TERZA  MISSIONE

 Verso  la  metà  di  novembre (1941), i  lavori  ai  sommergibili  furono  terminati. Dopo  le  prove  di  collaudo, eravamo  “ pronti  a  muovere“.  Alla  fine  dello  stesso  mese  prendemmo  il  mare. La  zona  d’operazione  si  estendeva  dalle  Isole  Azzorre  all’Isola  di  Madeira  ad  Ovest  di  Gibilterra. Per  alcuni  giorni  navigammo  con  mare  molto  agitato, le  lunghe  onde  dell’Oceano, cagiona-  vano  alla    nostra  unità, un  beccheggio  al  rallentatore  provocando  all’equipaggio  un  mal  di  mare  generale. Il  12  dicembre, ci  trovavamo  a  poche  miglia  a  Nord  di  Madeira, con  mare  calmo, avevamo  qualche  noia  ad  un  motore  elettrico  ed  urgeva  un  controllo. Appena  notte, il  Comandante  diresse  il  sommergibile  verso  costa  ed  entrammo  nelle  acque  territoriali  neutrali  per  essere  più  tranquilli  durante  il  lavoro  di  riparazione. Con  l’unità  in  superficie  arrivammo  sotto  costa, vedemmo  la  città  illuminata  e  nei  lunghi  viali  sulla  riviera, notavamo  i  fari  in  movimento  delle  automobili. I  nostri  meccanici  ed  elettricisti  si  misero  subito  all’opera. Dopo  un paio  d’ore  riuscirono  ad  eliminare  l’inconveniente. Era  passata  da  poco  la  mezzanotte, l’R.T. riceveva  dal  nostro  Comando  Base, un  messaggio  col  quale  c’informava  della  presenza  di  un  grosso  convoglio  di  circa  venticinque  navi, uscito  da  Gibilterra  con  rotta  Nord, che  era  stato  scoperto  dagli  aerei  tedeschi  e, poiché  non  c’era  nessun  suo  “ U-BOOT”  in  quella  zona, l’informazione  fu  passata  al  nostro  Comando  Base  il  quale, informava  noi  del  “ Morosini”  che,  unici  nella  zona  in  grado  di  scoprire  il  grosso  convoglio, dovevamo  renderci  conto  della  situazione  e  ritrasmettere  alla  nostra  Base  alcuni  dati  indispensabili  quali: la  rotta, le  velocità, la  consistenza  numerica  delle  navi, dovevamo  inoltre, se  si  presentava  l’occasione  favorevole, attaccare  il  convoglio  ma  con  lancio  di  siluri  a  distanza  perché  le  navi  erano  scortate  da  numerose  siluranti. Ricevute  queste  disposizioni  il  Comandante  informò  tutto  l’equipaggio. Raccomandò  al  personale  che  non  era  di  servizio  di  riposare  o  di  dormire  perché  fra  qualche  ora, con  molta  probabilità, poteva  essere  sferrato  l’attacco  e, tutti  gli  uomini, dovevano  essere  pronti  ad  ogni  evenienza.  

Uscimmo  dalle  acque  territoriali  di  Madeira  e  puntammo  verso  il  punto  indicatoci  alla  ricerca  del  convoglio  con  i  motori  a  massima  forza, L’equipaggio  cercava  d’essere  calmo, alcuni  erano  sulle  cuccette, altri  rannicchiati  sui  paioli, si  tentava  di  dormire  ma  era  impossibile, vuoi  per  la  forte  vibrazione  dello  scafo  sollecitato  dai  motori  lanciati  al  massimo  di  giri, vuoi  per  la  tensione  nervosa  che  ci  attanagliava  pensando  a  ciò  che  fra  poche  ore  sarebbe  accaduto. Navigammo  tutto  il  giorno  sempre  a  massima  forza  (14 – 15  miglia  all’ora). Verso  le  16, dopo  circa  quattordici  ore  di  moto, si  profilò  all’orizzonte  un’estesa  scia  di  fumo  e  ci  avvicinammo  fino  a  scoprire  le  punte  degli  alberi  delle  navi: avevamo  raggiunto  e  scoperto  il  grosso  convoglio. Il  Comandante  doveva  seguirlo  ma  con  precise  intenzioni: mantenere  la  nostra  rotta  ad  una  certa  distanza  dietro  la  linea  dell’orizzonte  poi, con  i  motori  a  tutta  forza, sorpassare  il  gruppo  di  navi  ed  appena  notte, lanciarsi  all’attacco  in  superficie, lanciare  i  quattro  siluri  di  prora  a  ventaglio  sul  convoglio  e  immediatamente  scomparire  in  immersione. Durante  l’inseguimento, furono  trasmessi  alla  nostra  base, tutti  i  dati  che  c’erano  stati  richiesti  circa  l’ubicazione  del  convoglio, e  il  numero  approssimativo  delle  navi.

