La fotografia cometaria.
Calcolo degli spostamenti, come fotografare, pellicole e filtri, la posa, l'ipersensibilizzazione, sviluppo e caratteristiche.
Per la maggior parte di questo secolo la fotografia ha rappresentato il principale mezzo di indagine per lo studio delle comete, coprendo praticamente quasi tutti i campi di ricerca: dall'osservazione della struttura e dell'evoluzione di chioma e coda alle ricerche di tipo spettroscopico e fotometrico. Oggi la fotografia è stata in gran parte sostituita dalle camere CCD, che presentano il notevole pregio di una migliore efficienza quantica e di linearità nella risposta. Inoltre, si ha l'ulteriore vantaggio di poter disporre di un'immagine già in forma digitalizzata che può essere quindi immediatamente elaborata e analizzata.
La fotografia è però ancora competitiva rispetto al CCD nelle riprese a largo campo della coda, soprattutto se si utilizzano pellicole ad alta definizione come la Kodak Technical Phn (indicata con 2415 - 4415 - 6415 a seconda dei formati). Con questa pellicola, uno strumento fotografico di buona qualità, ad esempio una camera Schmidt, fornisce immagini stellari piccolissime (10-20
m m) ed è pertanto in grado di riprendere un campo di alcuni gradi con un'altissima definizione.I campi di ricerca coperti da CCD e pellicola fotografica sono comunque complementari: il primo consente di effettuare misure di tipo quantitativo con relativa semplicità, la seconda e in grado di fornire una migliore risoluzione su un campo molto più vasto. La fotografia a largo campo si dimostra superiore quando ciò che interessa e la struttura morfologica e la posizione dell'asse della coda. Ad esempio, la coda di plasma, continuamente modellata dall'interazione con il vento solare, muta di aspetto e direzione anche su scale temporali piuttosto brevi (10-20m); un monitoraggio di tipo fotografico si rivela utilissimo in questi casi.
Anche la magnitudine limite fotografica delle ottiche di buona qualità è molto spinta e, sia pure con un tempo di posa molto più lungo, si avvicina a quella raggiungibile con un CCD a parità di strumento. Il negativo fotografico, inoltre, se ben trattato e conservato, è in grado di mantenere inalterate le informazioni raccolte per un periodo di tempo estremamente lungo (verosimilmente qualche secolo). Molto interessante è la possibilità di digitalizzare le immagini e di elaborarle con gli stessi procedimenti utilizzati comunemente per le riprese CCD; per il formato 35 mm attualmente il costo è molto contenuto, mentre per i formati maggiori (ad esempio, 6x6 cm) è ancora elevato. E' possibile comunque che in un prossimo futuro il prezzo divenga più accessibile anche per questi formati.
I procedimenti commerciali consentono al momento di digitalizzare le immagini con una dinamica ancora limitata, non in grado in molti casi di registrare tutti i livelli di grigio presenti sul negativo; si possono comunque ottenere risultati già interessanti risparmiando molto lavoro di camera oscura.
Per ottenere una buona immagine fotografica è indispensabile pero procedere con la massima cura in ogni fase: la preparazione dello strumento (collimazione delle ottiche e messa a fuoco), la scelta della pellicola e l'eventuale trattamento di ipersensibilizzazione, il tempo di esposizione e la guida, lo sviluppo, il fissaggio, il lavaggio finale e l'asciugatura. Un errore in una di queste fasi può compromettere seriamente la qualità del risultato finale.
Le variabili in gioco sono molte ed e indispensabile acquisire una certa esperienza per riuscire a sfruttare al meglio le caratteristiche delle diverse emulsioni fotografiche scegliendo accuratamente gli eventuali filtri, il tipo di trattamento, ecc. Purtroppo oggi il numero di emulsioni fotografiche bianco e nero reperibili sul mercato e utili per un uso astronomico è sempre più limitato; in pratica, la Kodak Technical Pan rappresenta nella maggior parte dei casi quasi una scelta obbligata, per lo meno se si desidera sfruttare al massimo le possibilità di questa tecnica.
