Calatafimi, città famosa in Italia poiché vi si svolse l'omonima battaglia dei Mille di Garibaldi contro l'esercito borbonico.
Calatafimi fu nell'antichità un grosso e forte castello saraceno, Kalat-al-fimi, ossia "castello di Eufemio" di un tale Eufemio da Messina, cioè, che aveva per primo condotto e stabilito in Sicilia, dall'Egitto le schiere saracene.
Il castello che diede il suo nome alla città sottostante, sebbene in alcune sue parti rovinato, esiste ancora e torreggia sul sommo del più alto dei due colli sul quali si distende Calatafimi.
È un edificio alquanto irregolare nella forma, con tre torri quadrangolari merlate e certo ai suoi tempi fu robusto e ad un tempo comodo baluardo, poiché dal sommo delle sue torri lo sguardo si stende sopra un panorama amplissimo e magnifico.
Di là forse i Saraceni spiavano l'avanzarsi delle truppe greche mosse contro di essi dalla vicina Palermo; di là meditavano le scorrerie rapide e sanguinose sui villaggi e sulle città non ancora di loro dominio e disseminate nelle vallate circostanti.
Ora non si può risalire lassù senza vedersi ripresentare agli occhi il quadro della battaglia combattuta, dal piano al sommo del colle, il 15 maggio 1860, battaglia gloriosa ed epica, sanguinosa assai relativamente alle scarse forze combattenti e contrastata con grande valore anche dai borbonici, avvantaggiati dalla superiorità del numero, dal migliore armamento e dalla posizione.
Ma quando la visione. di quella cruenta giornata si sia un poco dileguata, restano sempre a deliziare la vista ed a compensarci per la faticosa salita - se tale si può dire - il quieto distendersi e serpeggiare della vallata dove scorre l'antico Crimiso, oggi Caggera, coi suoi orti verdi, i suoi vigneti lussureggianti, lo sfondo pittoresco del monte Inici, ed il meraviglioso profilo, che si delinea da lontano, nella sottoposta pianura del tempio di Segesta.
Il Longo, nella sua opera: Appendice critica sulle colonie troiane in Sicilia, identifica l'antica Acesta nella attuale Calatafimi.
Questa opinione a lungo combattuta da altri scrittori e ricercatori di cose storiche. e specie dal Faccia, il quale, pur di non convenire col parere del Longo, arrivò perfino a negare l'esistenza di Acesta affermando non essere essa altro che la stessa Segesta, è ora accettata dalla generalità.
Difatti di Acesta parla Cicerone, buon conoscitore della Sicilia per avervi fatto dimora per tre anni in qualità di questore e per esservi ritornato di poi a ricercarvi documenti ed elementi di accusa contro Verre, e la chiama civitas decumana, mentre di Segesta la dice civitas immunis ac libera.
A sua volta poi Plinio il Vecchio, enumerando le città interne della Sicilia, pone Acesta fra quelle stipendiarie, mentre parla di Segesta fra quelle di condizione latina.
Dionisio ci fa sapere che i Troiani stabilirono la loro sede attorno il Crirniso; Salinasio sostiene che doveva sorgere nel territorio stesso di Segesta e difatti Calatafimi sorge appunto sul ramo sinistro del Crimiso e nel confine del territorio di Segesta, quindi è fuor di dubbio che essa non sia edificata all'incirca sull'antica area di Acesta.
Si esclude poi che la città sia di origine romana, perché durante tutto il tempo che i romani tennero dominio nell'isola essa fu in continuo e rapido decadimento tanto che si dovettero mandare migliaia e migliaia di schiavi a ripopolare le deserte città.
I Saraceni si impadronirono della località il 28 aprile dell'828 e vi si stabilirono come abbiamo detto. Da essi quindi ha origine, si può veramente dire, la moderna Calatafimi.
La città si ricorda nella storia della dominazione angioma per un ratto rimarchevole.
Essendo Guglielmo Porcelet governatore della città, ebbe salva la vita durante la terribile sollevazione del Vespro, per aver saputo farsi amare ed apprezzare dalla popolazione come uomo giusto e di senno. Guglielmo Porcelet fu l'unico angioino che riuscisse a condursi sano e salvo a Napoli.