Verso  le  otto  di  sera  cercammo  di  avvicinarci, favoriti  dall’oscurità  resa  più  completa  dal    cielo  coperto, rallentammo  l’andatura  per  limitare  la  fosforescenza  della  nostra  scia.  Alle  21:30 circa, eravamo  nella  posizione  idonea  per  compiere  il  lancio  a  distanza. Il Comandante  ordinò  ai  siluristi  della  camera  lancio  di  prora, di aprire  i  quattro  cappelli  esterni  dei  tubi  di  lancio  e  con-  trollare  che  tutto  fosse  in  ordine. Io  ero  a  prora  con  gli  altri: nel  silenzio  più  assoluto  e  con  i  nervi  tesi  aspettavamo  dalla  camera  manovra, l’ordine. Ad  un tratto  udimmo  l’ordine  secco  del  Comandante: “ Chiudere  i  cappelli  esterni !  Rapida  immersione !”  

Rapidamente  incominciammo a scendere. Supponemmo  che  fossimo  stati  scoperti  dalle  unità  di  scorta  al  convoglio, ed  infatti, dopo  qualche  minuto, ci  fu  confermato  dalla  vedetta. Era  stato    visto  sulla  nostra  diritta  a  circa  duemila  metri, lanciare  un  razzo  a  paracadute  da  una  massa    oscura, sicuramente  un  C.T. ed  il  mare  si  era  illuminato  a  giorno. Ormai  la  nostra  unità  era  sta-ta  scoperta  venendo  a  mancare  così  il  fattore  sorpresa, il  Comandante  resosi  immediatamente  conto  ordinò: “ La  rapida”  Scomparendo  in  profondità.   Rapidamente  raggiungemmo  i  sessanta – settanta  metri, chiudemmo  le  porte – stagno  mentre  procedevamo  zigzagando  e  sempre  più  in  profondità. il  nostro  idrofonista, con  voce  calma  e  precisa  incominciò  a  scandire  la  posizione  della  silurante  nemica  impegnata  alla  nostra  ricerca.

“ Si  avvicina ……… si  allontana ……... è  su  di  noi ……… scade  a  diritta “

 L’equipaggio  immobile  e  silenzioso  seguiva  lo  scorrere  di  quelle  frasi  con  il  cuore  in  gola   e  nervi  tesi; poi  ancora  la  voce:      “ Si  avvicina, è  su  di  noi !”      ed  infatti, sentiamo  proprio  al  di  sopra  delle  nostre  teste, il  vortice  delle  eliche  poi, il  mezzo  navale  che si  allontanava  velocemente  più  tardi, un rumore strano, un leggero fruscio:      “ Bombe  di  profondità !”      gridò  uno  dell’equipaggio  e, dopo  qualche  secondo  fummo  investiti  da  tre  tremendi  scoppi  che ci  scossero  violentemente; fortunatamente  le  bombe  esplosero  sopra  di  noi, non  ci  procurarono  nessun  danno.I  nostri  idrofoni  intercettarono  altre  sorgenti  di  rumore  in  zona. L’idrofonista  ed  il  Comandante, dopo  un  attento  ascolto, si  resero  conto  che  in  superficie  sostavano  tre  siluranti  le quali  avevano  temporaneamente  abbandonato  la  scorta  del  convoglio  e  si  erano  messe  a  setacciare  con  “lo asdic” il  fondo  del  mare, esattamente  nella  zona  dove  c’eravamo  immersi, intenzionate  ad  eliminarci. Eravamo  in  una  situazione  molto  critica. Il  Comandante  ordinò  di  fermare  l’impianto  idraulico  “Calzoni”  che  serviva  per  il  governo  automatico  dei  timoni  orizzontali  e  di  direzione, così    facendo, si  sarebbe  eliminato  il  rumore  della  pompa  che, ad  intervalli, automaticamente  si  metteva  in  moto. Con  questa  precauzione  si  poteva  evitare  il  pericolo  di  farci  più  facilmente  localizzare  dalle  siluranti. Il  governo  dei  timoni  orizzontali  e  di  direzione  fu  così  manovrato  a  mano. A   prora, le  ruote  dei  timoni  orizzontali  si  trovano  sulla  diritta, e  sulla  sinistra  dei  tubi  di  lancio. Per  il  governo  del  timone  di  diritta  fu  incaricato  il  nostromo, per  quello  di  sinistra, il  capo  silurista. Dalla  prima  scarica  di  bombe, erano  passati  una  quindicina  di  minuti, i  manometri  marcavano  centotrenta  metri  di  profondità. Nei  compartimenti - stagno  in  cui  eravamo  sistemati, si  sentiva  il  nostro respiro affannoso, mentre  la  voce  sommessa  e precisa  dell’ idrofonista, seguitava  a  scandire  i  dati  di  rilevamento.

