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TERZA MISSIONE Verso la metà di novembre (1941), i lavori ai sommergibili furono terminati. Dopo le prove di collaudo, eravamo “ pronti a muovere“. Alla fine dello stesso mese prendemmo il mare. La zona d’operazione si estendeva dalle Isole Azzorre all’Isola di Madeira ad Ovest di Gibilterra. Per alcuni giorni navigammo con mare molto agitato, le lunghe onde dell’Oceano, cagiona- vano alla nostra unità, un beccheggio al rallentatore provocando all’equipaggio un mal di mare generale. Il 12 dicembre, ci trovavamo a poche miglia a Nord di Madeira, con mare calmo, avevamo qualche noia ad un motore elettrico ed urgeva un controllo. Appena notte, il Comandante diresse il sommergibile verso costa ed entrammo nelle acque territoriali neutrali per essere più tranquilli durante il lavoro di riparazione. Con l’unità in superficie arrivammo sotto costa, vedemmo la città illuminata e nei lunghi viali sulla riviera, notavamo i fari in movimento delle automobili. I nostri meccanici ed elettricisti si misero subito all’opera. Dopo un paio d’ore riuscirono ad eliminare l’inconveniente. Era passata da poco la mezzanotte, l’R.T. riceveva dal nostro Comando Base, un messaggio col quale c’informava della presenza di un grosso convoglio di circa venticinque navi, uscito da Gibilterra con rotta Nord, che era stato scoperto dagli aerei tedeschi e, poiché non c’era nessun suo “ U-BOOT” in quella zona, l’informazione fu passata al nostro Comando Base il quale, informava noi del “ Morosini” che, unici nella zona in grado di scoprire il grosso convoglio, dovevamo renderci conto della situazione e ritrasmettere alla nostra Base alcuni dati indispensabili quali: la rotta, le velocità, la consistenza numerica delle navi, dovevamo inoltre, se si presentava l’occasione favorevole, attaccare il convoglio ma con lancio di siluri a distanza perché le navi erano scortate da numerose siluranti. Ricevute queste disposizioni il Comandante informò tutto l’equipaggio. Raccomandò al personale che non era di servizio di riposare o di dormire perché fra qualche ora, con molta probabilità, poteva essere sferrato l’attacco e, tutti gli uomini, dovevano essere pronti ad ogni evenienza. Uscimmo dalle acque territoriali di Madeira e puntammo verso il punto indicatoci alla ricerca del convoglio con i motori a massima forza, L’equipaggio cercava d’essere calmo, alcuni erano sulle cuccette, altri rannicchiati sui paioli, si tentava di dormire ma era impossibile, vuoi per la forte vibrazione dello scafo sollecitato dai motori lanciati al massimo di giri, vuoi per la tensione nervosa che ci attanagliava pensando a ciò che fra poche ore sarebbe accaduto. Navigammo tutto il giorno sempre a massima forza (14 – 15 miglia all’ora). Verso le 16, dopo circa quattordici ore di moto, si profilò all’orizzonte un’estesa scia di fumo e ci avvicinammo fino a scoprire le punte degli alberi delle navi: avevamo raggiunto e scoperto il grosso convoglio. Il Comandante doveva seguirlo ma con precise intenzioni: mantenere la nostra rotta ad una certa distanza dietro la linea dell’orizzonte poi, con i motori a tutta forza, sorpassare il gruppo di navi ed appena notte, lanciarsi all’attacco in superficie, lanciare i quattro siluri di prora a ventaglio sul convoglio e immediatamente scomparire in immersione. Durante l’inseguimento, furono trasmessi alla nostra base, tutti i dati che c’erano stati richiesti circa l’ubicazione del convoglio, e il numero approssimativo delle navi. Verso le otto di sera cercammo di avvicinarci, favoriti dall’oscurità resa più completa dal cielo coperto, rallentammo l’andatura per limitare la fosforescenza della nostra scia. Alle 