Nel 1336 Federico di Aragona fece di Calatafimt un feudo del suo terzogenito Guglielmo e vi unì il titolo di conte.
Lo stesso feudo passò poi a Guglielmo Peralta, a Nicolò Peralta, ed infine, nel 1407, a Gianni de Prades, la cui figlia Violante lo portò in dote a Don Giovanni de Cabrera, conte di Modica, e d'allora in poi fu parte integrante di questa contea.
Calatafimi ebbe nel 1693 a' soffrire terribili danni per causa del fortissimo terremoto che in quell'epoca sconvolse tutta la regione. La città fu quasi distrutta e molto tempo occorse prima di poter sanare le miserie e rialzare le rovine prodotte dal violento moto tellurico.
La città, chiese e monumenti.
Essa sorge a mezza strada fra Salemi ed Alcamo, distendendosi sul dorso dei due colli contigui.
Naturalmente gli edifici più notevoli, come in quasi ogni altra piccola città del meridionale, sono le chiese. La principale di Calatafimi sta a mezza costa del colle, su di un alto e pittoresco ciglione, da dove la vista può distendersi liberamente tutt'intorno è la Chiesa Madre.
L'esterno della chiesa conserva impronte dell'antica buona linea architettonica oramai scomparsa sotto le recenti sovrapposizioni.
L'interno è a 3 navate su colonne; nell'abside, una grande ancona marmorea ricca di fregi dorati che si eleva dietro l'altare maggiore (con statue della Madonna e Santi e rilievi vari) di Batolomeo Berrettaro (1512).
Essa è divisa in due ordini sovrapposti; nell'inferiore sei colonnine di ordine composite, con fusti ornati di disegni del Rinascimento, contengono cinque nicchie delle quali la centrale, più alta e vasta, racchiude una Madonna col Bambino di buona fattura e con una dolcissima espressione di mestizia. Su di essa, nella porzione sferica della nicchia, la colomba divina stende le sue ali, sorreggendo un ostensorio.
Nelle due nicchie di destra san Nicola col pastorale e sant'Antonio con l'immancabile porco; a sinistra, nelle nicchie corrispondenti, stanno san Silvestro (a cui è dedicata la chiesa) in abito pontificale e l'Arcangelo san Michele. In una fascia che sta fra il primo ed il secondo ordine, ai due lati dell'arco della nicchia centrale sono due bassorilievi.
Uno, quello di destra, rappresenta la Flagellazione; l'altro, quello di sinistra, Gesù condotto a Ponzio Pilato; chiudono ai due estremi questa fascia le figure del David e del profeta Isaia.
Il secondo ordine di questo curioso lavoro è formato da un bassorilievo rappresentante la Crocifissione, nel suo momento più tragico, quando Gesù, fra i ladroni, vede ai suoi piedi le Marie addolorate, ai due lati del - bassorilievo stanno da una parte san Pietro e dall'altra san Paolo.
Il tutto è sormontato da un altro bassorilievo semicircolare raffigurante la Risurrezione e da una mezza figura rappresentante il Padre Eterno.
Le statue dl cui si compone questo monumento hanno tutte le labbra colorate in porporino ed i fregi degli abiti dorati, mentre sono variamente colorati i risvolti interni degli stessi.
La chiesa di S. Michele custodisce una graziosa acquasantiera del '500, e una statua marmorea dello stesso santo del 1409, di pregevole fattura, ma deturpata dal barbaro gusto delle dorature e delle colorazioni. L'arcangelo è rappresentato in atto di minacciare colla lancia che tiene impugnata nella destra il serpente che egli calpesta. Sulla base della statua è pure scolpita una bellissima immagine del santo.
La chiesa di S. Caterina, detta anche della Madonna di Giubino, dovuta all'architetto Giov. Biagio Amico (1721), assai notevole per la planimetria, a una navata e con perimetro mistilineo; sull'altare maggiore è un'ancona marmorea (Madonna e Santi e rilievi) di scuola gaginesca.