Altre emulsioni, con resa leggermente inferiore, ma ugualmente adatte allo scopo, sono ad esempio le pellicole della serie T-Max, in particolare la 400 e la 3200 ISO; il contrasto e la definizione sono molto inferiori, ma la sensibilità è maggiore, per lo meno su tempi di posa contenuti (entro i 15m).
Le emulsioni a colori non forniscono dati utili da un punto di vista scientifico, ma in compenso permettono di ottenere splendide immagini soprattutto relative alle comete più luminose e spettacolari. Le diverse componenti della chioma e della coda vengono infatti evidenziate grazie alle diverse colorazioni e tonalità. In commercio esiste una vasta gamma di pellicole sia invertibili che negative che danno eccellenti prestazioni in campo astronomico e le case produttrici immettono sul mercato sempre nuovi prodotti con nuove caratteristiche.
Per avere una panoramica aggiornata si consiglia quindi di consultare frequentemente le riviste italiane ed estere che pubblicano, oltre a immagini ottenute con diverse emulsioni, anche interessanti test relativi ai nuovi prodotti.
La qualità del cielo e una condizione fondamentale per ottenere immagini sia spettacolari che di elevato interesse scientifico; oltre alla trasparenza, è importante che vi sia assenza, o almeno un livello molto basso, di inquinamento luminoso, il quale crea sul fondo cielo delle fotografie a colori fastidiose dominanti che difficilmente possono essere corrette completamente in fase di stampa.
L'uso di un filtro del tipo deep sky non è particolarmente indicato per fotografare comete, e anzi in molti casi risulta controproducente, attenuando parte delle emissioni del CO+ presenti nella coda di ioni. Il suo utilizzo e interessante solo da un punto di vista estetico per avere una resa più naturale del fondo cielo, e in riprese panoramiche per evidenziare eventuali nebulose a emissione poste nelle vicinanze della cometa.
LA FOTOGRAFIA A GRANDE CAMPO
Nella fotografia delle code cometarie la parte del leone è sempre stata svolta dai telescopi tipicamente fotografici (Schmidt, Flat Field Camera, Baker-Schmidt, Wright-Schmidt, ecc.) e dagli astrografi e obiettivi fotografici di buona qualità. Tuttavia, su comete non troppo estese, si ottengono buoni risultati anche con i telescopi newtoniani, meglio se muniti di correttore di coma, e con gli Schmidt-Cassegrain aperti a f/6,3 o dotati di riduttore di focale.
Per le comete più estese e luminose si possono utilizzare obiettivi fotografici a corta focale (50-135 mm) di buona qualità, eventualmente diaframmando leggermente l'obiettivo per eliminare la vignettatura (se presente), e per portare l'ottica nelle condizioni in cui fornisce la resa ottimale.
La scelta del diaframma va fatta empiricamente effettuando più riprese su di uno stesso campo stellare e cambiando di volta in volta il valore del diaframma. Dall'analisi dei fotogrammi sarà facile dedurre poi qual è il valore migliore. Generalmente è necessario chiudere il diaframma di uno o due valori, ma non mancano i casi di obiettivi con un'ottima resa anche a tutta apertura.
La maggior parte delle comete pero non raggiunge una grande estensione ed è quindi necessario utilizzare in genere un teleobiettivo di almeno 200- 300 mm di focale per ottenere immagini interessanti. Con ottiche di questo tipo è sempre utile effettuare una verifica sulla migliore posizione di messa a fuoco, registrando a macchina fissa le tracce stellari.
PELLICOLE E FILTRI PER LA FOTOGRAFIA DELIA CODA
Come si è detto, la coda di una cometa appare spesso suddivisa in due componenti: una di gas ionizzati e l'altra di polveri. Scegliendo opportunamente la combinazione filtro-pellicola, è possibile evidenziare una delle due componenti o addirittura isolare una specifica emissione con filtri a stretta banda passante.