21:30 circa, eravamo nella posizione idonea per compiere il lancio a distanza. Il Comandante ordinò ai siluristi della camera lancio di prora, di aprire i quattro cappelli esterni dei tubi di lancio e con- trollare che tutto fosse in ordine. Io ero a prora con gli altri: nel silenzio più assoluto e con i nervi tesi aspettavamo dalla camera manovra, l’ordine. Ad un tratto udimmo l’ordine secco del Comandante: “ Chiudere i cappelli esterni ! Rapida immersione !” Rapidamente incominciammo a scendere. Supponemmo che fossimo stati scoperti dalle unità di scorta al convoglio, ed infatti, dopo qualche minuto, ci fu confermato dalla vedetta. Era stato visto sulla nostra diritta a circa duemila metri, lanciare un razzo a paracadute da una massa oscura, sicuramente un C.T. ed il mare si era illuminato a giorno. Ormai la nostra unità era sta-ta scoperta venendo a mancare così il fattore sorpresa, il Comandante resosi immediatamente conto ordinò: “ La rapida” Scomparendo in profondità. Rapidamente raggiungemmo i sessanta – settanta metri, chiudemmo le porte – stagno mentre procedevamo zigzagando e sempre più in profondità. il nostro idrofonista, con voce calma e precisa incominciò a scandire la posizione della silurante nemica impegnata alla nostra ricerca. “ Si avvicina ……… si allontana ……... è su di noi ……… scade a diritta “ L’equipaggio immobile e silenzioso seguiva lo scorrere di quelle frasi con il cuore in gola e nervi tesi; poi ancora la voce: “ Si avvicina, è su di noi !” ed infatti, sentiamo proprio al di sopra delle nostre teste, il vortice delle eliche poi, il mezzo navale che si allontanava velocemente più tardi, un rumore strano, un leggero fruscio: “ Bombe di profondità !” gridò uno dell’equipaggio e, dopo qualche secondo fummo investiti da tre tremendi scoppi che ci scossero violentemente; fortunatamente le bombe esplosero sopra di noi, non ci procurarono nessun danno.I nostri idrofoni intercettarono altre sorgenti di rumore in zona. L’idrofonista ed il Comandante, dopo un attento ascolto, si resero conto che in superficie sostavano tre siluranti le quali avevano temporaneamente abbandonato la scorta del convoglio e si erano messe a setacciare con “lo asdic” il fondo del mare, esattamente nella zona dove c’eravamo immersi, intenzionate ad eliminarci. Eravamo in una situazione molto critica. Il Comandante ordinò di fermare l’impianto idraulico “Calzoni” che serviva per il governo automatico dei timoni orizzontali e di direzione, così facendo, si sarebbe eliminato il rumore della pompa che, ad intervalli, automaticamente si metteva in moto. Con questa precauzione si poteva evitare il pericolo di farci più facilmente localizzare dalle siluranti. Il governo dei timoni orizzontali e di direzione fu così manovrato a mano. A prora, le ruote dei timoni orizzontali si trovano sulla diritta, e sulla sinistra dei tubi di lancio. Per il governo del timone di diritta fu incaricato il nostromo, per quello di sinistra, il capo silurista. Dalla prima scarica di bombe, erano passati una quindicina di minuti, i manometri marcavano centotrenta metri di profondità. Nei compartimenti - stagno in cui eravamo sistemati, si sentiva il nostro respiro affannoso, mentre la voce sommessa e precisa dell’ idrofonista, seguitava a scandire i dati di rilevamento. Ormai, si poteva essere certi, che eravamo braccati non da una, ma da tre siluranti nemiche, intenzionate a scaraventarci nell’abisso dello Oceano. Noi, acquattati nella massima profondità, ci muovevamo lentamente zigzagando. A questo punto, vorrei dire ciò che nella mia testa sconvolta rimuginava durante quella spaventosa esperienza. Come già detto, ero nel locale di prora rannicchiato sui