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Diesel, ieri oggi e domani (forse) Con l'avvento della versione da 150 (centocinquanta!) cavalli vapore (o forse dovremmo dire cavalli silicio, visto che oggi l'elettronica cava il sangue da una rapa) del famoso TDI Volkswagen, è liberamente in vendita uno straordinario laboratorio viaggiante di valore incalcolabile: chi avrebbe mai detto, anche solo dieci anni fa, che un giorno sarebbe stato normale guidare una diesel 1900 da 215 chilometri l'ora?
Dopo
un periodo di soffocamento, dovuto, a onor del vero, come spesso succede, a
disposizioni fiscali
irragionevoli, il diesel sta conoscendo un periodo di floridità senza
precedenti; grazie alle sue
caratteristiche di pulizia e rendimento termodinamico è il più studiato
e rinnovato da tutte le case, che sfornano di continuo versioni sempre più
potenti, pulite e parche, donando nobiltà e classe al gasolio per autotrazione,
un tempo riservato ai faticatori del volante, ed associato alle dense fumate
nere prodotte da motori rumorosi, sonnolenti e complicati da usare e
mantenere. Ma
fermiamoci per un momento a riflettere sulle caratteristiche tecniche di questi
superdiesel che bevono sempre meno e corrono sempre più:
un valore su tutti, quello della potenza specifica, cioè del rapporto
fra il numero dei cavalli
e quello dei centimetri cubi, può dare un'idea di come l'evoluzione continua li
accomuni ormai
ai benzina; il TDI/150 cv preso a
esempio sfiora, infatti, gli 80 cavalli/litro, una misura ben superiore a quelle
del Ford 1.4 16v Zetec della nuova Fiesta o del FIAT 1.2 16v Fire della Punto,
utilitarie a benzina di dignitose prestazioni, che si attestano tra i 55 e i 65.
E 68 erano i cavalli/litro della Ferrari 512 BB e della Porsche 911 nel
1982, mentre nel 1992 la Mercedes 500 E si fermava a 65 e la 911 Carrera non
arrivava a 70. Orbene, il 1896 tedesco nasceva con la metà esatta dei cavalli, e quindi dei cavalli/litro, per equipaggiare la terza serie della Golf diesel; l'adozione dell'iniezione diretta, dell'intercooler e della turbina a geometria variabile ne ha progressivamente accresciuto la potenza, consentendogli di erogare prima 90 e poi 110 cavalli; il tecnologico complessivo pompa-iniettore ha poi permesso di ricavarne 115, 130 e 150. Un gran bel lavoro di affinamento, non c'è che dire, per di più portato avanti in totale antitesi con il common rail su cui ha puntato, con successo, la stragrande maggioranza dei costruttori: i risultati raggiunti dai nostrani JTD, dagli HDi dei maestri del diesel leggero e dal TDCi campione di vendite si avvicinano ma non eguagliano i numeri straordinari del Capostipite. Tanto di cappello, quindi, per la scelta coraggiosa. Ed è anche ovvio che i fior di ingegneri che hanno creato questo miracolo si saranno fatti i loro conti. Ma sono proprio queste ottime premesse a non poter che stimolare una serie di perplessità di varia natura; in primis ci tornano alla mente i precetti di vita dei nostri nonni: è forse finalmente diventato possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca? E se sì, dobbiamo forse concludere che in tempi di eccessi di ogni genere sia giustificabile la convinzione che il troppo non stroppi più? Quanto conviene, quindi, spremere come un limone un motore di cubatura relativamente contenuta, piuttosto che aiutarlo con una crescita di cilindrata?