Nella coda di tipo I le principali emissioni sono dovute a CO+, N2+ ne con filtri a stretta banda passante.
Nella coda di tipo I le principali emissioni sono dovute a CO+, N2+ e H20+ mentre la coda di tipo II, composta da polveri, ha un'emissione diffusa su tutto lo spettro.
Fino a pochi anni fa era ancora possibile reperire emulsioni fotografiche sensibili al blu (103 a-o), ottime per riprendere le emissioni di CO+ e N2+, ma attualmente questo materiale è fuori produzione. In parte può essere sostituito da materiale per uso industriale o radiografico (ad esempio, la pellicola 3M CRT7) ma la granulosità dell'emulsione è molto più alta rispetto ad altre pellicole pancromatiche più facilmente reperibili in commercio. L'uso di filtri può ovviare a questo inconveniente.
In commercio ve ne sono alcuni di basso costo e ottime prestazioni che soddisfano pienamente le esigenze della fotografia cometaria.
Nella tabella qui sotto vengono suggerite due combinazioni di filtri e pellicole particolarmente interessanti.
PELLICOLA TECHNICAL PAN 24I5 |
||
Filtro |
Trasmissione |
Emissioni |
Edmund Blue n. 52.530 |
90% tra 420 e 470 nm |
CO+, N2+ |
Wratten 23A, 25, 29 |
>80% oltre 600-630 nm |
Polveri e H20+ |
PELLICOLA T-MAX 100 - 400 - 3200 |
||
Filtro |
Trasmissione |
Emissioni |
Edmund Blue Corr. n 43.456 |
90% tra 400 e 480 nm |
CO+, N2+ |
L'uso di filtri aumenta considerevolmente il valore scientifico delle immagini: in generale un filtro blu permette di evidenziare la componente della coda di plasma dovuta al CO+ mentre un filtro rosso, pur con una certa contaminazione dovuta alle emissioni dell'H20+, sempre presente, porrà in maggior evidenza la coda di tipo II.
In realtà, la componente di polveri ha una colorazione quasi neutra ed è presente quindi anche nel blu, oltre che nel rosso; il vantaggio è in questi casi quello di selezionare regioni più o meno ricche di emissioni a seconda del tipo di coda che ci interessa far risaltare. Quanto detto fino ad ora va considerato come puramente indicarivo, dato che l'uso dei filtri blu e rosso non sempre produce gli stessi effetti; le cose cambiano infatti da cometa a cometa (ad esempio l'emissione del CO+ a volte è piuttosto debole). Nelle immagini a colori la coda di tipo II può apparire di tonalità tendente al giallo-arancio; si tratta però il più delle volte di un "arrossamento" dovuto prevalentemente all'assorbimento dell'atmosfera e diviene infatti parricolarmente evidente su comete osservate a una scarsa elevazione sull'orizzonte.
LA GUIDA
La guida rappresenta un fattore cruciale nelle riprese perché normalmente le comete sono dotate di un elevato moto proprio ed è indispensabile seguirle nel loro movimento per potere registrare i sottili dettagli della coda e della chioma che altrimenti risulterebbero completamente "mossi".
E' diffusa la pratica di prendere foto cometarie guidando sulle stelle perché esteticamente più belle; se, entro certi limiti, ciò è accettabile, è assolutamente da evitare per un utilizzo scientifico delle immagini, a meno che il moto proprio della cometa non sia cosi basso da essere di fatto trascurabile. Per la guida si possono adottare diversi metodi:
IL CALCOLO DELLO SPOSTAMENTO DI UNA COMETA
In alcuni casi la direzzione del moto proprio e il relativo spostamento diurno di una cometa vengono forniti direttamente dalle effemeridi: la direzione dello spostamento viene indicata con l'angolo di posizione (A.P.), misurato a partire da nord in senso antiorario, mentre il moto proprio è dato generalmente in primi d'arco al giorno.
