Si misura
sperimentalmente quello che si vede in figura:
-
esiste un campo
di valori di f1, in un intorno sufficientemente
piccolo di f1, in cui si percepisce un solo suono,
che è la media dei due;
-
se la differenza
tra f1 ed f2 sta al di fuori di questo
intorno ma al di sotto della BANDA CRITICA si è in una zona
in cui, prestando attenzione, si possono distinguere
rozzamente le due note;
-
per frequenze f1
ed f2 al di fuori della BANDA CRITICA i due
suoni si distinguono nettamente;
Si definiscono
alcuni INTERVALLI DI FREQUENZA
SEMITONO: un
suono monofrequenziale avente frequenza f2 si dice
essere un semitono sopra ad un suono a frequenza f1 se
f2 = 16/15 f1
TONO: f3
= 9/8 f1
TERZA MINORE:
f4 = 6/5 f1
ATTENZIONE: con
queste definizioni NON È VERO che un tono si possa considerare la
successione di due semitoni. Infatti salire due volte di un
semitono rispetto ad una frequenza f1 corrisponde a
moltiplicare questa frequenza per 16/15 due volte, cioè per
256/225 @ 1.1378, mentre salire di un tono corrisponde a
moltiplicare per 9/8 = 1.125.
CONSONANZA:
si usa per indicare due note che "suonano bene assieme".
È chiaro che è un fenomeno SOGGETTIVO e legato all’ascolto:
per l’orecchio della nostra epoca è impossibile l’ascolto dei
canti gregoriani!
DISSONANZA:
note che "non suonano bene assieme".
Le ampiezze della
BANDA CRITICA e della zona di percezione mono-frequenziale
crescono al crescere della frequenza di riferimento f1
secondo il seguente grafico:
Si noti che gli
intervalli di un tono e di un semitono cadono al di sotto della
banda critica. Questo è uno dei motivi per cui ascoltando due
note aventi uno di questi due intervalli percepiamo una DISSONANZA.
L’intervallo di terza minore, invece, cade al di sotto della
banda critica solo per frequenze al di sotto dei 500 Hz ed è,
infatti, consuetudine dei musicisti non utilizzare questo
intervallo per frequenze basse.
OTTAVA: f2 = 2 f1; con questa
definizione di ottava si costruiscono varie SCALE (come
vedremo più avanti).
ATTENZIONE: se due note si dicessero distanti una o più ottave
quando "si percepisce" la stessa nota ma si riconosce
che una delle due ha un altezza maggiore (come sarebbe corretto da
un punto di vista di definizione "musicale") NON
TROVEREMMO LA STESSA COSA!!
Si è osservato che
un aumento di un ottava "percepita" (quindi melodica)
corrisponde GENERALMENTE al raddoppio di frequenza. Così il LA a
440 Hz utilizzato per accordare gli strumenti musicali avrà una
nota un’ottava sopra a 880 Hz ed una nota un’ottava sotto a
220 Hz.
IN REALTÀ non è proprio così: per frequenze superiori ad 1 kHz
si ha la percezione auditiva di una nota un’ottava superiore per
incrementi di frequenza superiori al raddoppio. Quindi gli
antichi cantanti, ad esempio, dovevano probabilmente sottoporsi a
sforzi decisamente maggiori, a parità di spartito!!
Inoltre quando suoniamo brani composti in periodi in cui non
esistevano mezzi di registrazione non sappiamo se stiamo suonando
realmente le note corrette!!
Noi oggi cosa percepiamo? Percepiamo quello a cui siamo abituati.
Infatti il cervello, dove il suono viene elaborato, viene
addestrato all’ascolto.
CAMPO
UDITIVO E CURVE ISOFONICHE
La definizione di
intensità va data opportunamente perché la percezione della
intensità varia con la frequenza del suono.
L’intensità è espressa quasi sempre in DECIBEL (dB).
Si fissi una intensità di riferimento:
I0 = 10-12
[W]/[m2],
che è la soglia di
udibilità a 1000 Hz.
