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LA FIGLIA DEL TINTORETTO


“Voglio che mio fio Domenico finisca l’opere mie che restaro imperfette, usando quella maniera et diligentia che ha sempre usato sopra molte opere”.
Così scriveva Jacopo Tintoretto nel suo testamento, il 30 marzo del 1594.
“Maniera et diligentia”-erano queste le parole per Domenico.
Marietta ci avrebbe messo entusiasmo, curiosità, passione.
Ma era morta, Marietta, quattro anni addietro.

Era stata richiesta a corte da Filippo II di Spagna e da Massimiliano d’Austria. Il padre non volle, e preferì combinarle un matrimonio. Nella tela di Minerva e Aracne, racconto-simbolo della sua vita, la sua mano si rivela, più delicata e accurata – perché è frettoloso il Tintoretto, “tira via”, è veloce nel consegnare, non è mica Tiziano lui, non può star lì a rifinire, lisciare, cesellare, non gli serve, è l’effetto quello che conta.
Aveva vent’anni Marietta quando lavorò a questa tela. Aracne le somiglia.Quale concentrazione, e insieme quale tristezza, quale smarrimento nel suo sguardo dolce di sconfitta, sereno e deluso, attento e perso.
Può essere dea o Madonna; la sua acconciatura di perle tra i capelli biondi è la stessa che Marietta porta nei giorni di festa. E un principe la vide, come nell’antica canzone.

Gareggiava al telaio, chi sa perché, a seno scoperto. Sfacciata Aracne. E un principe la vide. “Questa figura è dipinta da tua figlia!E’ più brava di te, tua figlia!”
Tra le donne che assistono alla gara, una sola, seminascosta, sorride.
La prospettiva dal basso è una trovata tipica di suo padre. Il telaio la opprime, come uno strumento di tortura. Quegli incroci di legno, quelle geometrie aguzze, gli angoli acuti. La struttura compositiva racchiude già in sé la ragnatela, la trappola mortale. E’ maestosa Minerva dall’elmo piumato; ha un viso calmo e sprezzante.
“Ma, padre, vedete? Non c’è proporzione…il braccio sinistro…”
“Non ti azzardare a parlarmi così! Ma senti! Ha appena imparato a mescolare i colori e dà lezioni a suo padre! A suo padre, maestro Jacopo, famoso in tutta Venezia quando lei non era ancora nata, che non sa come tener dietro alle commissioni! ora ti dico una cosa, e bada di non dimenticarla: a stendere il colore hai imparato bene; ma non capisci e non capirai mai niente di rilievo! Altro che scappare a nasconderti quando messer Lorenzo mi porta un cadavere…in prima fila dovresti metterti, per studiare la muscolatura! Non c’è proporzione! Il disegno, qui, tuo fratello Domenico, lui sì che ha buona mano! Tu, nemmeno tra cent’anni…”

