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L'evoluzione del MOTORE DIESEL Il
motore diesel si è notevolmente evoluto in questi ultimi anni raggiungendo un
livello di sofisticazione prima impensabile. Sono sempre di più gli
automobilisti che lo scelgono, attratti dai ridottissimi consumi e dalle
prestazioni ormai non più argomento di divertenti battute. Vediamo assieme come è nato e come si è evoluto, da un fumoso passato a un futuro verso le potenze specifiche più elevate.
L’idea di Rudolf Diesel
L’idea che alimentò le ricerche di Rudolf Diesel era la realizzazione di un
motore economico da utilizzare nelle piccole industrie e in grado di tener testa
al motore a vapore, un motore in grado di aiutare gli operai a svolgere le
operazioni più gravose. Il
primo progetto prevedeva l’impiego di ammoniaca come fluido per un motore a
ciclo chiuso. Per elevare il rendimento rispetto a quello modesto delle macchine
a vapore (circa 10%), Diesel si convinse che fosse necessario aumentare in
maniera sensibile la temperatura durante la fase di espansione del ciclo, con lo
scopo di ottenere l’accensione spontanea del combustibile. A questo primo,
fallimentare, tentativo ne seguirono altri che però incontrarono non pochi
problemi, primo tra tutti il trovare il modo di far costruire il motore. In
seguito tuttavia, grazie a un accordo tra la M.A.N. e la Krupp, si assemblò il
primo esemplare (alto 3 metri e pesante oltre 2 tonnellate) che fu tuttavia un
altro fallimento. Le pressioni volute non furono raggiunte e inoltre, per poter
funzionare, il motore aveva bisogno di una cinghia che aiutasse il volano a
ruotare.
Diesel non si diede per vinto e continuò con i test assistito anche dal
direttore e da un tecnico della M.A.N. . Finalmente arrivarono i primi
risultati, il motore girò (a 88 giri) per un minuto intero ricavando una
potenza di 13,2 cv, era il 17 febbraio 1894. Quasi due anni dopo, nel gennaio
1896, venne avviato lo studio su un nuovo motore avente un alesaggio di 250 mm e
una corsa di 400 mm. L’anno successivo, in febbraio, si raggiunsero risultati
ancora migliori (17,8 cv a 154 giri, rendimento termico 26,2 %) e tali da
convincere Diesel a fare una prova dimostrativa davanti a un prof. dell’Università
di Monaco. Nell’ottobre dello stesso anno si raggiunse il rendimento termico
del 30,2 % confermando che il motore inventato da Diesel era il motore termico
più efficiente.
L’avvento del motore Diesel Agli inizi della produzione, fino al 1908, il motore diesel rimase vincolato all’utilizzo negli impianti fissi a causa del peso rilevante e a un sistema di iniezione poco evoluto che consentiva unicamente la portata costante di combustibile. Viste le caratteristiche si constatò però che era ideale per l’impiego sulle navi dato che, oltre a sottrarre meno spazio rispetto al motore a vapore, non richiedeva una caldaia e, cosa molto importante, lo spazio necessario per lo stivaggio del carbone. Compresi tali vantaggi, la Fiat iniziò, nel 1908, la produzione di un Diesel da impiegare proprio sulle navi e, in particolare, su quelle da guerra. Fra i primi a comprendere i vantaggi che questo tipo di propulsione offriva fu Winston Churchill che sostenne l’importanza del poter rifornire le navi tramite navi cisterna eliminando così la necessità di mandare una parte della flotta nei porti per rifornirli del carbone necessario. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, la richiesta di motori diesel da destinare alle navi diede un grande impulso alla ricerca e allo sviluppo degli stessi motori. Il motore Fiat 2C.176 Risale al 1923 il primo motore diesel destinato ai mezzi terrestri, precisamente venne installato su una locomotrice diesel elettrica italiana in servizio in Lucania e Calabria. Si trattava di un 2 tempi che sviluppava 440 cv a un regime di 500 giri. La cilindrata del propulsore era di 88.312 cc. Molto importante anche la realizzazione dei primi motori a testa calda, il primo risale al 1928. Già dai primi anni del ‘900 il motore diesel iniziò ad equipaggiare pure gli autoveicoli, in particolare gli autocarri leggeri e, poco dopo, quelli pesanti. Per quanto riguarda l’impiego a bordo delle automobili invece si tratta di storia recente, è infatti solo dall’inizio degli anni ’80 che ha iniziato a diffondersi in maniera sensibile su questo genere di veicoli. Inizialmente si trattava di motori progettati essenzialmente per garantire affidabilità ed economia di esercizio, tralasciando le prestazioni, veramente modeste. Successivamente, negli anni ’90, l’esenzione dal pagamento del superbollo per le auto eco-diesel (tutte le vetture prodotte dal 1991) convinse le case a investire nella progettazione di nuovi, più performanti, motori, concentrando i propri sforzi sopratutto nel campo dell’iniezione e della sovralimentazione. Il primo risultato di tante ricerche fu l’impianto di iniezione common-rail, progettato (nel ’88) da Fiat e Magneti Marelli e industrializzato, a partire dal ’94, dalla Bosch. Caratteristica di tale impianto è la capacità di mantenere costante la pressione del gasolio (1350 bar) lungo l’intero range di giri del motore. La prima vettura a essere dotata di tale impianto è stata la Alfa Romeo 156 che, al suo debutto nel ’97, presentò due innovativi turbodiesel di 1,9 e 2,4 litri, caratterizzati da ottime prestazioni e bassi consumi, con emissioni inquinanti particolarmente ridotte (circa –30% NOx e –40% particolati). In seguito al debutto del common-rail, la Volkswagen ha presentato un sistema di iniezione ripreso (e ovviamente rivisto) dai veicoli commerciali, l’iniettore pompa (PDE – Pumpe Duese Einspritz). Impiegato finora esclusivamente su motori di 1,9 litri, ha il grande vantaggio di generare pressioni di iniezione fino a 2050 bar contro i 1350 del common-rail di prima generazione e i circa 1900 della pompa rotativa. Questo tipo di iniezione, grazie alla notevole pressione del combustibile, consente di rendere la combustione più completa, a vantaggio delle prestazioni, dei consumi e, di conseguenza, delle emissioni inquinanti. Al contrario del common-rail, questo tipo di impianto non consente di mantenere costante la pressione lungo l’intero arco di utilizzo del motore ma, dato il particolare funzionamento, fa variare il valore al crescere (o diminuire) del regime. Un palese esempio dell’efficacia di questo sistema è rappresentato dall’ultima versione del 1,9 TDI, forte di ben 110 Kw (150 Cv). Tuttavia lo sviluppo, come anticipato prima, non ha riguardato solo gli impianti di iniezione ma anche la sovralimentazione, che ora può contare su turbocompressori a geometria variabile. Grazie a un particolare sistema elettromeccanico consentono di sviluppare una pressione di sovralimentazione maggiore ai bassi regimi rendendo l’erogazione del motore più fluida e pronta. Ora resta solo da
chiarire quale sarà il futuro del motore diesel, passato da icona dell’affidabilità
e del risparmio a una continua corsa verso le potenze specifiche più elevate.
Con un punto interrogativo sulla robustezza. |