Nota la focale dello strumento, e quindi la sua risoluzione in secondi d'arco sulla pellicola, si calcola la frequenza delle correzioni da effettuare rispetto al moto siderale e la loro entità. Ad esempio, uno strumento con una lunghezza focale di 1 m è in grado di fornire immagini stellari mediamente di 0,03 mm, pari a circa 6" (la scala immagine sul piano focale - secondi/mm - si calcola semplicemente dividendo 206.265 per la focale dell'obiettivo in mm).
Le correzioni, pertanto, per essere compatibili con le prestazioni del nostro strumento, non dovranno essere superiori a tale valore. In questo caso, la soluzione ottimale si aggira intorno ai 3". Supponiamo che la cometa che vogliamo riprendere abbia un moto proprio di 50' al giorno (pari a 3000"); allora dovremo effettuare gli spostamenti ogni:
t=1440Xrs/mp
dove t è l'intervallo tra due correzioni espresso in minuti, mp è il moto proprio giornaliero e rs l'entità dello spostamento; in questo caso sarà rs=3", mp=3000" e di conseguenza t=1,44m; la costante 1440 rappresenta il numero dei minuti presenti in un giorno.
Nel caso in cui le effemeridi non ci forniscano la direzione e l'entità del moto proprio della cometa, è possibile calcolarle partendo dalle posizioni (ascensione retta e declinazione) relative a due date che devono essere preferibilmente simmetriche ed equidistanti da una data intermedia corrispondente a quella nella quale si effettuerà l'osservazione. Tuttavia, dato che l'entità del moto proprio e il relativo angolo di posizione hanno in genere una variazione lenta nel tempo, è spesso accettabile un certo grado di approssimazione.
Prendiamo ad esempio il calcolo per la cometa P/Hartley-Iras 1983v, tratto dall'articolo "The Photography of Comets" (J. Brit. Astron. Ass. 1984, 91, 1), relativo al 15,0 aprile 1984 (data prevista per l'osservazione). Le posizioni di partenza sono le seguenti :
14,0 aprile 1984: A.R.=19h 02,70m dec.=74°07',5
16,0 aprile 1984: A.R.=18h 41,19m dec.=75°30',5
Si calcola prima di tutto il moto proprio in ascensione retta, esprimendolo in secondi d'arco/ora con la formula:
mpar= dar X15 X 60 X cos(dec) /dh
dove dar indica la differenza di ascensione retta espressa in minuti, dec la declinazione media tra le due date e dh l'intervallo in ore tra le due posizioni. Nel nostro esempio mpar=105",6/h. Si calcola poi il moto proprio in declinazione (mpdec) sempre espresso in secondi d'arco/ora, con la formula:
mpdec = ddec X 60/dh
dove ddec e la differenza in primi d'arco e dh, come sopra, l'intervallo in ore tra le due date. Nel nostro caso mpdec=103",8/h. Ora si stabilisce l'inclinazine (A) sull'equatore celeste del moto proprio della cometa, dalla relazione:
tan(A) =mpdec/mpar
e quindi, nel nostro esempio, A = 44°,5. Determinando graficamente il quadrante di appartenenza dell'angolo A, si ottiene che il valore dell'angolo di posizione A.P. del moto proprio è in questo caso A.P.=270°+44°,5=314°,5.
I 270° derivano dal fatto che la cometa si muove nella direzione delle ascensioni rette decrescenti, cioè da ovest a est. Infine, il moto proprio (mp), espresso in secondi d'arco/ora, é dato da:
mp=mpdec / sian(A)
Pertanto, con i dati dell'esempio riportato, otteniamo mp = 148",1/h.
