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“L’AGGUATO DI
CAPO MATAPAN” |
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La tragica
fine delle Unità della Prima Divisione Navale, gli Incrociatori FIUME
POLA e ZARA e di due Cacciatorpediniere della Scorta, ALFIERI e CARDUCCI. |
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Quella di Capo Matapan (punta estrema a
sud del Peloponneso, nel mare Egeo) è una delle più terribili tragedie
umane che si siano consumate in mare.
Sono trascorsi 65 anni da quella
notte, tra il 28 e 29 marzo 1941, durante la quale, in pochi maledetti
minuti, la Marina Italiana subì la perdita di tre incrociatori e due
cacciatorpediniere.
Su Gaudo e Matapan sono stati
scritti innumerevoli libri, e consumati fiumi d’inchiostro, per cercare
di capire come sia stato possibile il verificarsi di quell’incredibile
evento. Riteniamo che il più preciso e documentatissimo sia sicuramente
quello scritto dallo storico e precisissimo ricercatore Francesco
Mattesini, “L’operazione Gaudo e lo scontro notturno di Capo Matapan”,
edito dall’Ufficio Storico della Marina Militare nel giugno 1998.
La missione, denominata
“Operazione Gaudo”, dal nome dell’isolotto a sud di Creta, aveva
l’obiettivo di intercettare i convogli che, partendo da Alessandria
d’Egitto, rifornivano l’apparato bellico alleato stanziato a Creta. La
Squadra Navale italiana, agli ordini dell’Ammiraglio di Squadra Angelo
Iachino, era composta dalla corazzata “Vittorio Veneto” (nave
ammiraglia); da sei incrociatori pesanti da 11.000 tonnellate: tre della
Prima Divisione Navale (Amm. Cattaneo), ”Zara”, “Pola e “Fiume”, tre
della Terza Divisione (Amm. Sansonetti) Trieste”, Trento”, e “Bolzano”;
due incrociatori leggeri dell’Ottava Divisione (Amm. Legnani), “Abruzzi”
e “Garibaldi”, e tredici cacciatorpediniere delle Squadriglie: Sesta,
Nona, Dodicesima e Tredicesima. Tali forze salpano, tra il 26 ed il 27
di marzo, da varie basi italiane (La Spezia, Napoli, Messina, Taranto e
Brindisi). Ma gli inglesi già conoscono le intenzioni della nostra
Marina.
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a dx: Amm. di Div. Carlo
Cattaneo su Incr. Trento con il suo A.d.B. |
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a sx: Ammir. di Squadra
Angelo IACHINO |
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A scoprire tale intendimento è
l’Intelligence Service inglese, capace di intercettare e decifrare,
quasi in tempo reale, gli ordini operativi che Supermarina inviava ai
Comandi dipendenti. Con l’apertura degli archivi segreti inglesi, dopo
cinquant’anni dalla fine della guerra, si è finalmente chiarito che ciò
avvenne perché l’Inghilterra era venuta in possesso della decifrante
“ultra” costruita ed usata dai tedeschi. Ciò ridimensiona le tante
accuse di “tradimenti” sostenute da molti e, più di tutti, da Antonio
Trizzino nel suo libro “Navi e Poltrone” Che suscitò tanto scalpore
qualche decennio scorso. Gli inglesi, già dal 25 di Marzo, erano venuti
a conoscenza che la Flotta Italiana stava preparando qualcosa di grosso
decifrando un messaggio che Supermarina aveva inviato al Comando
Militare dell’Egeo il seguente messaggio: “OGGI 25 MARZO EST GIORNO
X-3”; quindi il fatidico giorno X sarebbe stato il 28 Marzo. L’Amm.
Cunningham, comandante in capo della Mediterranean Fleet, ne ha la
certezza il mattino del 27 marzo quando, un suo aereo ricognitore, gli
comunica l’avvistamento della Squadra Navale Italiana a 70 miglia ad est
di Capo Passero, con direttrice di marcia S.E. |
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L’Ammiraglio inglese ordina a tutti i
convogli di rientrare nei porti più vicini e allerta nel frattempo le
unità della Mediterranean Fleet. dislocate nel Mediterraneo Medio
Orientale e il giorno 27, dopo il tramonto per non essere avvistato
dalla ricognizione aerea italo-tedesca, prende il mare, da Alessandria
d’Egitto, con la potente squadra da battaglia costituita dalle corazzate
“Valiant”, “Bahram” e “Warspite” (nave Ammiraglia) e dalla portaerei “Formidable”,
scortate da numerosi incrociatori e cacciatorpediniere.