All'Harley-Davidson
pare abbiano un principio ingegneristico imprescindibile, tanto elementare
quanto indiscutibile: non c'è
alternativa ai pollici cubi. E
visti gli standard costruttivi anche in campo automobilistico, tipo motori 7000
con un centinaio di cavalli, pensiamo possa trattarsi di un fatto di cultura:
in America tutto è più grande e più semplice, e il rigore con cui sono
sempre stati fatti rispettare i limiti di velocità, unito alla sovrabbondanza
di spazi e materie prime, ha indirizzato l'attenzione dei
progettisti sulla longevità e sulla robustezza più che sui consumi e sul
rendimento puro. Se a ciò si aggiunge come oltreoceano sia normale gestire i costi di esercizio dei "big block" di cinque o sei litri, mentre qui già ventisei cavalli fiscali sembrano una follia, si può ben capire perché mai da noi tutto sia sempre andato nel verso opposto, rendendo praticamente obbligato lo sviluppo di concetti come il Ciao, la 2 CV, la Panda 30 e tanti altri ancora, già inadeguati alla nascita ma irrinunciabili per le condizioni economiche e logistiche di tutta Europa: mezzi di pura utilità e prestazioni nulle, schiavi della povertà energetica e delle continue vessazioni fiscali a cui veniva sottoposto il proprietario di qualsiasi motore a scoppio, vittima fino a ieri di farneticanti estorsioni da parte delle Amministrazioni. E
così ci furono i tempi in cui la 131 diesel (2000 o 2500, 60 o 72 cv) pagava un
bollo (mezzo milione e passa, non poco nel 1982) più che doppio rispetto a una
Porsche 911 turbo (3300, 300 cv); comprare
una Mercedes 300 D significava accettare di spendere quasi un terzo del suo
prezzo d'acquisto in tasse, la famosa "IVA pesante" (il 35% fino al
1981, addirittura il 38% già dall’anno seguente e fin quasi ai giorni nostri)
non applicata a certe Ferrari per motivi di cilindrata;
la Panda 4x4, poi, divenne "fuoristrada" e fu tassata come bene
di lusso... Oggi, per fortuna, lo spostamento del metro dai "cc" ai "kw" ha, in qualche modo, migliorato gli equilibri tra gli utenti, e le case costruttrici non devono più regalare "due anni di superbollo compresi nel prezzo" per vendere una diesel; perché, allora, non approfittarne per accantonare la frenesia del progresso e ripensare a quale possa essere il famoso giusto mezzo?
Raccogliendo
qua e là impressioni e notizie più o meno tecniche arriviamo a farci un'idea
di questo genere: innanzitutto i
diesel sono ormai dimensionati come i benzina, cioè per una durata di massima
stimata in circa 250.000 chilometri in condizioni di normale utilizzo;
un buon risultato per i secondi, i cui cicli vitali fino a venti anni fa
erano sui 100.000, ma una prestazione non eccezionale per i primi, soprattutto
se rapportata alle spaventose percorrenze totalizzate dai progenitori di vecchia
generazione. Gli
intervalli di manutenzione dei motori a ciclo otto si allungano e si
semplificano in modo spettacolare, con candele che durano anche 160.000 miglia e
impianti elettrici "for life", e la loro silenziosità di
funzionamento anche nel campo delle utilitarie fa sembrare rumorosa
un'ammiraglia di qualche anno fa; non
altrettanto si può dire di quelli a gasolio, che continuano a richiedere cambi
d'olio precisi e relativamente frequenti, e capsule insonorizzanti sempre più
efficaci con cui attenuare il martellante battito caratteristico. Se
a tutto questo si somma il prezzo d'acquisto, generalmente assai più elevato di
quello della corrispondente (si intende per numero di cv) versione a
benzina, viene da domandarsi dove sia il famoso "punto di pareggio",
ossia dopo quanti chilometri percorsi le minori (fino a che punto?) spese di
gestione hanno compensato la differenza di prezzo iniziale:
con la scomparsa del superbollo, che rappresentava il freno principale
alla diffusione delle auto a gasolio perché di fatto annullava i risparmi
derivanti da consumi inferiori e prezzi del carburante più bassi, è stato
dimenticato questo parametro, ancora indispensabile per stabilire le reali
necessità e convenienza di una scelta in questa direzione.