Ormai, si  poteva  essere  certi, che  eravamo  braccati  non  da  una, ma  da  tre  siluranti  nemiche, intenzionate  a  scaraventarci  nell’abisso  dello  Oceano. Noi, acquattati  nella  massima  profondità, ci  muovevamo  lentamente  zigzagando. A  questo  punto, vorrei  dire  ciò  che nella  mia  testa  sconvolta  rimuginava  durante  quella  spaventosa  esperienza. Come  già  detto, ero  nel  locale  di  prora  rannicchiato  sui  paioli, con  la  testa  appoggiata  sulla  branda, di  tanto  in  tanto  alzavo  gli  occhi  sul  grosso  manometro  di  profondità, notavo  che  la  lancetta  lentamente  scendeva  fino  a  raggiungere  la  massima  profondità  di  centocinquanta metri, un  commilitone  sdraiato  anche  lui  sulla  branda, con  un  leggero  filo  di voce all’orecchio  mi  disse:    “ Siamo  a  centocinquanta metri ! e  se  questa  scatola  resiste, ce  la  faremo  a  rivedere  il  cielo !”  L’ idrofonista  aveva  captato  l’avvicinarsi  veloce  di  una  silurante  ed  esclamò:     “ E’  sopra  di  noi !”     Sentii  infatti  che  ci  passava  sopra  a  tutta  forza  e  avvertii  lo  stesso  strano  rumore  della  prima  scarica  di  bombe  ma,  questa  volta  più  marcato. Appoggiai  la  fronte  sul  materassino  della  branda  e  aspettai ……..

Nel  silenzio  più  assoluto  che  regnava  nel  locale, si  avvertiva  sempre  più  consistente, quel  rumore  esterno  che  sembrava  acqua  in  ebollizione. Erano  bombe  catapultate  dalla  silurante  e    che, da  un  momento  all’altro  sarebbero  esplose!  Ad  un  tratto  fummo  investiti  da  una  violenta  terrificante  sequenza  d’esplosioni; forse  dieci, forse  quindici  bombe  che  ci scoppiavano vicinissime.  Lo  scafo  della  nostra  unità  subì  degli  scossoni  tremendi, ci  appruammo, parecchi  oggetti  si  staccavano  rovinando  sui  paioli. Io  mi  ritrovai  disteso  sui  paioli, non  riuscivo  a  parlare  e  nemmeno  a  pensare. Il  Comandante  dalla  camera  manovra  si  volle  accertare  se c’era  stata  infiltrazione  d’acqua  nei  vari  locali: fortunatamente  lo  scafo  aveva  tenuto  e  incitò  allora  i  timonieri  orizzontali  a  governare  i  timoni  “ a  salire”  poiché  perdevamo  quota, i  manometri  di  profondità  stavano  per  andare  fuori  scala, fortuna  volle  che  ci  fermammo, cominciammo  a  risalire  fino  a  raggiungere  la  quota  di  sicurezza  di  circa  centocinquanta metri. I  nostri  idrofoni  rilevavano  continue  sorgenti  di  rumore  da  varie  direzioni. Ormai  eravamo  stati  localizzati  ed  in superficie  si  apprestavano  a  darci  il  colpo  di  grazia. Passò  un  po’  di  tempo, l’idrofonista  non avvertiva  più  rumori, tutto  l’equipaggio  ebbe  un  sospiro  di  sollievo  convinto  che  il  nemico   avesse mollato  la  presa, purtroppo  non  fu  così. Dopo  alcuni  minuti  di  calma, sentimmo  il  rumore  della  silurante  che  si  avvicinava  rapidamente  sulla  nostra  verticale  poi, il  tonfo  delle  bombe  e  questa  volta  erano  state  catapultate  a   “ catena”.   Il  Comandante, dall’interfonico, dette  ordine  ai  timonieri  orizzontali, di  dare  ai  timoni, la  massima  inclinazione  a  scendere. Eravamo  a  circa  centocinquanta metri, quando  fummo  investiti  da  una  violentissima  scarica  seguita, a  breve  distanza, da  una  seconda  ondata. Il  sommergibile  si  appruò  paurosamente, rimanemmo  nel  buio  completo, tutte  le  lampadine  si  spaccarono. Con  una  mano  aggrappata  ai  bordi  della  branda  per  non  scivolare  verso  i  tubi  di  lancio, e  con  l’altra, rattrappita  in  un  lembo  di  coperta  non  riuscivo  a  muovermi.  Sentii  il  Comandante  chiedere  a  quale  profondità  era  scesa  la   prora  ed  ordinava  ai  timonieri  di  tenere  i  timoni  a    “ salire  al  massimo”.   Con  una  lampada  d’emergenza  si  fece  luce  sul  manometro: non  esisteva  più …… il  vetro  e  le  lancette  erano  volate  via !

