PRIMAVERA  1945

Una  notte  fummo svegliati  dai  nostri  aguzzini  che  ci  ordinarono  di  radunare  le  nostre  mise-re  cose  perché  si  doveva  evacuare  il  campo  infatti, ci  fecero  salire  sui  camion  e  partimmo  per  destinazione  ignota. Durante  la  mattinata  ci  fermammo  nei  pressi  di  una  vecchia  casa  colonica  alla  sommità  di  una  collina. Giù, in  fondo  alla  valle, si  vedeva  una  grande  città  in  preda  alle  fiamme  provocate  da  un  massiccio  bombardamento  aereo  alleato. Dormimmo  in  quel  casolare  come  bestie  e  di mattino, ci  portarono  proprio  in  quella  città  semidistrutta. Solo  allora  sapemmo  che  si  trattava  d’Osnabruk, a  pochi  Km  dal  confine  Olandese. Fummo  alloggiati  alla  meglio  in  un’ex  palestra  danneggiata  dai  bombardamenti. Il  giorno  dopo  ci  portarono  a  lavorare  nella  stazione  ferroviaria  per  ricoprire  e  livellare  i  crateri  provocati  dalle  bombe.  Da  notizie  trapelate  fra  noi  prigionieri, sapemmo  che  il  precipitoso  nostro  abbandono  del  prece-dente  lager, era  dovuto  alla  ripresa  dell’offensiva  alleata  con  conseguente  avanzata  nel  territorio  tedesco; tutto  ciò  ci  diede  un  po’  di  carica  e  rinnovata  speranza  per  una  prossima  liberazione.

Nella vana  attesa  della  sospirata  liberazione, eravamo sottoposti  a  duro  lavoro  nella  stazione  ferroviaria, continuamente  martellata  dai  micidiali  bombardamenti. Una  mattina  di  metà  aprile, nella  ora  di  recarsi  al  lavoro, ci  ritrovammo  soli, i  nostri  aguzzini  erano  spariti. Subito  dopo  sentimmo  il  crepitare  dei  fucili  mitragliatori  e, dalle  nostre  finestre  senza  infissi, vedemmo  avanzare  nella  sottostante  via, una  pattuglia  di  militari  inglesi. Questi  a  raffiche  di  mitra, stavano  snidando  i  soldati  tedeschi  più  ostinati  che  si  erano  appostati  agli  angoli  delle  vie  e  che  costituivano  i  fram-menti  della  retroguardia  dell’esercito  nazista  ormai,  in  disordinata  ritirata. Quando  gli  inglesi  rag-giunsero  la  nostra  postazione, uscimmo  allo  scoperto  agitando  stracci  bianchi  per  farci  ricono-scere  e  li  abbracciammo  piangendo.                   

Finalmente  eravamo  liberi!

A  causa  dei  collegamenti  stradali  e  ferroviari  interrotti  e  distrutti  dalla  violenza  della  guerra,  dovemmo  attendere  oltre  quattro  mesi  per  essere  rimpatriati. Dopo  un  altro  avventuroso  lungo  viaggio, insieme  agli  inseparabili  amici, Lidio  e  Giuseppe, finalmente  il  12  settembre  1945, potemmo  riabbracciare  i  nostri  cari. Noi  fummo  fortunati  rispetto  a  tanti  altri  internati  che, dopo  tante  sofferenze, al  loro  rientro  non  trovarono  più  ne  parenti  ne  casa.  Dopo  quasi  undici  anni  riabbracciavo  a  casa  il  mio  fratello  maggiore  Azzolino, Mar.llo  dei  C.C.R.R., per  sei  anni  aveva  prestato  servizio  in  Etiopia  (A.O.)  senza  mai  usufruire  di  una  licenza.

