Schiaparelli
Giovanni Virginio Schiaparelli fece parte di quello sparuto gruppo di scienziati che tennero alta la tradizione astronomica italiana nel 1800, un'epoca irta di difficoltà per la scienza nella Penisola.
Nel
1857, a ventidue anni, egli fu mandato a Berlino, a spese del governo
piemontese, e poi nel grande Osservatorio di Pulkovo vicino a San Pietroburgo,
l'Osservatorio dello zar. In qusti viaggi conobbe numerosi studiosi come
Wilhelm Struve, e si impratichì dei loro metodi. Tre anni dopo Schiaparelli
tornò con la più aggiornata cultura astronomica che si potesse immaginare e fu
nominato astronomo dell'Osservatorio milanese di Brera, che trovò in uno stato
di quasi completo abbandono.
Malgrado gli strumenti fossero poco potenti, a Milano egli scoprì subito un nuovo asteroide, che chiamò "Hesperia". Ma già nel 1862 il suo interesse cominciò a rivolgersi verso le comete e, mentre le osservava, rifletteva sulla forma assunta dalle loro code.
Perché
questi astri erranti, quando giungono nella parte interna del Sistema Solare,
emettono flussi di materia? Forse il caso della cometa di Biela, spezzatasi nel
1845 in due parti che riapparvero indipendentemente nel 1 852, non era isolato?
E che cosa dire del getto di materia osservato nella grande cometa del 1862,
tanto cospicuo da farle assumere una forma a pera? Schiaparelli maturò pian
piano la convinzione che i corpi cometari non fossero compatti, come quelli dei
pianeti e dei pianetini, ma si potessero sfaldare in mille
Per
verificare la sua ipotesi, egli andò a controllare le direzioni dalle quali, in
certe epoche dell'anno, sembrano provenire con maggiore abbondanza le meteore
che si accendono all'impatto con la nostra atmosfera. Una di queste direzioni
preferenziali (i "radianti"), precisamente quella da cui provengono le
stelle cadenti di San Lorenzo, puntava sulla traiettoria della cometa del 1862,
e il 10 agosto è proprio il momento in cui la Terra ne incontra l'orbita.
Dunque le meteore sono, almeno in parte, polvere di comete. Altre conferme si
aggiunsero presto a questa prima scoperta; per esempio altri astronomi
accertarono che le meteore "Tauridi" vengono probabilmente disseminate
nello spazio dalla cometa di Encke e che le "Leonidi", novembrine, da
quella di Tempel.
L'enorme successo e la grande risonanza internazionale della sua scoperta permisero a Schiaparelli di dotare l'Osservatorio di Brera di uno strumento finalmente all'altezza dei tempi, un telescopio rifrattore di 22 cm di diametro costruito dal tedesco Merz. Le sue prestazioni erano eccezionali e, in particolare, si rivelò adatto all'osservazione delle superfici dei pianeti. Perciò egli cominciò a puntarlo verso Marte, che ogni due-tre anni si avvicina abbastanza alla Terra da permettere un suo esame dettagliato. La prima occasione del genere fu sfruttata nel 1877.
La nomenclatura che Schiaparelli diede alle formazioni distinguibili sulla superficie del pianeta rosso è originale. Egli registrò dei "mari", dei "continenti" che corrispondono a zone di diverso colore e diversa luminosità. Nelle carte che disegnò, sono tracciati però anche dei "canali", nome che diede alle formazioni che apparivano rettilinee. Tuttavia, la leggenda che questi canali potessero essere stati costruiti da una civiltà intelligente, sfatata definitivamente dalle sonde Mariner, non è dovuta a Schiaparelli ma principalmente all'astronomo americano Percival Lowell (1855-1916) che, traducendo gli articoli di Schiaparelli, usò la parola canals (che indica opere artificiali) invece di channels, che sono formazioni geografiche naturali come per esempio il canale della Manica, certo non scavato dall'uomo. Le osservazioni continuarono fino al 1890 e negli ultimi anni egli ebbe a disposizione un rifrattore con una lente da 50 cm, tra i più grandi telescopi esistenti al mondo. Con esso studiò numerose stelle doppie e la superficie degli altri pianeti, cercando di determinarne il periodo di rotazione, cioè la durata del loro giorno. I suoi dati rimasero i migliori fino a poco tempo fa. Le sue ricerche sulla storia dell'astronomia, tra cui è rimasta celebre quella sui precursori di Copernico, impegnarono gli ultimi anni della sua vita, conclusasi a Milano nel 1910.