I timonieri  cercavano  disperatamente  di  riportare  i  timoni  orizzontali  a    “ salire”   ma, si  accorsero, che  le  ruote  giravano  a  vuoto. Il  Capo  silurista  fuori  di  se  gridò  che  i  timoni  probabilmente, si  erano  contorti  e  incastrati  per  effetto  delle  esplosioni  delle  bombe. Il  sommergibile, con  la  prora  rivolta  verso  l’abisso,  paurosamente  continuava  a  perdere  quota, rumori  strani  si  avvertivano  in  varie  parti  dello  scafo  sottoposto  ad  una  tremenda  pressione  esterna. Il Capo  silurista  farneticava, esortava  l’equipaggio a  farsi  il  segno  della  croce  ed  invocare  S. Lucia  che  proprio  quel  giorno, 13  dicembre, ricorreva  la  sua  festa. L’appruamento  aumentava  sempre  di  più, alcuni  oggetti  si  staccavano  dai  loro  posti  rotolando  verso  i  tubi  di  lancio  e  provocavano  rumori  che  ci  facevano  sobbalzare. Alcuni  pregavano, altri  invocavano  i  santi, ricordavano  le  madri  e  i  loro  cari, altri  ancora, pronunciavano  frasi  senza  senso. Il  rumore  delle  strutture  dello  scafo  aumentava  sempre  di  più, ci  rendevamo  conto  che  stavamo  affondando, lo  scafo  resisteva …… ma  per  quanto  tempo  ancora?

Erano  trascorse  oltre  due  ore  dal  primo  attacco, avevamo  subito  quattro  scariche  di  bombe. Con  la  bocca  secca, la  lingua  attaccata  al  palato, in  preda  a  forte  agitazione, ero  convinto  che  lo  spettro  della  morte  stesse  avvolgendo  lo  scafo  e  fra  qualche  istante  saremmo  sprofondati  in  fondo  all’Oceano, imprigionati  fra  le  lamiere  contorte  dalla  gigantesca  pressione. Ad un tratto  sentii  dentro  di  me  qualcosa  che  mi  faceva  riprendere  coraggio, alzai  la  testa, e  nella  debole  luce    delle  lampade  d’emergenza  notai  alcune  facce  dei  miei  compagni  di  sventura  stravolte, alcuni  tesi, altri  si  agitavano  pronunciando  parole  incomprensibili. Ebbi  l’Impressione  di  essere  chiuso  in  una  tomba  circondata  da  fantasmi. La  mia  mente  incominciò  a  ripercorrere  a  ritroso  i  pochi  anni  della  mia  esistenza. Rivedevo  come  un  sogno, la  cara  mamma  defunta  e  la  mia  famiglia, tutta  al  completo, il babbo  che  sicuramente a quella  ora  stava  riposando, poi via, via un  susseguirsi  di  figure, di  fatti, che  risalivano  fino  all’infanzia, ricordi  questi,  che  velocemente  si  accavallavano  nel  mio  cervello  già  sconvolto, come  se  volessi  rivivere  quei  primi  venti  anni  di  vita  per  l’ultima  volta. A  richiamarmi  alla  realtà  fu  la  voce  del  Comandante  che  dalla  camera  manovra  avvisò  tutto  l’equipaggio  che  sarebbe  stato  rimesso  in  moto  l’impianto  “ Calzoni”, riprendendo  il  governo   dei  timoni  dal  dispositivo  centrale  ed  escludendo  i  due  timonieri  di  prora  in  preda  a  forte  agitazione. Il  Comandante  ordinò  al  Capo  silurista  di  controllare  se  il piccolo  manometro  in  mezzo  ai  tubi  di  lancio  era  ancora  funzionante. In  caso  affermativo, bisognava  segnalargli, in  camera  manovra, la  profondità  in  esso  indicata. con  la  lampada  d’emergenza, il  Sottufficiale  illuminò  il  piccolo  manometro, la  lancetta era  saltata  fuori  scala!.  Il  Capo chiamò  per  telefono  la camera  manovra  e  comunIcò:    

