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DONNE NEL RISORGIMENTO A CEFALU'
 
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La rivolta del 1820 sorta a Cefalù sull’onda di quella di Palermo, si connotò per il fatto che sui presupposti ideali prevalsero odi e vendette personali contro privati, come gli incendi alle case Di Paola e Culotta, che provocarono delle vittime tra cui anche bambini, e si concluse con la condanna a morte dei promotori. Una donna che aveva appunto appiccato il fuoco alla Casa Di Paola, Maria Ciurello o Ciurillo, fu giustiziata nel Cortile che ospita ora il Palazzo Vescovile.
Negli anni Trenta invece vi sono tracce di movimenti più caratterizzati ideologicamente e che coinvolgono delle donne. Tramite una mia recente ricerca ho verificato che nel 1832, una informativa dell'Archivio di Stato di Palermo dà notizia della messa in libertà provvisoria di due donne cefaludesi, che avevano scontato quasi quattro mesi di carcere: Santa Brocato e Concetta Di Marco. Entrambe erano state imputate di cospirazione e di attività "tendenti a spargere malcontento a Cefalù, incitando alla guerra civile la popolazione".
Non sappiamo altro su queste due donne certamente ardite e decise dato che addirittura non si limitavano a cospirare nascostamente ma svolgevano attività di propaganda alla luce del sole, e i cui cognomi sembrano collegarle a un ceto popolare; ma la loro attività non doveva essere giudicata propriamente di secondo piano se la suddetta nota proviene dalla Commissione Suprema per i reati di Stato.
Le due figure più note del patriottismo femminile cefaludese sono le due sorelle dei patrioti Nicola (Nicolò) e Carlo Botta, Elisabetta e Giuseppina, ricordate anche nel libro di Vincenzo Consolo "Il sorriso dell'ignoto marinaio". Nel 1856 Elisabetta e Giuseppina diedero inizio alla rivolta a Cefalù esponendo sul balcone della loro casa il tricolore da loro stesse cucito insieme alla madre donna Concetta Miceli. Un'azione che può apparire di piccola entità ma che in quel contesto era testimonianza di grande coraggio per i rischi a cui esponeva.
Ecco infatti il racconto dello storico Francesco Guardione ne "Il moto politico di Cefalù del 1856":
"Accresce poi la barbarie dell'agire coll'arresto delle famiglie dei fuggenti; specialmente, e con modi non consentiti dalla civiltà e dall'umanità, della famiglia Botta, arrestando le signorine Elisabetta e Giuseppina e la madre, la signora Concetta; le quali, rinchiuse come criminali in orride carceri, vi rimasero parecchi mesi, trasportate di qui pure nelle prigioni di Palermo."
Alcuni testi riferiscono anche dell'arresto di una sorella di Salvatore Spinuzza, Gaetana, ma le fonti sono molto discordanti in proposito.
Sempre in relazione alla rivolta del 1856 che costò la vita a Salvatore Spinuzza, è giusto ricordare la generosità di una donna, Rosaria Calascibetta, che, con grave rischio personale, aiutò -insieme al sacerdote Zito, di San Mauro- il patriota cefaludese e gli altri fuggiaschi a rifugiarsi in casa di Mauro Giallombardo da dove poi sarebbero passati a Pettineo nel casolare di un parente dei Botta .
Alcune pagine del "Sorriso dell'Ignoto marinaio"di Vincenzo Consolo parlano delle sorelle Botta:
"Fui partecipe nel '56 della sommossa sventata e poi repressa a Cefalù….Ho visto imprigionar costoro, le signorine Botta con la madre veneranda, le cui gentili mani aveano intessuto i fili d'oro della speranza sopra quel drappo insegna della fede..." Il passo di Vincenzo Consolo con la sua poesia accosta alla visione laica della bandiera i concetti delle virtù teologali: la fede e la speranza.
Due elementi che, insieme all’amore, certamente non mancarono in chi, con onestà e purezza di cuore, lottò per i suoi ideali.

Angela Diana Di Francesca

per la pubblicazione sul web e in cartaceo citare la fonte, grazie