Supponendo di aver programmato di osservare con uno strumento di 1 m di focale, dovremo effettuare ogni ora 42 spostamenti di 3" ciascuno per seguire il moto della cometa. Dovremo quindi effettuare uno spostamento ogni 86s. Se il tempo di posa è lungo, può essere comodo utilizzare un timer che ci avverte con un segnale sonoro quando è ora di effettuare ogni spostamento. L'inseguimento diventa particolarmente difficile e impegnativo quando la cometa è molto veloce, perché la frequenza degli spostamenti diventa piuttosto elevata.
CARATTERISTICHE DELLE EMULSIONI FOTOGRAFICHE
Sensibilità alla luce, contrasto, definizione, capacita di riprodurre una gamma più o meno ampia di toni di grigio sono i fattori che devono guidare la scelta dell'emulsione ideale per la fotografia cometaria e che concorrono a rendere una pellicola più o meno idonea per i nostri scopi.
Sfortunatamente, la maggior parte delle emulsioni fotografiche reperibili in commercio sono state progettate per operare in condizioni di luce notevolmente diverse da quelle che incontriamo in campo astronomico e di conseguenza anche i relativi dati tecnici forniti dalle case costruttrici si riferiscono per lo più a condizioni di impiego a elevati livelli di luce e con tempi di esposizione brevi.
Ma il comportamento di una pellicola puà cambiare drasticamente passando a bassi livelli di luce e a lunghe esposizioni. Non di rado, ad esempio, film a sensibilità molto alta si rivelano in realtà disastrosi se utilizzati per fotografie astronomiche a lunga posa.
Anche la resa delle pellicole a colori cambia, ed è per questo che solo ricorrendo alla tricromia (composizione di un'immagine a colori partendo da tre riprese in bianco e nero ottenute con filtri generalmente blu, verde e rosso) è possibile ricostruire un'immagine con una resa realmente fedele dei colori. Vi sono comunque alcune pellicole (come quelle della serie Ektar prodotte dalla Kodak) che hanno un eccellente bilanciamento dei colori e permettono di raggiungere risultati di notevole livello.
LA POSA ASTROFOTOGRAFICA
Nelle fotografie degli oggetti celesti, l'esposizione delle varie emulsioni fotografiche deve tenere conto di alcuni fattori correlati sia alle caratteristiche delle pellicole, sia allo strumento.
In linea generale, è necessario effettuare una distinzione tra emulsioni rapide a bassa definizione (ad esempio, la T Max 400) ed emulsioni ad alta definizione (come la TP2415).
Le emulsioni rapide vanno usate di preferenza con strumenti poco luminosi (o con filtri) in modo da mantenere basso il velo di fondo. Per avere un buon dettaglio con queste pellicole e infatti indispensabile che il cielo impressioni appena la pellicola senza velarla eccessivamente. Una forte velatura generalmente impasta i dettagli peggiorando la qualità dell'immagine e annegando nel rumore di fondo le immagini più deboli.
Utilizzando la Technical Pan, caratterizzata da una granulazione molto fine, si possono seguire due strade: la prima consiste nel fermare l'esposizione in modo che la velatura del fondo cielo sia minima. La seconda è quella di impressionare l'emulsione fino a che il fondo cielo raggiunge una densità piuttosto elevata.
Si ottiene cosi un negativo molto denso, a volte difficile da stampare, ma che sfrutta al meglio il tratto rettilineo della curva caratteristica. In generale, se si vogliono effettuare misure di tipo fotometrico o se si vogliono registrare oggetti molto deboli, questa soluzione è la più corretta.
Purtroppo pero le comete sono oggetti in movimento e questa soluzione (che costringe almeno a triplicare il tempo di posa) risulta poco conveniente.
In campo cometario una soluzione interessante è quella di effettuare due o tre pose brevi, calcolate per registrare in modo appena percettibile il fondo cielo e di sovrapporre i negativi in fase di stampa avendo cura di non strisciarli tra loro e di metterli perfettamente a registro (un microscopio e in generale indispensabile per effettuare un preciso allineamento).