In definitiva le due Squadre avversarie
si vanno incontro; con la differenza che gli inglesi sanno di andare
sicuramente incontro alla Squadra Italiana, mentre quest’ultima, pur
considerando un’auspicabile” presenza di navi da guerra nemiche, con cui
finalmente misurarsi, è ignara della presenza in mare delle navi da
battaglia inglesi, anche per l’errata informazione a Iachino (cosa che
ha fatto e fa ancora discutere), cui viene inoltre a mancare, fin dal
mattino del 28, la ricognizione aerea italo-tedesca, non decollata dagli
aeroporti delle basi italiane dell’Egeo per avverse condizioni
meteorologiche: “Scarsa visibilità.”
Lo ”scontro” ha inizio alle
prime ore del mattino del 28 marzo con continui attacchi di
aerosiluranti inglesi provenienti dalla portaerei Formidable che, ad
ondate, attaccano le Unità italiane che li respingono con un veemente
fuoco di sbarramento, senza riportare significativi danni, mentre la
distanza dal “grosso” delle Unità di Cunningham si è ridotta ormai tra
le 60 e le 70 miglia.
Non essendo Iachino a conoscenza
della presenza in mare della Portaerei britannica, deduce, erroneamente,
che gli aerosiluranti provengono dagli aeroporti inglesi dell’isola di
Creta Nel primo pomeriggio, durante uno di tali attacchi, è danneggiata
il “Vittorio Veneto” che è costretta a ridurre la sua velocità a 15
nodi. A questo punto, vista ormai l’inutilità di continuare la missione,
Iachino ordina alle sue Unità di rientrare alle basi, facendo assumere
rotta nord-nord-ovest e alla “Vittorio Veneto”, riparate le avarie, di
assumere la velocità di 19 nodi. Si era quindi creata una situazione di
moto relativo tra le due formazioni che non avrebbe consentito a quella
inglese di raggiungere quella Italiana se non, forse, nelle prime ore
del giorno successivo, vale a dire troppo sotto le coste italiane,
evento che gli inglesi avrebbero sicuramente evitato per non correre
gravi e temuti rischi.
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a sx: Incr. Zara - in
navigazione - profilo |
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a dx: Incrociatore Fiume
- verso Gaudo |
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L’Ammiraglio inglese, resosi
conto di quanto sopra, ordina alla portaerei.” Formidable”,
nell’approssimarsi del tramonto, di far levare in volo un’altra ondata
di aerosiluranti per portare un ultimo massiccio attacco alle Unità di
Iachino. Dieci aerosiluranti (sei Albacore e quattro Swordfish)
attaccano da ponente, al calare del sole, le Unità italiane che li
accolgono con un nutrito fuoco di sbarramento antiaereo, evitando, con
opportune manovre, il lancio dei loro siluri, abbattendone un paio.
Purtroppo un siluro, lanciato da un Albacore, colpisce, nella zona
poppiera, il “Pola” che, per i gravi danni subiti all’apparato di
propulsione ed a quello elettrico, si arresta, non potendo più né
governare né sparare.
Fu questo l’evento imprevisto che permise a Cunningham di acquisire quel
vantaggio che per tutta la giornata aveva caparbiamente cercato.
L’Ammiraglio Iachino, informato da Cattaneo dell’immobilizzazione del “Pola”,
verso le 20.30, gli impartisce l’ordine, rivelatosi poi tragico,
d’invertire la rotta con il resto della
Divisione (“Zara”, “Fiume” e i
cacciatorpediniere “Alfieri”, “Gioberti”, “Carducci” e “Oriani”) per
soccorrere e rimorchiare il “Pola”. |
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La manovra è eseguita, a
malincuore da parte di Cattaneo che ha il sentore della presenza della
flotta inglese nelle vicinanze. E’ ormai buio inoltrato e le Unità di
Cattaneo navigano alla cieca (non avevano il radar, mentre le inglesi
si).Le Unità inglesi avevano intanto raggiunto e localizzato il “Pola” e
stanno dirigendo verso di esso per affondarlo, quando, non “credendo ai
loro occhi”, scoprono sui loro schermi radar le altre unità della
Divisione italiana, modificano la loro manovra di avvicinamento al Pola,
disinteressandosi per il momento, in quella di attacco delle nostre
navi, completamente ignare della loro presenza. Dopo qualche minuto,
dalle ore 22,23 alle 22,26, ad una distanza compresa tra 2.800 e 3.200
metri, illuminando improvvisamente le nostre navi con i proiettori, le
Unità inglesi aprirono il fuoco. Le tre corazzate inglesi sparano, in
quattro minuti, con una precisione di tiro impressionante, data anche la
breve distanza, 100 colpi perforanti dai grossi calibri da 381 mm.