Il rapporto I/I0
indica un valore puramente numerico che si potrà utilizzare per
indicare un valore di intensità relativo che sia più
significativo di quello assoluto.
Si ha il problema
che il campo di variabilità di questo rapporto è molto grande
(fino a 7-8 ordini di grandezza), quindi si definisce una nuova
unità di misura (il DECIBEL):
IL = 10 log I/I0
[dB] (Intensity Level)
ESEMPIO: una
intensità di 50 dB, che corrisponde al p (piano) musicale,
corrisponde ad una intensità (non dB) tale che:
50 = 10 log x
cioè:
log x = 5
>> x = 105 !!!
Si noti che la
soglia del dolore è a 120 dB corrispondenti ad una I mille
miliardi (1012) di volte più grande di I0!!!
Poiché la percezione dell’intensità del suono varia con la
frequenza, si usano le cosiddette CURVE ISOFONICHE:
In corrispondenza
del punto di maggior sensibilità (3 kHz) si trova il limite
inferiore di percezione di ampiezza del timpano: 10-9 m
(l della luce è 0,4-0.7 10-6 m)!!
Muovendosi lungo ogni curva si trovano per ogni frequenza i valori
di IL tali per cui l’ascoltatore medio percepisca una intensità
costante.
Queste curve definiscono il LIVELLO DI SONORITÀ (LL:
Loudness Level), che si esprime in phon. Quando ci si muove lungo
una di queste curve si percepisce una sonorità (un volume)
costante, nonostante il valore assoluto di intensità I vari di
molti ordini di grandezza.
Tali curve sono tracciate in modo tale che a 1000 Hz il valore di
phon ed il valore di IL coincidano.
L'intensità dell'onda è legata alla pressione dell'onda stessa
dalla relazione ,
quindi si può scrivere:
ritrovando, così,
la definizione di decibel più usuale.
GENERAZIONE
DEL SUONO
Gli strumenti
musicali possono essere suddivisi in diversi gruppi a seconda del
tipo di generazione del suono (escludendo la generazione
elettronico-informatica):
strumenti a fiato;
strumenti a corde
(violino, pianoforte, chitarra);
strumenti a
percussione.
La generazione di
suono più interessante (e più semplice) da analizzare è quella
a CORDE VIBRANTI. Si tratta di corde elastiche vincolate
alle due estremità e soggette ad una certa tensione
longitudinale. Queste, opportunamente sollecitate (con un
martelletto nel caso del pianoforte, con un plettro o con le dita
nel caso della chitarra etc.), si mettono ad oscillare "in un
certo modo" per un certo periodo, durante il quale
trasmettono, direttamente o tramite terze parti (la chitarra
acustica ha una cassa di legno che ne amplifica il suono), la
vibrazione all’aria.
Le onde possono
essere generate tendendo trasversalmente la corda (ed in questo
modo la si carica con una certa energia potenziale) e lasciandola
successivamente andare.
In questo modo nasce una oscillazione composta da un numero
teoricamente infinito di onde. Queste sono onde trasversali (nel
senso che la perturbazione corrisponde ad un movimento trasversale
della corda) e si propagano longitudinalmente. Di questo numero
infinito di onde, che si dividerebbero l’energia fornita
inizialmente in quantità infinitesime, in realtà ne
"sopravvivono" solo alcune: le ONDE STAZIONARIE.
Possiamo definire, semplificando, le onde stazionarie come onde ad
energia costante. Quali sono le onde stazionarie su di una corda
tesa? Occorre ricordare che le perturbazioni sinusoidali cui
facciamo riferimento presentano ventri (massimi e minimi) e nodi
(punti in cui la perturbazione assume valore nullo).
E’ intuibile che tutte e sole le onde che presentino nodi in
corrispondenza dei vincoli siano tali da conservare la propria
energia, mentre le altre si smorzano.
Si osserva che l’onda stazionaria a frequenza più bassa è
quella tale per cui l 1/2 = L. Le successive sono tutte
e sole quelle che hanno lunghezza d’onda esprimibile come
sottomultiplo intero di l 1 (l 1/2, l 1/3,
l 1/4).