L'intero procedimento è reso oggi più agevole dalla possibilità di elaborare al computer i negativi digitalizzati senza dover ricorrere alle classiche tecniche di camera oscura. Il metodo è particolarmente efficace per la fotografia di code molto deboli.
Il PROCESSO Dl IPERSENSIBILIZZAZIONE
La riscoperta che la sensibilità delle emulsioni fotografiche poteva essere elevata sottoponendole prima dell'esposizione a un trattamento in atmosfera di idrogeno, ha portato negli anni'80 a una vera e propria rivoluzione nel concetto di fotografia astronomica.
La rivoluzione è stata poi più marcata con la scoperta che la pellicola Technical Pan, prodotta dalla Kodak, rispondeva particolarmente bene al trattamento, con il vantaggio di poter disporre di un'emulsione ad alto contrasto e grana eccezionalmente fine.
I risultati sono da anni sotto gli occhi di tutti, con le migliaia di immagini di oggetti di profondo cielo e di comete pubblicate sulle riviste astronomiche di tutto il mondo. I vantaggi di una pellicola ad alta definizione, tra l'altro, non sono solo quelli di fornire un'immagine più dettagliata, ma anche di elevare notevolmente il valore della magnitudine limite per un dato strumento.
In passato un telescopio di 40-50 cm di apertura era in grado di raggiungere una magnitudine limite stellare intorno alla 17-18 mentre oggi con la Technical Pan ipersensibilizzata puo raggiungere anche la 20-21!
I risultati sono confrontabili con quelli ottenuti nel passato con l'emulsione 103 a-o e con strumenti di apertura quattro volte maggiore. Il segreto e racchiuso nel microcontrasto e nella diffusione della luce tra i grani sensibili dell'emulsione.
Nelle pellicole a elevata sensibilità, quando il fondo cielo inizia a impressionare la pellicola, in pratica distrugge tutti i segnali luminosi deboli, che diventano indistinguibili dal rumore di fondo.
Se poi l'ottica dello strumento usato e di buona qualità e la focale e corta, le dimensioni dei singoli grani possono essere notevolmente maggiori rispetto a quelle delle stelle. Di conseguenza, il fatto di riuscire o meno a registrare una stella debole è casuale e dipende in gran parte dalla sua posizione rispetto ai grani dell'emulsione.
Nelle emulsioni a grana fine questo non avviene: la diffusione della luce nell'emulsione e molto più ridotta e le dimensioni dei grani sensibili sono nettamente inferiori rispetto a quelle delle stelle, con il vantaggio di avere una definizione e un microcontrasto molto più elevati.
Il guadagno in valore limite è enorme, con un salto di oltre due magnitudini. Le prestazioni migliorano di molto anche quando ci si trova in condizioni di cielo tutt'altro che ottimali, come avviene spesso per le comete visibili al crepuscolo e basse sull'orizzonte. Una pellicola come la Technical Pan non sensibilizzata e quasi inutilizzabile nella ripresa di oggetti deboli a causa della sua bassa rapidità, tranne che usando obiettivi molto luminosi e adottando un tempo di posa piuttosto lungo (inizialmente questa emulsione poco sensibile era stata concepita per la fotografia solare).
Con la ipersensibilizzazione la rapidità aumenta di alcune volte e, cosa molto importante, migliora anche la proporzionalità fra annerimento sull'emulsione e tempo di esposizione (il cosiddetto difetto di reciprocità che affligge tutte le emulsioni fotografiche).
Spesso si e tentati di esprimere la sensibilità delle pellicole astronomiche in ISO, il che porta a risultati piuttosto grossolani se non del tutto errati. Di fatto è difficile poter confrontare pellicole ad alta sensibilità (ad esempio la T-Max 3200) con emulsioni ad alta definizione come la Technical Pan, in quanto il loro comportamento e il loro utilizzo al telescopio sono completamente diversi da caso a caso.