“ Manometro  efficiente, indicatore  profondità  fuori  scala!”

Ci  furono  alcuni  secondi  di  silenzio poi, sempre  dall’interfonico, il  Comandante  che  con  estrema  calma  disse  a  tutto  l’equipaggio: “Attenzione!  Sono  costretto  a  sfogare  un  quantitativo  di  aria  compressa  all’interno  del  sommergibile  per controbilanciare  la  pressione  esterna, cercate  di  tapparvi  le  orecchie  con  le  mani  il  più  possibile  in  modo  di  prevenire  danni  ai  timpani”.  Mentre  si  eseguiva  la  operazione  preannunciata, sentimmo  qualcosa  che  ci  comprimeva, avvertimmo  una  certa  nausea  e  la  respirazione  si  fece  pesante. Gli  idrofoni  non  rilevavano  più  alcun  rumore  da  un  po’ di  tempo  Ancora  la  voce  del  Comandante:  “Attenzione! do  aria  per  l’emersione, nessuno  si  muova  dai propri  posti!”.  C’era  pericolo  che  l’aria  compressa  non  sarebbe  stata  sufficiente  a  liberare  dall’acqua  le  casse  zavorra. Sentimmo  il  rumore  dell’aria  compressa  nei  doppifondi, il  Capo  silurista, davanti al piccolo  manometro  di  profondità, stava  controllando se  l’indicatore  tentava  di  spostarsi  Passarono  secondi  che  sembravano  interminabili, la  lancetta  non  si  muoveva. Un  dubbio  terribile  assalì  tutti  noi, la  spinta  dell’aria  compressa  non  riusciva  a  vuotare  le  casse  zavorra.  Era  la  nostra  fine….. Non  sono  in  grado  di  dire  quanto  durò  quella  drammatica  situazione.  Tutto  l’equipaggio  era  caduto in  un’angoscia  indicibile  ad  un  tratto, sentii il  Capo  silurista  che  gridava:   

“ Ragazzi,  si  muove !  Andiamo  su! “.

Lentamente  il  sommergibile  incominciò  a  risalire  e  raggiungemmo  la  quota  di  sicurezza; la l’unità  stava  riprendendo  l’assetto  normale  ma  era    impossibile  posizionarlo  a  quota  periscopica    a  causa  dell’avaria  al  sistema  assetto  zavorra  quindi, eravamo  costretti  a   emergere  a  tentoni, con  il  rischio  di  essere  speronati  dai  C.T. nemici  che  forse  erano  in  agguato  ad  aspettarci. Risalimmo  pian  piano  la  superficie, a  circa  ottanta   metri  il  Comandante  ordinò  di  aprire  le  porte - stagno  ed  ai  cannonieri  e  mitraglieri  di  tenersi  pronti  in  caso  d’attacco  nemico. Anch’io  mi  preparavo  e  prendevo  posto  nella  riserva  munizioni, in  conclusione, sarebbe  stata  la  nostra, una  battaglia  “in  extremis”,  un  atto  eroico  di  fronte  al  nemico. Ci  avvicinammo  sempre  più  in  superficie, la  tensione  nervosa  ci  attanagliava, eravamo  tormentati  e  preoccupati   che, una  volta emersi, avremmo  potuto  trovare  qualche  brutta  sorpresa. Il  Comandante  chiamò  in  camera  di  manovra  il  nostromo. Erano  circa  le  due  di  notte, emergemmo. Il  nostromo  aprì  il  portello  della  torretta, fu  investito  in  pieno  dal  getto  d’aria  compressa  che  ristagnava  dentro  il  sommergibile, riuscì  con  prontezza  ad  aggrapparsi  al  tubo  d’ottone  della  scaletta  evitando  così  di  volare  in  mare  come  un  fuscello. Raggiunse  la  plancia  seguito  dal  Comandante, noi  tutti  agitatissimi  aspettavamo ……Sentimmo  aprire  l’interfonico  ed  il  Comandante  ad  alta  voce  annunciò:

“ Orizzonte  libero! Motori  termici  avanti  tutta!”