ATTENZIONE: si può
quindi osservare che un suono ‘naturale’ è in generale
composto da diverse armoniche, che ne caratterizzano il timbro.
Dopo l’armonica fondamentale (l 1) la prima armonica
che si trova è quella a frequenza doppia (l 2), cioè
un’ottava sopra. Quindi segue una frequenza 3 volte maggiore (l 3)
ed una frequenza quattro volte maggiore (l 4),
corrispondente a DUE ottave sopra la fondamentale e così via.
Si può dimostrare che l’energia per le varie componenti
armoniche cala al crescere della frequenza della armonica
corrispondente.
Il cervello percepisce consapevolmente solo le armoniche a
frequenza più bassa, mentre le superiori vengono percepite a
livello subliminale.
Consideriamo la definizione di scala di DO maggiore e gli
intervalli tra le note espressi in toni e semitoni:
La nota che si trova
un semitono sopra il DO si scrive DO# (DO diesis) e quella un
semitono sotto si scrive DOb (DO bemolle), e così per tutte la
note.
Se la frequenza fondamentale della corda (l 1)
corrispondesse al DO, avremmo che la prima armonica sarebbe il DO
ad un ottava superiore (l 2=l 1/2).
L’armonica successiva, corrispondente a l 3,
corrisponderebbe alla quinta dell’ottava che inizia con l 2,
cioè alla nota SOL a cui segue il DO successivo e così via.
L’ordine delle note sarebbe quindi:
DO1 DO2
SOL2 DO3 MI3 SOL3 …
NOTA: l’intervallo
di quinta tra una data f2 ed una f1 è
definito come: f2 = 3/2 f1. Si può
effettivamente osservare che l 1 e l 2 sono
tali che f2 = 3/2 f1 (si ricorda che f = v/l
, dove v à la velocità di propagazione).
L’ACCORDO
corrisponde ad un suono composto dalla sovrapposizione di diverse
note suonate contemporaneamente.
L’accordo di DO maggiore è costituito dalle tre note: DO MI SOL
ed è l’accordo che risulta più ‘naturale’ all’ascolto.
Non è banale notare che è costituito proprio dalle prime note
che troviamo nella sequenza armonica, segno che pur se percepite a
livello subliminale, esse influenzano il nostro concetto di
consonanza. Gli accordi costituiti da note corrispondenti ad
armoniche successive sono via via meno consonanti sino a darci una
sensazione di dissonanza, che comunque è soggettiva (dipende
dall’ascolto).
In presenza di segnali di piccola ampiezze (cioè senza
distorsione) la percezione simultanea di una nota a frequenza f2
e di una a frequenza f3 = 3/2 f2 crea la
sensazione di una f1 =1/2 f2 (fenomeno di RINTRACCIAMENTO
DELLA FONDAMENTALE).
ESEMPIO. Il telefono
taglia le armoniche al di sotto dei 300 Hz (fondamentale maschile
@ 100Hz, femminile @ 200 Hz), ma l’orecchio ricostruisce le
fondamentali partendo dalle armoniche superiori.
A questo punto si può ridefinire l’ALTEZZA di un suono
come la fondamentale del suono stesso, dato che anche quando non
c’è si ‘sente’ lo stesso!
Anche l’intensità andrebbe ridefinita, visto che la definizione
che avevamo visto riguardava i suoni monofrequenziali.
SCALE
MUSICALI e NOTE
Le composizioni
musicali sono costituite da una successione e da una
sovrapposizione di note, cioè di suoni di determinate frequenze.
Gia' a Pitagora era noto che due suoni sono gradevoli all'orecchio
quando il rapporto tra le loro frequenze (intervallo) è espresso
mediante numeri piccoli (1:1 o 2:1 o 3:2, ecc.).
Più piccoli essi sono e migliore è l'accordo; più ci si
allontana dai numeri piccoli e maggiore è la dissonanza.
