Un
gatto nero per Ernest di
Marina Alberghini PRIMA
PARTE Chi meglio di un gatto può conoscere il suo padrone e raccontarne senza errore gli umori e le passioni? Comincia con questa una serie di interviste a gatti Famosi che vissero con ancor più famosi personaggi.
Oggi è di scena Ernest Hemingway, grande scrittore e amico dei gatti raccontato da un micio nero
I GATTI DELLA FINCA VIGIA
C'era un gatto di nome Crazy Christian
Che non visse abbastanza per l'amore;
Era un tipo allegro, giovane e carino,
E conosceva tutti i segreti della vita.
Arrivava sempre in orario a colazione,
Si strusciava contro i tuoi piedi
O rincorreva la palla;
Era più veloce di un pony da polo.
Non si preoccupava mai di niente,
La sua coda era una piuma che si
Strusciava con lui
Era nero come la notte e veloce
Come la luce. Cosicché i gatti cattivi
Lo uccisero in autunno
E. Hemingway
"Non è mica veto, sapete, che Crazy non visse abbastanza per trovarsi una moglie! Che volete che ne sapesse il vecchio Ernest, sempre in giro per il mondo? La prova è che io sono un suo discendente, e me ne vanto!".
Chi parla è un magnifico gattone nero dalla folta pelliccia che ci guarda con aria di superiorità, mentre commenta la poesia che Hemingway ha dedicato al gatto Crazy, e in particolare l'espressione "non visse abbastanza per l'amore'.
Siamo a Cuba, alla FinCa Vigia, la tenuta dove Hemingway passò i suoi ultimi anni, circondato da tutto ciò che più amava. Convinti che nessuno possa conoscere a fondo un uomo meglio di un gatto, ci prepariamo ad intervistare questo tenebroso felino che, attorniato dai suoi fratelli, ci guarda con diffidenza.
Alla Finca, tutto è rimasto uguale. Ci sono ancora i grandi alberi tropicali cari allo scrittore e soprattutto il gigantesco ceiba, sul cui tronco strisciano le orchidee e che si diceva sacro ai culti vudu. Hemingway lo amava tanto che non volle mai tagliarne le radici, anche se gli minacciavano la casa.
GATTI GRINTOSI CON GRANDI OCCHI GIALLI
E ci sono ancora i gatti, custodi: di un mitico passato. Somigliano molto
alle fiere che Hemingway cacciava in ogni parte del mondo: sono gatti da branco grintosi e sospettosi, con i grandi occhi gialli. Indipendenti e fieri come piacevano a lui.
"Infatti, ci adorava - comincia il gattone, perso nei ricordi, - Il suo mito è passato da Crazy di gatto in gatto e lo custodiamo gelosamente. Sul tavolo teneva
le vitamine che ci distribuiva personalmente.
Ognuno di noi aveva un nome e c'erano anche i preferiti, come Friendless' Brother ed Extasy. E come noi, dopo le grandi cacce estive, diveniamo casalinghi. così anche lui si rifugiava qui, al ritorno dalle sue spedizioni, tra i suoi libri con la sua barca e noi.
Forse ci amava tanto perché ci sentiva uguali, infatti noi e l'uomo siamo gli unici animali che cacciano per divertimento.
Era sempre a caccia; in Africa, in mare, nella jungla, perfino a Venezia! E che soddisfazione vedere quell'uomo bello e forte, che non aveva mai avuto paura di nulla, un eroe decorato più volte, restare debole, incantato davanti a noi!
Ci era permesso tutto, mangiare a tavola con lui, dormire nel suo letto, accovacciarsi sul tavolo di lavoro... eravamo più importanti delle sue donne!
LA
ROTTURA CON LA MOGLIE AVVENNE PER CAUSA LORO
Ora mi sembra che lei esageri!
"Giudichi lei. La rottura con la terza moglie Martha Gellhorn, una
persona veramente odiosa, avvenne dopo che lei ci combinò uno scherzo di
pessimo gusto, cioè fece castrare alcuni di noi, per via dell'odore.
Figurarsi! Quello per Ernest era un profumo che gli ricordava la savana, la
jungla! Insomma, non glielo perdonò più. Forse per questo, quando portò
alla Finca la quarta moglie, Mary Welsh, le disse chiaramente che se non ci
avesse accettato, era meglio che se ne andasse."
Bene, ma ora ci parli dell'artista.
"Fu l'arte a salvarlo. Altrimenti sarebbe rimasto un personaggio da
romanzo come quelli di Kipling e Conrad che tanto amava. Era un grosso
felino, bello, abile e crudele. Sapete che fu il padre a insegnargli a
cacciare?
Ma insomma, è un'ossessione! Basta! Questa è una rivista animalista,
capisce, noi siamo contro la caccia!
Voi sì, ma noi no. E non è ancora nato chi a noi gatti può dire quello
che dobbiamo o non dobbiamo fare!
Se non vi va chiudiamo l'intervista.
No, no, capisco. Ma non potremmo parlare d'altro?
Se dico che era un cacciatore, intendo anche in un senso più
profondo.
La vita per lui era una preda che ha catturato e mangiato a morsi finché ha
potuto.
E dopo ha preferito morire. Era un predatore. Le donne, la guerra.
Quando scriveva diventava un altro. Era di un perfezionismo che diveniva
rigore morale.