Dalla  caduta  dell’impero  di  Mussolini  nel  maggio  del  1941, fu  catturato  dagli  inglesi  e  avviato  nei  campi  di  prigionia  nella  colonia  britannica  del  Kenia. Durante  la  durissima  prigionia  incominciò  ad  accusare  forti  dolori  alle  gambe. ricoverato  in  un  ospedale  da  campo, dopo  alcuni  esami, i  dottori  gli   riscontrarono   il morbo  di  Burger  o  tromboangioite  obliterante. Male  assistito  e  immobilizzato  da  atroci  dolori  agli  arti  causati  dall’incipiente  cancrena, per  arginare  la  progres-siva  e  letale  infezione, fu  sottoposto  ad  una  serie  di  gravi  amputazioni  fino  a  ridurre  i  femori, ad  appena  dieci  centimetri.  Lontanissimo  dalla  patria, privo  del  supporto  affettivo  dei  familiari  e  del  sostegno  di  una  persona  amica, solo, nel  martirio  in  quel  letto  d’ospedale, rimediato  fra  i  reticolati, superò  con  stoicismo  quelle  atroci  e  dolorosissime  amputazioni. Con  rassegnazione  e  tanto  coraggio, riuscì  a  venirne  fuori, minorato  da  ambedue  gli  arti, ma  vivo!   Alla  fine  del  1944  nel  porto  di  Mombasa, fu  imbarcato  su  una  nave  della  C.R.I.  e  rimpatriato. Dopo  un  lungo  e  sofferto  viaggio  fu  sbarcato  a  Bari  e  ricoverato  all’Ospedale  Militare  di  Giovinazzo  dal  quale  furono  avvertiti  i  familiari  dell’avvenuto  rimpatrio  e  ricovero. Per  loro  si  presentava  veramente  difficile  raggiungere  Bari, per  il  dissesto  dei  collegamenti  stradali  e  ferroviari, causati  dal  recente  passaggio  del  fronte  di  guerra, specie  nella  zona martoriata  d’ Ortona  a  Mare.  Il  caso  volle  che  proprio  in  quei  giorni  un  camion  militare  alleato, condotto  da  un  soldato  italiano  e  proveniente  da  Bologna, diretto  a  Bari  e  ritorno, facesse  sosta  a  San  Benedetto  del  Tronto, per  salutare  la  famiglia  dei  nostri  parenti.

Questo  giovane  soldato  sbandato  dopo  il  fatidico  8  settembre  1943, fu  ospitato  per  qualche  mese, visto  che non  era  possibile  raggiungere  Bologna, città  ancora  saldamente  in  mano  tedesca,  si  arruolò  volontario  nell’Esercito Italiano  appena  ricostituito, schierandosi  al  fianco  degli  Anglo -  Americani. Egli  era  informato  delle  vicissitudini  d’Azzolino  per  averne  sentito  parlare  durante  la  permanenza  presso  i  nostri  parenti. Quando  seppe  che  mio  fratello  si  trovava  ancora  all’Ospedale  di  Giovinazzo, con  il  benestare  dei  miei  parenti, s’impegnò  di  andarlo  a  trovare  e   tentare    di  riportarlo  a  casa. Il  tentativo  ebbe  i  suoi  frutti  e  così, grazie  all’interessamento  di  questo  bravissimo  ragazzo, mio  fratello  poté  ritornare  a  casa. Durante  il  lungo  e  disagiato  viaggio, questo    giovane  accudì  amorevolmente  mio  fratello, che  non  era  autosufficiente, per  l’orrenda  mutilazione  Lascio  immaginare  lo  strazio  dei  miei  nel  vederlo  ridotto  in  quelle  condizioni!  Io, prigioniero  in  Germania, non  sapevo  nulla  del  ritorno  d’Azzolino  né, della  mutilazione  subita. Nei  lager  tedeschi  non  ricevevo  notizie  da  casa  da  oltre  un  anno. Prima  della  partenza  per  l’Etiopia, nell’autunno    del  1935, venne  in  licenza. Io  ero  un  ragazzino  di  quattordici  anni, lo  ricordavo  giovane  e  bello    nell’impeccabile  divisa  del  C.C.R.R.  con  le  mostrine  d’argento  e  i  galloni  da  brigadiere  sulle    maniche  della  giacca, pieno  di  vita  e  con  tanta  voglia  di  vivere.

Al  mio ritorno  dalla  prigionia, dopo  quasi  undici  anni, lo  ritrovavo  immobilizzato  su  una  sedia  a  rotelle  e  sofferente  di  stomaco. Il  nostro  incontro  fu  straziante, per  la  commozione,   non  riuscimmo  a  proferire  parola. Ricordo, era  seduto  sulla  sedia  a  rotelle  e quando  fui  al  suo  cospetto, sollevò  un  grembo  di  coperta  e  con  un  filo  di  voce  mi  disse: “ Ecco  come  sono  ridotto”.