L’effetto delle salve, ciascuna delle quali di 6/8 proiettili del peso
singolo di circa una tonnellata, è indescrivibile. Riescono a
disimpegnarsi, indenni, l’“Oriani” ed il “Gioberti”, mentre la reazione
delle altre unità è quasi nulla per i gravissimi danni provocati dalle
improvvise bordate nemiche. Quel mare diviene un immane rogo e le unità
colpite, in fiamme, sono successivamente affondate dai siluri lanciati
dalle navi inglesi minori. La stessa sorte tocca al “Polla” verso le
prime ore del mattino, dopo che gli inglesi, anche con l’ausilio di
unità greche fatte uscire all’uopo dai loro porti, hanno tratto in salvo
e catturato gran parte dell’equipaggio.
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a sx: gli Incr. Fiume -
Pola e Zara al Molo Angioino di Napoli- Parata navale 1938. |
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a dx: gli Incrociatori
della I^ Divisione Navale verso Gaudo - Matapan |
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3.684, tra Ufficiali,
Sottufficiali, Marinai e personale civile imbarcato, erano, al momento
dell’affondamento, gli uomini che costituivano gli equipaggi di quelle
belle e sfortunate Navi. Essi provenivano da ogni parte d’Italia, e
molti erano fiumani, polesani e zaratini, i quali avevano chiesto con
insistente fierezza di servire la Patria su quelle unità che portavano
il nome delle loro città. In quella terribile notte perirono ben
2.308 uomini (l’ottanta per cento tra un’età compresa tra i venti ed
i venticinque anni), chi subito straziato dalle deflagrazioni dei colpi
giunti a bordo, chi annegato, dopo lunga e penosa agonia, per le ferite
e le ustioni riportate, chi dilaniato dai pescecani sotto gli occhi
atterriti dei compagni superstiti, alcuni dei quali, come l’allora
tenente di vascello Cimaglia, ora ammiraglio, ricorda con orrore e
raccapriccio. 1196 furono quelli raccolti dalle navi inglesi e
greche, con gesto di ammirevole umanità ed in nome di quella solidarietà
che caratterizza ed unisce la “gente di mare”, aldilà dei confini e
delle diverse etnie. Per questi si aprirono i campi di prigionia in
India ed in Egitto. Molti di loro non tornarono....!
Il mattino del 29 marzo,
Cunningham ordina alle sue navi di fare rientro alle loro basi e, con
ulteriore nobile gesto, fa comunicare a Supermarina la posizione
dell’affondamento che, appresa la notizia, confermatagli anche dai due
caccia superstiti, invia nella zona, la nave ospedale “Gradisca”.
Purtroppo la tragedia si era consumata a 450 miglia dalle basi italiane
e l’Unità giunse in zona dopo circa tre giorni. Furono raccolti ancora
170 uomini, ormai stremati, in un mare pullulante di cadaveri
galleggianti, enorme orrido banchetto dei pescecani che infestavano
quella zona di mare. La scena non deve essere stata meno
terrificante di quella che è si presentò
ai soccorritori dei naufraghi del “Titanic”, il cui naufragio è stato
ancora una volta rievocato dalla cinematografia americana. |
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Il destino delle genti è a volte
crudele e beffardo fino all’inverosimile........! Quattro anni dopo
venivano “affondate”, devastate e spogliate dalla ormai ben nota pulizia
etnica ad opera dei comunisti titini, le città di Fiume, Pola e Zara che
avevano imposto il loro nome a quei tre Incrociatori. 350.000
furono gli italiani di quelle italianissime città costretti a
“naufragare” nel mare del forzato esilio, dopo essere stati privati di
tutti i loro avere e subito ogni sorta di umiliazioni, violenze fisiche
e morali. Non fu loro concesso di portare via neanche le ceneri dei loro
morti!
Ma essi furono più fortunati
d’altri loro compatrioti che, a decine di migliaia, uomini,
donne, vecchi, religiosi e bambini, furono torturati, uccisi ed “infoibati”,
molti ancora vivi, per la sola innocente colpa d’essere italiani. E’ pur
giusto fare giustizia di tutte le atrocità commesse nell’ultimo
conflitto. Noi vogliamo gridare, e con sdegno, che per quel genocidio
nessuno, specialmente dalla sinistra italiana, spende una sola parola
perché sia fatta giustizia, o che almeno se n’onori la memoria con umana
e cristiana pietà. Molti dei boia, ancora viventi, hanno pensioni, in
dollari, dallo Stato Italiano (primo tra tutti il croato Oscar Pisculic
detto Judi). Questa è, purtroppo, l’inconfutabile verità storica che i
responsabili della cultura della nostra Nazione, e particolarmente
quelli attuali, hanno scientificamente cloroformizzato.
Salvatore GRILLO |
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