Esistono molti modi
per definire una stessa scala. Ad esempio, le note della scala di
DO si possono ricavare in diversi modi. Ne vedremo due.
Scala naturale o cromatica:
La scala naturale è
costituita da sette note fondamentali: do, re mi, fa, sol, la, si.
Se f è la frequenza (in hertz) della nota fondamentale do, le
altre note hanno le frequenze:
do
f; re 9/8f; mi 5/4f; fa 4/3f; sol 3/2f;
la 5/3f; si 15/8f; do2 2f.
La nota do2, che ha
frequenza doppia di do, inizia un'altra serie di sette note che
hanno tra loro rapporti di frequenze uguali a quelli delle
precedenti sette note. Ciascuna serie di 7 note si chiama ottava.
L'intervallo tra le stesse note di due ottave successive
(intervallo di ottava) è uguale a 2.
La scala è arricchita di note, introducendo i diesis e i bemolle
tra due note successive, eccettuato tra il mi e il fa e tra il si
e il do dell'ottava superiore.
Si dice diesis di una nota, la nota (più alta) avente con
la prima l'intervallo 25/24.
Si dice bemolle di una nota, quella nota (più bassa) che
ha con la prima l'intervallo 24/25.
Nella scala naturale gli intervalli tra le note non sono tutti
uguali. Alcuni strumenti musicali, come il violino, permettono di
produrre tutte le note della scala naturale, non così gli
strumenti a tastiera.
Partendo dal SI si
ottengono le note salendo di quinta in quinta (una quinta
corrisponde ad un intervallo di tre toni più un semitono)
trovando FA#, DO#, etc. e poi partendo da FA e scendendo di quinta
in quinta e trovando SIb, MIb etc.
Realizzando le scale in questo modo succede che il DO# ed il REb,
ad esempio, non coincidono.
Per semplificare le
cose e per ovviare agli inconvenienti della scala naturale,
alla fine del 1600, Andreas Werckmeister (seguito poi da J.
Sebastian Bach) introdusse la Scala temperata:
Nella scala temperata
gli intervalli tra due note successive sono sempre uguali.
L'intervallo di ottava è diviso in 12 intervallini di un semitono
ciascuno. L’ottava viene
suddivisa in dodici semitoni uguali, per cui l'intervallo di un
semitono è pari a:
(1,05946).
-
Tra le note do-re,
re-mi, fa-sol, sol-la, la-si della scala temperata vi è
l'intervallo di due semitoni; tra mi-fa e si-do vi è l'intervallo
di un solo semitono.
-
Tra due note aventi
l'intervallo di due semitoni è intercalata una nota intermedia
che corrisponde ai diesis e bemolle della scala naturale.
Se f hertz è la
frequenza di do1, è:
do1
f; do# = reþ 1.05946f; re 1.059462f; re# = miþ 1.059463f; ...; do2
1.0594612f.
Nella scala temperata
tutti gli intervalli, e quindi le note, risultano alterati rispetto a
quelli della scala naturale.
Ad esempio, se f è la frequenza di un do, è:
re
naturale: 9/8 f = 1.125f
re temperato: 1.059462f = 1.122f.
Il
diapason "naturale":
Finora si è detto
soltanto di rapporti tra le frequenze delle diverse note. I valori
assoluti di queste frequenze non avrebbero importanza se si
eseguissero soltanto pezzi suonati da un solo strumento o cantati da
una sola voce. Ma, se si devono eseguire pezzi a più strumenti o a più
voci, bisogna partire da un punto comune, cioè accordare tutti gli
strumenti a una stessa nota che abbia una ben determinata frequenza.
A questo scopo è stato scelto il la della terza ottava del
pianoforte, fissato dalla Accademia delle Scienze di Parigi nel 1858 e
confermato dalla Conferenza internazionale di Vienna, con una
frequenza pari a 435 hertz.
Tale misura nel 1954 venne innalzata a 440 hertz, valore
adottato dall'American Standards Association nel 1936.