A  quella  vista, mentre  un  nodo  mi  serrava  la  gola, m’inginocchiai  vicino  alla  sedia  ed  al  colmo    della  commozione, ci  abbracciammo  sciogliendoci  in  un  pianto  dirotto. Nel  1947, noi  familiari  riu-scimmo  a  trovare  una   motocarrozzella  a  tre  ruote  di  seconda  mano  ma  in  buonissimo  stato, concepita  per  invalidi  e  dotata  di  un  motore  500 Guzzi. Aveva  tutti  i  comandi  a  portata  di  mano, un  comodo  sedile  per  il  conducente  invalido, ed  un  seggiolino  posteriore  per  l’accompagnatore. Il  prezzo  richiesto  fu  di  L.350.000, cifra  a  quei  tempi, raramente  disponibile  per  un  famiglia  di  semplici  lavoratori  ma,  riuscimmo  ugualmente  ad  acquistarla, grazie  alla  solidarietà  di  parenti  ed  amici. Causa  il  dissesto  dell’organico  statale  che  stava  faticosamente  riprendendosi    dopo  la  recente  fine  della  guerra, mio  fratello  Azzolino  percepiva  poche  migliaia  di  lire  mensili, nell’attesa  della  liquidazione  della  pensione  stabile  di  “ Grande  Invalido”. Fu  per  questo  motivo  che  ci  fu  quella  gara  di  solidarietà  per  l’acquisto  del  mezzo. In  breve  tempo  mio  fratello  prese    pratica  dei  comandi  e  della  guida  così, cominciò  a  circolare  in  città. Siccome  era  un  appassionato  di  calcio   e  tifoso  della  Samb, seguiva  la  squadra  non  solo  in  casa  ma  anche  in  trasferta. Quando  arrivava  all’ingresso  dello  stadio  “ F.lli  Ballarin”, i  controllori dei biglietti  gli  aprivano  gentilmente  il  cancello, facendolo  entrare  con la  carrozzina  perché  era  conosciuto  e  rispettato  da  tutti.

Nell’estate  del  1949, fu  ricoverato  in  un  Istituto  di  Bologna  per  l’applicazione  degli  arti  ortopedici  ma, dopo  pochi  mesi, il  27  gennaio  1950, fu  sottoposto  ad  un  urgente  intervento  chirurgico  allo  stomaco  che  non  riuscì  a  superare  perché, il  suo  fisico, provato  da  indescrivibili  sofferenze  non  resse  e a  soli  42  anni  ci  lasciò  per  sempre. Il  rito  funebre  si  svolse  nella  chiesa  di  San  Giuseppe, a  San  Benedetto  del  Tronto.  La  sua  salma  proveniente  da  Bologna, fu  ricevuta  dal  picchetto  dei  C.C.  con  a  Capo  il  Comandante  della  locale  Stazione.

La  gran  folla  dei  concittadini  commossi, seguirono  il  feretro  attraverso  le  vie  cittadine  fino  alla    chiesa. Era  conosciuto  e  benvoluto  da  tutti, specie  dai  tifosi  della  Sambenedettese.

Chiudo, questo  mio  racconto, rivolgendomi  a  coloro  che  hanno  avuto la  costanza  di  seguirmi fino  in  fondo, con  la  speranza  che  sia  riuscito  a  far  comprendere  quanto  è  stata  dura  quella    mia  esperienza. Ho  affrontato  questa  fatica …. come  già  detto  all’inizio, allo  scopo  di  ricordare, ancora  una  volta, i  ragazzi  del  “ MOROSINI”  ed  i  caduti  di  tutte  le  guerre, di  qualsiasi  arma  o  colore  ed  in    più, lasciare  qualcosa  che  ricordi  alla  mia  unica  figlia  e  nipoti, quanto  sono  stati  drammatici  quelli  che  dovevano  essere  i  migliori  anni  della  mia  esistenza.

Tutti  i  combattenti  hanno  una  storia  più  o  meno  drammatica  da  raccontare  la  mia, ho  cercato  di  tradurla  per  iscritto, sforzandomi  di  far  conoscere, attraverso  queste  pagine, l’assurdità  delle  guerre  con  le  sue  nefaste  conseguenze.

Nell’ultimo  catastrofico  conflitto  mondiale, milioni  di  giovani  imbevuti  di  bellicose  propagande, strappati  dalla  pace  delle  loro  famiglie, aizzati  gli  uni  contro  gli  altri, gettati  in  un  calderone  di  ferro  e  fuoco, sparsi  in  tutti  i  continenti, mari, oceani  del  mondo, non  hanno  fatto  più  ritorno, di  questi, una  buona  parte  hanno  raggiunto  la  pace  Eterna  nella  profondità  dei  mari  con  le  sue  navi  squarciate  dalla  violenza  della  lotta.  Gli  altri, sparsi  in  tutti  i  continenti  del  mondo, seppelliti  a  migliaia  in  fosse  comuni  sotto  lo  strato  della  nuda  terra, senza  una  pietra, senza  una  croce  per  indicare  almeno  il  punto  di  sepoltura.

CRUDA  SPIETATA  REALTA’  DELLE  LEGGI  DI  GUERRA !”