paioli, con la testa appoggiata sulla branda, di tanto in tanto alzavo gli occhi sul grosso manometro di profondità, notavo che la lancetta lentamente scendeva fino a raggiungere la massima profondità di centocinquanta metri, un commilitone sdraiato anche lui sulla branda, con un leggero filo di voce all’orecchio mi disse: “ Siamo a centocinquanta metri ! e se questa scatola resiste, ce la faremo a rivedere il cielo !” L’ idrofonista aveva captato l’avvicinarsi veloce di una silurante ed esclamò: “ E’ sopra di noi !” Sentii infatti che ci passava sopra a tutta forza e avvertii lo stesso strano rumore della prima scarica di bombe ma, questa volta più marcato. Appoggiai la fronte sul materassino della branda e aspettai …….. Nel silenzio più assoluto che regnava nel locale, si avvertiva sempre più consistente, quel rumore esterno che sembrava acqua in ebollizione. Erano bombe catapultate dalla silurante e che, da un momento all’altro sarebbero esplose! Ad un tratto fummo investiti da una violenta terrificante sequenza d’esplosioni; forse dieci, forse quindici bombe che ci scoppiavano vicinissime. Lo scafo della nostra unità subì degli scossoni tremendi, ci appruammo, parecchi oggetti si staccavano rovinando sui paioli. Io mi ritrovai disteso sui paioli, non riuscivo a parlare e nemmeno a pensare. Il Comandante dalla camera manovra si volle accertare se c’era stata infiltrazione d’acqua nei vari locali: fortunatamente lo scafo aveva tenuto e incitò allora i timonieri orizzontali a governare i timoni “ a salire” poiché perdevamo quota, i manometri di profondità stavano per andare fuori scala, fortuna volle che ci fermammo, cominciammo a risalire fino a raggiungere la quota di sicurezza di circa centocinquanta metri. I nostri idrofoni rilevavano continue sorgenti di rumore da varie direzioni. Ormai eravamo stati localizzati ed in superficie si apprestavano a darci il colpo di grazia. Passò un po’ di tempo, l’idrofonista non avvertiva più rumori, tutto l’equipaggio ebbe un sospiro di sollievo convinto che il nemico avesse mollato la presa, purtroppo non fu così. Dopo alcuni minuti di calma, sentimmo il rumore della silurante che si avvicinava rapidamente sulla nostra verticale poi, il tonfo delle bombe e questa volta erano state catapultate a “ catena”. Il Comandante, dall’interfonico, dette ordine ai timonieri orizzontali, di dare ai timoni, la massima inclinazione a scendere. Eravamo a circa centocinquanta metri, quando fummo investiti da una violentissima scarica seguita, a breve distanza, da una seconda ondata. Il sommergibile si appruò paurosamente, rimanemmo nel buio completo, tutte le lampadine si spaccarono. Con una mano aggrappata ai bordi della branda per non scivolare verso i tubi di lancio, e con l’altra, rattrappita in un lembo di coperta non riuscivo a muovermi. Sentii il Comandante chiedere a quale profondità era scesa la prora ed ordinava ai timonieri di tenere i timoni a “ salire al massimo”. Con una lampada d’emergenza si fece luce sul manometro: non esisteva più …… il vetro e le lancette erano volate via ! I timonieri cercavano disperatamente di riportare i timoni orizzontali a “ salire” ma, si accorsero, che le ruote giravano a vuoto. Il Capo silurista fuori di se gridò che i timoni probabilmente, si erano contorti e incastrati per effetto delle esplosioni delle bombe. Il sommergibile, con la prora rivolta verso l’abisso, paurosamente continuava a perdere quota, rumori strani si avvertivano in varie parti dello scafo sottoposto ad una tremenda pressione esterna. Il Capo silurista farneticava, esortava l’equipaggio a farsi il segno della croce ed invocare S. Lucia che proprio quel giorno, 13 dicembre, ricorreva la sua