Ad esempio, nelle riprese planetarie ad alta risoluzione (ma anche in microscopia) la TP 2415 ipersensibilizzata può essere esposta anche a 1000 ISO, mentre nelle foto di profondo cielo richiede un tempo di posa notevolmente superiore rispetto alle emulsioni da 1000 ISO. D'altra parte, pellicole di dichiarata alta sensibilità hanno spesso una resa del tutto deludente nelle lunghe pose a causa del difetto di reciprocità.
Il principio di base dell'ipersensibilizzazione e quello di tenere l'emulsione in un'atmosfera di idrogeno (o una miscela di idrogeno e azoto) per un certo tempo e a una data temperatura prima dell'uso. Generalmente è conveniente costruire un impianto dotato di una pompa a vuoto che permette di utilizzare una minore quantità di gas per i trattamenti e di estrarre dall'emulsione tutta l'umidità residua che potrebbe compromettere la resa finale.
Il contenitore in questo caso deve essere a tenuta stagna e sufficientemente grande per ospitare una o più spirali (quelle delle tank di sviluppo) sulle quali vanno avvolte le pellicole da trattare, o delle rastrelliere per le pellicole in formato piano.
Infine, un bagno termostatico, nel quale va immerso il contenitore a tenuta stagna, consentirà di mantenere il tutto alla temperatura voluta. La realizzazione di un'apparecchiatura di questo tipo presenta un certo grado di complessità, ma in generale è alla portata di gruppi o anche di singoli astrofili.
La pompa a vuoto, ad esempio, può essere sostituita da un compressore da frigorifero. La parte più critica è probabilmente il bagno termostatico che deve garantire una stabilita e una uniformità di temperatura piuttosto elevate per evitare disomogeneità nella sensibilizzazione (entro 1-2 °C).
Il trattamento è infatti molto sensibile alla temperatura, e per avere risultati fedelmente riproducibili e necessaria una regolazione molto accurata. I migliori risultati si ottengono effettuando i trattamenti con idrogeno puro, che deve pero essere maneggiato con molta cautela.
Il gas e del tutto inodore e incolore e diviene fortemente infiammabile ed esplosivo in presenza di ossigeno. Miscelato con l'aria e quindi potenzialmente molto pericoloso. Un'alternativa e data dal forming gas, una miscela di azoto (92%) e idrogeno (8%). Il basso contenuto di idrogeno permette di usare la miscela con molta più tranquillità, anche se in questo modo i tempi di trattamento sono molto più lunghi e ciò fa aumentare il velo chimico dell'emulsione fotografica.
Il forming gas è venduto in piccole bombole, sufficienti per un buon numero di trattamenti. Alternativamente, il forming gas può essere commissionato a una delle ditte che forniscono il gas a livello industriale. Il costo maggiore in questo caso è dato dalla bombola e dal relativo riduttore di pressione, e ciò rende questa soluzione più adatta ai gruppi che non ai singoli.
Le bombole sono di norma caricate ad alta pressione (150-200 atmosfere) e vanno quindi maneggiate con le dovute cautele durante il trasporto e l'installazione (in queste fasi e consigliabile poter avere l'assistenza di persone esperte per evitare pericolosi errori). Una bombola di questo tipo (ad esempio da 5 l) consente di effettuare alcune centinaia di trattamenti. Il tempo e la temperatura di trattamento devono essere tarati in base al tipo di sviluppo adottato. Indicativamente, i tempi sono di 60h alla temperatura di 45°C, di 32h a 50°C, di 20h a 55°C, di 6,5h a 63°C.
METODI ALTERNATIVI Dl IPERSENSIBILIZZAZIONE
Il metodo di ipersensibilizzazione mediante idrogeno e certamente molto efficace, ma l'attrezzatura necessaria per effettuarlo può scoraggiare molti appassionati di astrofotografia.
Gioverà certamente sapere che esistono alternative che consentono di ottenere discreti risultati con metodi più semplici ed economici. Tra i vari metodi citiamo il pre-flash e i vapori di ammoniaca.