Creò uno stile nuovo, essenziale, rivoluzionario in un'epoca di grande
retorica.
Diceva: "Tutti i buoni libri hanno in comune una cosa: quando ne leggi
uno senti che tutto quello che c'è scritto è accaduto, che è accaduto a
te e che appartiene a te per sempre".
Libri come "Il sole sorge ancora", "Addio alle armi",
"Per chi suona la campana" hanno
creato un nuovo linguaggio che ha influenzato scrittori di tutto mondo. Il
protagonista in fondo, era sempre lui e vi versava tutte le sue esperienze.
Cioè?
Beh, un uomo che si sposa quattro volte senza contare le relazioni, ha
combattuto tre guerre e diverse guerriglie, fatto più volte il giro del
mondo, traversato decine di volte l'Atlantico, battuto e Arene, conosciuto i
maggiori personaggi del suo tempo, ne ha di cose da dire! Ma il suo lavoro
veniva prima di tutto. Diceva che quando si lavora si deve avere la stessa
onestà di un prete. Quando Marlene Dietrich, sua grande amica e che aveva
soprannominato il Krauto, gli chiese consiglio circa un lavoro che le
piaceva poco ma de pensava di accettare per riempire dei mesi vuoti, lui
rispose: "Figliola, non fare quello che dentro di te senti di non voler
fare. Non confondere il movimento con l'azione".
Infatti lui non lavorava sempre.
No di certo. C'erano momenti in cui viveva, come noi del resto, in una sorta
di eterna vacanza, di preferenza nelle città che adorava, Parigi o Venezia,
su cui scrisse pagine indimenticabili. Quando entrò al Ritz, nella Parigi
liberata, per la prima e Unica volta fu visto piangere. Ma si riprese
subito, e ordinò champagne per tutti!
Gli piaceva bere, vero?
Praticamente era un alcolizzato. Aveva inventato un suo beverone che
chiamava "Morte nella Corrente de! Golfo"! a base di lime e gìn
puro. Micidiale. Beveva da solo, con le donne, con gli amici...
Un uomo così doveva avere il senso dell'amicizia.
Beh, Ernest fu definito un mistico dell'amicizia". Diceva: "Per
sapere se una persona è degna di fede, il sistema è di darle
fiducia".
Chiedeva però in cambio una lealtà incondizionata e naturalmente spesso
restava deluso. Allora si stringeva nelle spalle e bofonchiava: "Non è
stato all'altezza". E non ne parlava più. Ebbe per amici i più grandi
ingegni del suo tempo, da Joyce a Dos Passos, da Picasso a Mirò, alla Stein,
a Fitzgerald, a Ezra Pound, Sì vedevano alla Libreria inglese della Rive
Gauche, a Parigi, o nei bar e nei locali di Saint Germain de Prés, come Le
Lipp, il Dome o Il Jockey, dove si poteva bere tutta la notte e godersi
donne come Joséphine Baker, che accese la sua immaginazione... forse perché
sembrava una gatta nera... Fu soprattutto un uomo libero, Ernest. Se si
pensa che non andò a ritirare il Premio Nobel perché odiava il frac!
E poi, cominciò la decadenza.
Era inevitabile. La sua vita era bruciata come una fiamma. Il momento
peggiore fu quando si accorse che non riusciva più a mantenersi, nello
scrivere, al livello di perfezione formale che pretendeva. Reagiva allora
allla depressione con dosi sempre più massicce di alcool e barbiturici. Noi
della Finca, per fortuna, non abbiamo assistito al tracollo, ma abbiamo
saputo tutto da gatti itineranti dell'Est
LASCIO' CUBA QUANDO MORI' IL SUO CANE
Allora non morì qui?
No, lasciò laFinca nel '59 lui diceva che non si trovava più col regime di
Castro, ma in realtà perché soldati di Batista gli avevano ucciso Black
Dog. Era un suo vecchio cane mezzo cieco e anche, secondo me, mezzo scemo,
che gli si era messo davanti per difenderlo e ci aveva rimesso la pelle. Che
volete, lui era fatto così, in fondo era un sentimentale, un misto di
crudeltà e sensibilità. E, tra i suoi difetti, c'era che voleva bene anche
ai cani. Mai come a noi, però! Insomma. cominciò a dire che sentiva la
mancanza di Dog come di quella di ogni amico che aveva perduto, e se ne andò
a Ketchum, vicino a Sun Valley, in una bella casa che riempì subito di
gatti. Perché lui, sempre, appena aveva una casa, ci metteva qualcuno di
noi altrimenti non gli sembrava una casa. E così, laggiù, cominciò a
morire. Voleva lavorare e non ci riusciva. Voleva amare e non ci riusciva.
Voleva vivere come aveva sempre fatto, e non ci riusciva. Era sempre stato
un uomo coraggioso e avendo capito che la morte sarebbe arrivata tardi, cercò
di uccidersi. Per due volte riuscirono a impedirglielo. Ma all'alba di una
mattina di luglio, con il suo amato fucile da caccia, sì sparò in bocca. A
volte qui, al tramonto, sentiamo vicino la sua grande ombra e ci prende una
strana nostalgia. Ma lo comprendiamo. Perché nessuno di noi vorrebbe
sopravvivere a se stesso.
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