festa. L’appruamento aumentava sempre di più, alcuni oggetti si staccavano dai loro posti rotolando verso i tubi di lancio e provocavano rumori che ci facevano sobbalzare. Alcuni pregavano, altri invocavano i santi, ricordavano le madri e i loro cari, altri ancora, pronunciavano frasi senza senso. Il rumore delle strutture dello scafo aumentava sempre di più, ci rendevamo conto che stavamo affondando, lo scafo resisteva …… ma per quanto tempo ancora? Erano trascorse oltre due ore dal primo attacco, avevamo subito quattro scariche di bombe. Con la bocca secca, la lingua attaccata al palato, in preda a forte agitazione, ero convinto che lo spettro della morte stesse avvolgendo lo scafo e fra qualche istante saremmo sprofondati in fondo all’Oceano, imprigionati fra le lamiere contorte dalla gigantesca pressione. Ad un tratto sentii dentro di me qualcosa che mi faceva riprendere coraggio, alzai la testa, e nella debole luce delle lampade d’emergenza notai alcune facce dei miei compagni di sventura stravolte, alcuni tesi, altri si agitavano pronunciando parole incomprensibili. Ebbi l’Impressione di essere chiuso in una tomba circondata da fantasmi. La mia mente incominciò a ripercorrere a ritroso i pochi anni della mia esistenza. Rivedevo come un sogno, la cara mamma defunta e la mia famiglia, tutta al completo, il babbo che sicuramente a quella ora stava riposando, poi via, via un susseguirsi di figure, di fatti, che risalivano fino all’infanzia, ricordi questi, che velocemente si accavallavano nel mio cervello già sconvolto, come se volessi rivivere quei primi venti anni di vita per l’ultima volta. A richiamarmi alla realtà fu la voce del Comandante che dalla camera manovra avvisò tutto l’equipaggio che sarebbe stato rimesso in moto l’impianto “ Calzoni”, riprendendo il governo dei timoni dal dispositivo centrale ed escludendo i due timonieri di prora in preda a forte agitazione. Il Comandante ordinò al Capo silurista di controllare se il piccolo manometro in mezzo ai tubi di lancio era ancora funzionante. In caso affermativo, bisognava segnalargli, in camera manovra, la profondità in esso indicata. con la lampada d’emergenza, il Sottufficiale illuminò il piccolo manometro, la lancetta era saltata fuori scala!. Il Capo chiamò per telefono la camera manovra e comunIcò: “ Manometro efficiente, indicatore profondità fuori scala!” Ci furono alcuni secondi di silenzio poi, sempre dall’interfonico, il Comandante che con estrema calma disse a tutto l’equipaggio: “Attenzione! Sono costretto a sfogare un quantitativo di aria compressa all’interno del sommergibile per controbilanciare la pressione esterna, cercate di tapparvi le orecchie con le mani il più possibile in modo di prevenire danni ai timpani”. Mentre si eseguiva la operazione preannunciata, sentimmo qualcosa che ci comprimeva, avvertimmo una certa nausea e la respirazione si fece pesante. Gli idrofoni non rilevavano più alcun rumore da un po’ di tempo Ancora la voce del Comandante: “Attenzione! do aria per l’emersione, nessuno si muova dai propri posti!”. C’era pericolo che l’aria compressa non sarebbe stata sufficiente a liberare dall’acqua le casse zavorra. Sentimmo il rumore dell’aria compressa nei doppifondi, il Capo silurista, davanti al piccolo manometro di profondità, stava controllando se l’indicatore tentava di spostarsi Passarono secondi che sembravano interminabili, la lancetta non si muoveva. Un dubbio terribile assalì tutti noi, la spinta dell’aria compressa non riusciva a vuotare le casse zavorra. Era la nostra fine….. Non sono in grado di dire quanto durò quella drammatica situazione. Tutto l’equipaggio era caduto in un’angoscia indicibile ad un tratto, sentii il Capo