Ci  fu, in  tutto  l’equipaggio, un  sospiro  di  sollievo; fortunatamente, almeno  per  ora, l’avevamo scampata.  Le  nostre  invocazioni, le  nostre  preghiere  a  tutti  i  Santi  del  Cielo  furono  accolte ….. Dalla  situazione  che  si  era  creata, dopo il  violento  bombardamento  subacqueo, ben  difficil-mente  l’unità  poteva  uscire  indenne  e  le  nostre  preoccupazioni  erano  più  che  legittime. Non  c’era  altra  via  di  scampo!  Il  nemico, convinto  di  averci  eliminati, aveva  abbandonato  la  zona  e  ripreso  la  scorta  al  convoglio. Tutti  i  dati  da  noi  rilevati e  trasmessi  alla  nostra  base, furono  passati  al  Comando  tedesco  degli  “U-BOOT”, poiché  il  nostro  Comando  non  aveva, in  quel  momento, alcuna  unità  disponibile  in  quella  zona. Sei  “U-BOOT”  iniziarono  immediatamente  la  caccia  e,  dietro  le  nostre  informazioni, in  breve  tempo  il  grosso  convoglio  fu  intercettato. 

I  sommergibili  tedeschi  adottano  il  sistema  d’attacco  detto:    “ a  branco  di  lupi”,    lo  decimò, solo  qualche  nave  portò  a  termine  il  viaggio. I  bombardamenti  da  noi  subiti  avevano  provocato  ad  alcuni  congegni  del  sommergibile, delle  avarie  non  riparabili  in  mare, fummo  costretti  a  rientrare  alla    base, raggiungemmo  Bordeaux, qualche  giorno  prima  di  Natale  del  1941. Durante  la  navigazione  di  rientro, eravamo  ancora  sotto  gli  incubi  della  drammatica  avventura  e  ogni  piccolo  rumore  ci  faceva  trasalire, scioccati  e  tremendamente  sfiniti  come  eravamo. Approfittando  dello  stato  di  tensione  generale, un  commilitone  ci  combinò  uno  scherzo  inaspettato  e  improvviso.  Avevamo  finito  di  consumare  il  rancio  ed  era  il  suo  turno  di  lavare  la  “camella”  (recipiente  in  alluminio  per  trasportare  e  distribuire  il  rancio), dopo  aver  messo  insieme  i piatti  e  posate  si  era   diretto  verso  il  lavandino. Nell’attesa  del  turno  di  guardia, alcuni  erano  sdraiati  sulle  brande,  altri  si  erano  messi  a  leggere, altri  ancora  parlottavano  sottovoce.