Un esempio su tutti quello, estremo, della Lupo 3L TDI, in vendita alla
bella cifra di 14.616 euro: l'auto
che può consumare meno di tre litri di gasolio per percorrere cento chilometri
ne deve fare 256.000 (!) prima di diventare più conveniente della
convenzionale sorella 1.7 SDI, che si può pagare quasi tremila euro in meno;
quanta altra strada dovrà ancora affrontare per incontrare la 1.4 a
benzina, che ne costa meno di undicimila? E'
vero che si tratta di un esercizio ingegneristico, ma non crediamo che la
situazione dei modelli più diffusi sia molto dissimile. Esiste
poi un "vizio di sistema" così vecchio e conosciuto da essere stato
dimenticato, per tornare poi preoccupantemente alla luce proprio nei motori più
recenti e progrediti: il carburante
inquinato. Terrore dei viaggiatori
a gasolio fino a dieci anni fa, l'acqua che può emulsionare il combustibile
sembrava un problema superato con i contemporanei mezzi di filtraggio;
fino a quando non ci si è resi conto che questi diventano insufficienti
quando le pressioni e le temperature dei sistemi di iniezione richiedono una
più veloce ricircolazione del prezioso idrocarburo nei condotti, rendendo vano
il miglioramento dei filtri e portando, talvolta, ad inaspettati quanto costosi
interventi di ripristino. Facciamo
ora un passo indietro: sette o otto
anni fa, quando questi diesel non esistevano, mi divertivo buttando dentro il
cofano della mia Ritmo carburatori sempre più grandi, non per fare duecento
all'ora, solo per andare un po' più avanti al semaforo o tenere la quinta sui
falsipiani; in seguito, con un
paziente lavoro di raccordatura dei condotti di aspirazione e la testata
ribassata di tre decimi, e dedicando un po' di tempo all'anticipo di accensione
e al grado termico delle candele, ho ottenuto una quinta che non crolla più in
salita, uno "zero-cento" da poco più di dodici secondi ed un consumo
medio di quasi diciassette chilometri con un litro, rilevato combinando
all'incirca 50% di statale veloce, 30% di città e 20% di curve di montagna, il
tutto senza nessun riguardo per il pedale e su un campione di 1100 chilometri
percorsi, a pieno carico (3 persone e bagaglio da truppe cammellate), con
140.000 lire di super; mi sembra
strabiliante per un motore con trent'anni di progetto, in strada da venti e con
65 cv di fabbrica, che non credo siano arrivati a 80, avendo lo scarico
interamente originale. Questo
per dire che non c'è niente di nuovo sotto
il sole, che chiunque abbia un po' di amore e interesse per la meccanica
automobilistica impara facilmente che ottimizzare il rendimento di un motore
significa andare di più e meglio consumando meno, perché un motore più
prestante chiede meno acceleratore per portare gli stessi chili alla stessa
velocità. Niente
da ridire, quindi, se qualcuno sceglie di ottimizzare un diesel invece di un
benzina, anzi; è anche più
difficile, considerato il principio di funzionamento ad accensione spontanea,
perciò è giusto farne una bandiera che renda alla Marca la gloria che
merita. Ma
è anche proprio qui che casca l'asino: tutti
gli equilibri hanno un limite, e in campo automobilistico non è infrequente che
esso si trovi effettivamente, a determinate condizioni, ben prima di dove lo
avevano collocato gli studi progettuali. Sono
infiniti i fattori che possono influenzare la vita di un motore, dai cicli
termici al tipo di guida, dalle condizioni di carico alla manutenzione, dal
carburante che beve all'aria che respira; e
c'è il seminato dal quale non bisogna uscire... Non
sono normali rotture di testate e basamenti;
non sono accettabili cilindri rigati o bronzine consumate a 50.000
chilometri; non sono giustificabili
cedimenti di cambi, o frizioni in crisi per uno spunto sottocoppia.
E non sono tollerabili cali prestazionali avvertibili dall'utente
medio. Come detto, sono già parecchi anni che le maggiori case automobilistiche si concentrano su questo tipo di motore; ma l'ultimo, definitivo attacco del Gruppo Volkswagen rivela esplicitamente l'audace intenzione di soppiantare più o meno definitivamente il benzina: la Golf a gasolio con 150 cv non ha più bisogno di ragionare su quante debbano essere le lettere rosse della scritta "TDI", e sfoggia il solito, arrivato, laconico "GTI", assoluto al pari della sorella a benzina, dissimulando sfacciatamente il suo motore diesel con prestazioni talvolta addirittura superiori. Stesso discorso per la Seat Leon: ci vuole "il 180 a benzina" per starle dietro. Grazie, allora, a chi ha pensato e realizzato per noi innamorati delle automobili una simile meraviglia tecnica, destinata a diventare senz'altro il primo mostro sacro dell'automobilismo del terzo millennio; grazie per averci dimostrato che tutto è possibile a questo mondo, confezionando un chilometro da fermo a gasolio sotto i trenta, il confine che ancora oggi separa "quelle che camminano" da "quelle che non camminano"; e grazie per averci dato l'opportunità di scegliere addirittura se comprare tutto questo a forma di Golf, Leon o Toledo. Ma, per carità, non dimentichiamo il benzina; non lasciamolo fermo a invecchiare senza riservargli qualche attenzione, perché potrebbe capitare di averne di nuovo bisogno, e sarebbe triste dover scoprire quanto è difficile riavviarlo. In tutti i sensi. |