silurista che gridava: “ Ragazzi, si muove ! Andiamo su! “. Lentamente il sommergibile incominciò a risalire e raggiungemmo la quota di sicurezza; la l’unità stava riprendendo l’assetto normale ma era impossibile posizionarlo a quota periscopica a causa dell’avaria al sistema assetto zavorra quindi, eravamo costretti a emergere a tentoni, con il rischio di essere speronati dai C.T. nemici che forse erano in agguato ad aspettarci. Risalimmo pian piano la superficie, a circa ottanta metri il Comandante ordinò di aprire le porte - stagno ed ai cannonieri e mitraglieri di tenersi pronti in caso d’attacco nemico. Anch’io mi preparavo e prendevo posto nella riserva munizioni, in conclusione, sarebbe stata la nostra, una battaglia “in extremis”, un atto eroico di fronte al nemico. Ci avvicinammo sempre più in superficie, la tensione nervosa ci attanagliava, eravamo tormentati e preoccupati che, una volta emersi, avremmo potuto trovare qualche brutta sorpresa. Il Comandante chiamò in camera di manovra il nostromo. Erano circa le due di notte, emergemmo. Il nostromo aprì il portello della torretta, fu investito in pieno dal getto d’aria compressa che ristagnava dentro il sommergibile, riuscì con prontezza ad aggrapparsi al tubo d’ottone della scaletta evitando così di volare in mare come un fuscello. Raggiunse la plancia seguito dal Comandante, noi tutti agitatissimi aspettavamo ……Sentimmo aprire l’interfonico ed il Comandante ad alta voce annunciò: “ Orizzonte libero! Motori termici avanti tutta!” Ci fu, in tutto l’equipaggio, un sospiro di sollievo; fortunatamente, almeno per ora, l’avevamo scampata. Le nostre invocazioni, le nostre preghiere a tutti i Santi del Cielo furono accolte ….. Dalla situazione che si era creata, dopo il violento bombardamento subacqueo, ben difficil-mente l’unità poteva uscire indenne e le nostre preoccupazioni erano più che legittime. Non c’era altra via di scampo! Il nemico, convinto di averci eliminati, aveva abbandonato la zona e ripreso la scorta al convoglio. Tutti i dati da noi rilevati e trasmessi alla nostra base, furono passati al Comando tedesco degli “U-BOOT”, poiché il nostro Comando non aveva, in quel momento, alcuna unità disponibile in quella zona. Sei “U-BOOT” iniziarono immediatamente la caccia e, dietro le nostre informazioni, in breve tempo il grosso convoglio fu intercettato. I sommergibili tedeschi adottano il sistema d’attacco detto: “ a branco di lupi”, lo decimò, solo qualche nave portò a termine il viaggio. I bombardamenti da noi subiti avevano provocato ad alcuni congegni del sommergibile, delle avarie non riparabili in mare, fummo costretti a rientrare alla base, raggiungemmo Bordeaux, qualche giorno prima di Natale del 1941. Durante la navigazione di rientro, eravamo ancora sotto gli incubi della drammatica avventura e ogni piccolo rumore ci faceva trasalire, scioccati e tremendamente sfiniti come eravamo. Approfittando dello stato di tensione generale, un commilitone ci combinò uno scherzo inaspettato e improvviso. Avevamo finito di consumare il rancio ed era il suo turno di lavare la “camella” (recipiente in alluminio per trasportare e distribuire il rancio), dopo aver messo insieme i piatti e posate si era diretto verso il lavandino. Nell’attesa del turno di guardia, alcuni erano sdraiati sulle brande, altri si erano messi a leggere, altri ancora parlottavano sottovoce. Il nostro amico, finito di lavare la “camella”, nel ritornare indietro, appena messo piede nel locale che era immerso nel silenzio più assoluto (a parte il ronzio dei motori), lasciò cadere sul pavimento il recipiente pieno di stoviglie da provocare un rumore così assordante da sembrare un’esplosione di bomba. Tutti