Il  nostro  amico, finito  di  lavare  la  “camella”, nel  ritornare  indietro, appena  messo  piede  nel  locale  che  era  immerso  nel  silenzio  più  assoluto  (a  parte  il  ronzio  dei  motori),  lasciò  cadere  sul  pavimento  il  recipiente  pieno  di  stoviglie  da  provocare  un  rumore  così  assordante  da  sembrare  un’esplosione  di  bomba.  Tutti  fummo  presi  alla  sprovvista, trasalimmo, alcuni  saltarono  dalle  cuccette, altri  rimasero  irrigiditi, lo smarrimento  generale  durò  qualche  secondo  poi, scoprimmo  l’autore  dello  scherzo  che  si  era  subito  messo  al  riparo  fuggendo  attraverso  le  due  porte-stagno  aperte, per  evitare  di  essere  linciato  da  noi. Non  potendo  fare  altro, lo  coprimmo  d’improperi  e  di parolacce  pronunciate  in  tutti  i   dialetti  italiani ……. Ritornata  la  calma, quando  l’amico  si  ripresentò  nel  locale  ci  fu  una  risata  generale. Il  giorno  di  Natale, i  cuochi  militarizzati, dipendenti  della  “Società  di  Navigazione  Italia”, ci  prepararono  un  ricco  rancio  veramente  speciale  che ci  fu  servito  in  un  grande  capannone  che   per  l’occasione, era  stato  pavesato  ed  addobbato. Oltre  a  tutti  gli  equipaggi  e  rispettivi  Comandanti  delle  unità  navali, pranzò  con  noi  il  Comandante  della  base  Ammiraglio  Romolo  Polacchini  con  i  suoi  collaboratori. Prima  di  sedersi  a  tavola  l’Ammiraglio  ci  fece  gli  auguri  più  vivi  e  sinceri  estendendoli  anche  alle  nostre  famiglie  lontane, aggiunse  altre  belle  parole  di  circostanza, dicendo  inoltre  che, durante  il  pranzo, non  si  doveva  tener  conto  delle  differenze  gerarchiche, di  festeggiare  quel  solenne  giorno, come  fossimo  una  grande  famiglia, dimenticando  per  qualche  ora, gli  impegni  della  guerra. Il  pranzo  fu  veramente  eccellente  ed  abbondante, potemmo  gustare  un    buon  vino  e  terminò  con    “ lo  spumante  ed  il  panettone  “Motta”.

Il  sommergibile  entrò  in  bacino  per  lavori.  L’11  febbraio  1942 ripartimmo  per  le  “Antille”, (Mar  dei  Carabi).  Ho  già  descritto  ed  illustrato  le  varie  vicissitudini  di  questa  missione  in  ogni  particolare. Dopo  la  scomparsa  del  “Morosini”, fui  aggregato  all’equipaggio  del  sommergibile  “Calvi”  poi, in  seguito, a  quello  del  sommergibile  “Tazzoli”. Ancora  una  volta  ebbi  la  fortuna  di  salvare    la  pelle  perché, in  tutte  e  due  le  unità  che  non  tornarono, io  rimasi  a  terra  come  riserva.  Il  “Calvi”  era  al  comando  del  C.F. Primo  Longobardo, il  “Tazzoli”  dal C.C. Gaito,  nel  frattempo, fui  trasferito  al  Comando  Superiore, addetto  alla  mensa  Sottufficiali.  M’inserii  bene  tra  i  cuochi  e  camerieri  passando  così  un  periodo  tranquillo  e  divertente. L’8 settembre 1943, con  la capitolazione  dell’Italia, il  nuovo  Comandante  della  base  C.V. Enzo  Grossi  non  volle  riconoscere  il  “Governo  Badoglio”  e  si  schierò  dalla  parte  dei  tedeschi, non  tutti  però  lo  seguirono. La  maggioranza  del    personale  della  base  si  rifiutò  di  collaborare  con  il  Comando  tedesco  ed  io  mi  associai  ai  dissidenti.    Il  19  settembre  1943, i  collaboratori  furono: prelevati, disarmati,  fatti  salire  sui  camion  e  deportati  nei  campi  di  concentramento  in  Germania.

Furono  due  lunghissimi  anni  di  prigionia, costretti  ad  un  lavoro  pesante, demotivati  e  demoralizzati, soggetti  ad  umiliazioni  d’ogni  sorta, divorati  da  parassiti  d’ogni  genere, da  una  fame  indicibile  ed  a  maltrattamenti  indescrivibili. Circa  20.000  uomini  non  tornarono  più  dall’ inferno  dei  “Lager”  tedeschi!     

 Il  12  ottobre  del  1945  finalmente, tornai  a  casa.   Doveva  essere  un  gran  giorno  invece, trovai  un’amarissima  sorpresa.  Il  periodo  della  prigionia  fino  alla  liberazione da  parte  delle  truppe  inglesi  sarà  un  capitolo  a  parte.  Non  so  se  la  narrazione  dei  fatti  salienti  relativi  a  quel  particolare  periodo  della  mia  vita  proseguirà, spero  in  ogni  modo  di  soddisfare  la  curiosità  di  chi  ha  avuto la  costanza  di  seguirmi. Ci  tengo  a  puntualizzare  che, alcuni  dati  tecnici  che  mi  sono  permesso  citare  in  questo  racconto, sono  da  me  descritti  “non” con  una  terminologia  propria, precisa (non  ho  una  preparazione  adeguata), ma  riferiti  come  li  ho  appresi  a  bordo  assieme  all’equipaggio.