&&&& “Eppure”, disse Marietta asciugandosi le dita nel grembiule di tela grezza, “eppure il matrimonio vien descritto come una cosa bella; se sposi un uomo piacevole naturalmente; avere uno stato…e poi poter avere dei bambini…”
“Per le altre, forse, che non hanno talento; sebbene,oh! ne ho conosciute che si son pentite in capo a una settimana: e dopo non c’è niente da fare, bella mia! Uno stato! passare da un padrone ad un altro. E che te ne fai tu dei bambini? Bambini! Lascialo dire a me che ne ho avuti nove, gioia mia; la gravidanza, il parto; lo vedi come sono ridotta? Ed ero bellina, sai, da giovane, quasi come te. E le preoccupazioni, le fatiche, le malattie…ne ho persi quattro; ah, no, gioia, non puoi immaginare…che vita faresti? Un marito piacevole! Anche se lo fosse, sarebbe ad ogni modo spiacevole. Puoi avere un altro avvenire, tu!”
“Ma non sono più tanto giovane, io, mamma Ghita; e mio padre dice che non troverò più da sposarmi se lascio passare ancora degli anni. E le mie amiche son tutte sposare, hanno dei figli. E dicono…”
“ E dicono che sono contente, come no! Ma l’hai vista la Caterina? E la Simonetta, che pareva una fata appena qualche anno fa, sempre col sorriso sulle labbra? Sono contente, come no! Che vuoi che dicano! Dicono così per farci cascar le altre. Marietta, tu hai un dono nelle mani, un dono speciale! Non sei come le altre, tu! Puoi andare a corte, pittrice di corte, ma lo sai cosa vuol dire? Le tue amiche t’hanno detto che è bello fare l’amore? Allora sarai libera… Potrai fare l’amore anche tu…con chi vuoi tu…”
“Mamma Ghita!”
“Via,via! Non è una stupida, mamma Ghita…E sarai una pittrice; dipingerai da sola i tuoi quadri. Saranno i tuoi quadri, Marietta, capisci?Ah, no, non è proprio giusto gioia mia, che tuo padre firmi come sue certe tele…”
“No, mamma Ghita, non dite così…si lavora insieme, lo sapete; mio padre ha i suoi momenti brutti ma è buono alla fine; è lui che mi ha insegnato tutto; e lui dice che a un certo momento una donna…Sssh, zitta…viene qualcuno…”

&&&& Quella luce strana, misteriosa nel quadro di Santa Maria Egiziaca. Sperduta, la santa, in una notte chiarissima, intima, mistica, lei e la notte si scambiano un segreto tenero e doloroso. Da quattro anni, quella luce la perseguita. E’ perché lei l’ha tradita, quella luce; la luce della chiamata, dell’ispirazione, della veggenza; ha tradito il crepuscolo e il blu, il verde e l’oro.
Il paralitico guarito si getta alle spalle il giaciglio e ignorando il suo salvatore vuole uscire dal quadro; è uno dei più belli di maestro Jacopo; glielo ha mostrato, nella chiesa di san Rocco, per insegnarle che cos’è il dolore; le ha sempre fatto paura.
Il dolore….suo padre non ha niente in comune col dolore, ma sa descriverlo così bene; sa come trovare il segreto delle emozioni, anche senza provarle. Così come può serenamente seguire il gioco dei muscoli nel corpo scorticato di un cadavere, egli può, in divina armonia, osservare il percorso del dolore negli occhi, nel viso, nell’anima degli altri, senza turbarsi accompagnare alla discesa agli Inferi, sì, sì, anche lei; e adesso dovrebbe essere qui, a spiare questo suo dolore del corpo, questo schiantarsi, questo inutile tendersi delle membra, dovrebbe essere qui, ad imparare da lei, maestra di tormenti-ma non servirebbe; lui è della vita, niente può vincerlo, intaccare la sua energia, le sue certezze, e le sue certezze devono essere anche quelle degli altri, lui sa bene come far fare agli altri ciò che vuole, è un esperto nel manovrare manichini, nel muovere le figurine di cera nei suoi teatrini bizzarramente illuminati, figure di cera, anche lei come tutti una piccola figura di cera.
Non è possibile sopportare tanto dolore, non è possibile; se tu facessi un miracolo per me, io non ti volterei le spalle; libera, liberata, il tempo prenderebbe altra cornice, anche i colori varierebbero seguendo la stagione; entrare nel quadro aspettando il miracolo, con tutta la folla dei sofferenti. Ma ci sono altre tele che possono accoglierla; perché scegliere la tela del dolore?L’ha tessuta lei quella tela, Aracne il ragno che le tira le viscere, non nascerà mai il suo bambino, non nascerà mai, per fortuna Marietta è alla corte di Spagna,-e un principe la vide-, alla corte di Spagna, i ritratti degli Infanti, un celeste più lucente per questo corpino, risalteranno di più i pizzi del ventaglio se la luce proviene da destra, Marietta è alla corte di Spagna e non torna, non torna

Marietta Robusti morì di parto nel 1590.







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