fummo presi alla sprovvista, trasalimmo, alcuni saltarono dalle cuccette, altri rimasero irrigiditi, lo smarrimento generale durò qualche secondo poi, scoprimmo l’autore dello scherzo che si era subito messo al riparo fuggendo attraverso le due porte-stagno aperte, per evitare di essere linciato da noi. Non potendo fare altro, lo coprimmo d’improperi e di parolacce pronunciate in tutti i dialetti italiani ……. Ritornata la calma, quando l’amico si ripresentò nel locale ci fu una risata generale. Il giorno di Natale, i cuochi militarizzati, dipendenti della “Società di Navigazione Italia”, ci prepararono un ricco rancio veramente speciale che ci fu servito in un grande capannone che per l’occasione, era stato pavesato ed addobbato. Oltre a tutti gli equipaggi e rispettivi Comandanti delle unità navali, pranzò con noi il Comandante della base Ammiraglio Romolo Polacchini con i suoi collaboratori. Prima di sedersi a tavola l’Ammiraglio ci fece gli auguri più vivi e sinceri estendendoli anche alle nostre famiglie lontane, aggiunse altre belle parole di circostanza, dicendo inoltre che, durante il pranzo, non si doveva tener conto delle differenze gerarchiche, di festeggiare quel solenne giorno, come fossimo una grande famiglia, dimenticando per qualche ora, gli impegni della guerra. Il pranzo fu veramente eccellente ed abbondante, potemmo gustare un buon vino e terminò con “ lo spumante ed il panettone “Motta”. Il sommergibile entrò in bacino per lavori. L’11 febbraio 1942 ripartimmo per le “Antille”, (Mar dei Carabi). Ho già descritto ed illustrato le varie vicissitudini di questa missione in ogni particolare. Dopo la scomparsa del “Morosini”, fui aggregato all’equipaggio del sommergibile “Calvi” poi, in seguito, a quello del sommergibile “Tazzoli”. Ancora una volta ebbi la fortuna di salvare la pelle perché, in tutte e due le unità che non tornarono, io rimasi a terra come riserva. Il “Calvi” era al comando del C.F. Primo Longobardo, il “Tazzoli” dal C.C. Gaito, nel frattempo, fui trasferito al Comando Superiore, addetto alla mensa Sottufficiali. M’inserii bene tra i cuochi e camerieri passando così un periodo tranquillo e divertente. L’8 settembre 1943, con la capitolazione dell’Italia, il nuovo Comandante della base C.V. Enzo Grossi non volle riconoscere il “Governo Badoglio” e si schierò dalla parte dei tedeschi, non tutti però lo seguirono. La maggioranza del personale della base si rifiutò di collaborare con il Comando tedesco ed io mi associai ai dissidenti. Il 19 settembre 1943, i collaboratori furono: prelevati, disarmati, fatti salire sui camion e deportati nei campi di concentramento in Germania. Furono due lunghissimi anni di prigionia, costretti ad un lavoro pesante, demotivati e demoralizzati, soggetti ad umiliazioni d’ogni sorta, divorati da parassiti d’ogni genere, da una fame indicibile ed a maltrattamenti indescrivibili. Circa 20.000 uomini non tornarono più dall’ inferno dei “Lager” tedeschi! Il 12 ottobre del 1945 finalmente, tornai a casa. Doveva essere un gran giorno invece, trovai un’amarissima sorpresa. Il periodo della prigionia fino alla liberazione da parte delle truppe inglesi sarà un capitolo a parte. Non so se la narrazione dei fatti salienti relativi a quel particolare periodo della mia vita proseguirà, spero in ogni modo di soddisfare la curiosità di chi ha avuto la costanza di seguirmi. Ci tengo a puntualizzare che, alcuni dati tecnici che mi sono permesso citare in questo racconto, sono da me descritti “non” con una terminologia propria, precisa (non ho una preparazione adeguata), ma riferiti come li ho appresi a bordo assieme all’equipaggio. |
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