Il primo metodo, semplicissimo, consiste nell'esporre la pellicola prima dell'uso mediante una o più preesposizioni con un debole e brevissimo lampo di luce. Buoni risultati possono essere ottenuti con un normale lampeggiatore elettronico per fotografia opportunamente schermato.
Il trattamento con i vapori di ammoniaca (è preferibile usare ammoniaca al 30%) è simile a quello dell'idrogeno, con la differenza che può essere effettuato a temperatura ambiente e che richiede poche ore (ad esempio, si sono ottenuti discreti risultati con la pellicola Agfaortho 25 e un trattamento a temperatura ambiente, 20°C circa, di sole 2-3h). Il costo e minimo e l'attrezzatura molto più semplice; purtroppo, poche pellicole mostrano di avere un guadagno soddisfacente (e sfortunatamente l'Agfaortho 25 non e più in produzione). Inoltre l'ammoniaca e fortemente irritante per gli occhi e le vie respiratorie; va quindi usata con le dovute precauzioni e possibilmente sotto una cappa aspirante.
SVILUPPI E LORO CARATTERISTICHE
Lo sviluppo di un negativo è una fase molto delicata: è infatti il momento in cui si trasforma l'immagine latente della pellicola in un'immagine reale. Il tipo di sviluppo, come pure la sua durata e la temperatura, conducono a risultati diversi e devono essere scelti quindi con la massima cura.
Normalmente la pellicola Technical Pan 2415 viene sviluppata con il D19, uno sviluppo della Kodak che ha la caratteristica di dare un contrasto altissimo e di sfruttare al massimo la sensibilità della pellicola. Sfortunatamente, da anche una pessima definizione dell'immagine e, a causa dell'altissimo contrasto, permette di riprodurre una gamma di toni molto limitata.
E' quindi uno sviluppo adatto solo a meta per l'astronomia: soddisfa le esigenze di rapidità e contrasto, ma non quelle di definizione e di livelli di grigio. Decisamente migliore e l'HC110 (ad esempio, con la diluizione 1 parte di sviluppo + 31 di acqua). Un tempo di sviluppo di 10m a 20°C permette di avere un ragionevole compromesso tra sensibilità e definizione.
Il tratto rettilineo della curva caratteristica è sensibilmente più esteso, con il vantaggio di registrare una gamma di toni molto più ampia. Lo sfruttamento della sensibilità e solo di poco inferiore rispetto al D19. Come regola generale, nello sviluppo si consiglia di agitare in modo continuo per il primo minuto e per 10-15s a ogni minuto successivo. Questa operazione influisce sul contrasto e sulla definizione: quanto più si agita, tanto più lo sviluppo è uniforme ed energico, e aumentano il contrasto e la sensibilità; per contro, un'agitazione dolce migliora la definizione.
CONSERVAZIONE DEI NEGATIVI
Dopo il fissaggio è indispensabile un buon lavaggio in acqua corrente per almeno 20-30m. Prima di porre ad asciugare il negativo è consigliabile aggiungere due o tre gocce di uno dei prodotti emollienti appositi reperibili in commercio per prevenire la formazione di macchie di calcare sulla pellicola.
Oppure si può ricorrere a un risciacquo finale con acqua distillata. Infine, il negativo va posto ad asciugare in un luogo aerato ma riparato dalla polvere, come un armadietto con aperture per la circolazione dell'aria. Per l'archiviazione è bene inserire i negativi in buste che li mantengano riparati; per maneggiarli agevolmente senza danneggiarli possono essere montati su telaietti da diapositive. E' di importanza fondamentale annotare il tempo di inizio posa in Tempo Universale (ora di Greenwich), con la precisione almeno del minuto, e la durata dell'esposizione, oltre ai dati tecnici sullo strumento e i filtri usati.
Scritto da Giannantonio Milani
Sezione Comete UAI