La Chiesa del Crocifisso, eretta (1742-59) su progetto di Giovanni Biagio Amico, ornata di stucchi e affreschi.
Attraverso una bella pineta si sale agli avanzi del Castello m 397, a pianta irregolare, con 3 torri quadrilatere: ampio panorama sull'abitato, le colline, il tempio di Segesta a N e l'Ossario di Pianto Romano a SO.
Un monumento che merita di essere visitato è l'Ossario eretto sul culmine del colle, in memoria della battaglia combattuta nel vicino Pianto Romano, il 15 maggio 1860, tra garibaldini e napoletani.
Si tratta di una forte costruzione quadrata, a mura scarpate, che sorregge una svelta piramide od obelisco, pure quadrangolare ornata a metà della sua altezza, verso il lato principale, di una corona di bronzo, nel mezzo della quale sta la Trinacria e da palme.
Là furono raccolti dalla pietà dei cittadini di Calatafimi e composte in glorioso sepolcro le ossa di tutti coloro, senza distinzione di parte, che caddero durante la mischia, dal cui esito si trassero i primi auspici della nuova fortuna d'Italia.
Gli illustri di Calatafimi
Non è indifferente il numero degli uomini di un qualche valore e che seppero trovare il proprio posto nella storia, che ebbero i natali in Calatafimi.
Citiamo della famiglia Avila il Francesco Avila, medico e poeta veramente illustre; 1'arciprete Avila (Francesco esso pure) valentissimo erudito, ricercatore sagace di cose storiche riferentesi a Calatafimi e patriota d'animo ardente che spese 1'intiera sua vita a beneficio dei suoi compaesani di cui tutelò sempre ed in ogni modo le libertà ed i diritti. Fu l'Avila che riscatto' il comune di Calatafimi dal Ferrugiole, una speciale imposizione dei conti di Modica, assai grave.
Nella professione della medicina e della chirurgia Calatafimi ricorda di aver dato uomini come Natale Macaddino, nell'arte medica assai provetto, e Gioacchino Parisi, chirurgo di larga fama ed autore di varie opere tecniche, fra le quali di un trattato sulla Litotomia.
Avvocati e giuristi di grido furono Stefano Stabile, Girolamo Triolo, ed infine Vito Sicomo, celebre legista, scrittore di varie pregiate opere, il quale tenne buon posto fra i suoi contemporanei del XVI e XVII secolo ed ottenuto in feudo dai conti di Modica una terra in vicinanza di Calatafimi, diede il suo nome al nascente villaggio che oggi è il comune di Vita.
Storico esimio, ed attento e sagace ricercatore delle origini antichissime del luogo natale, fu Pietro Longo, che come abbiamo veduto accertò la preesistenza di un'antichissima colonia troiana all'attuale Calatafimi, scoperse ruderi e lapidi e scrisse un'apprezzatissima storia delle colonie trojane in Sicilia.
Altre notizie.
Il territorio di Calatafimi può considerarsi fra i più fertili della regione; esso dà ogni sorta di prodotti agrari e per annoverare solo i più importanti citiamo i cereali, che tengono primissimo posto, poi i legumi, l'olio, la canapa, una varietà immensa di frutti squisiti e saporitissimi.
L'esportazione comprende specialmente vino, sommacco ed agrumi.
Il terreno è di natura argillosa e calcarea, presenta qua e là cave di marmo di qualità inferiore e di gesso, il clima dell'intero territorio è caldo, ma assai salubre.
Calatafimi dà pure il nome al collegio elettorale, ma dipende come diocesi da Mazzara del Vallo.
È sottoposto al mandamento di Calatafimi il borgo di Vita con 5500 abitanti circa, esso pure in fertilissimo territorio e disteso, il borgo, in amena posizione, parte in colle e parte in piano.
Nel borgo di Vita o meglio sulle contigue alture, si disposero il 15 maggio 1860 in ordine di battaglia i garibaldini, prima di iniziare il combattimento che prese il nome di Calatifimi, anzi ivi attesero il primo attacco dei borbonici.