e che morirono per niente” (Silvio Bertoldi) |
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