"Internazionale", numero 922, 4 novembre 2011
Le proteste a Wall street e di fronte alla cattedrale di St. Paul a
Londra hanno in comune “la mancanza di obiettivi chiari, un carattere indefinito
e soprattutto il rifiuto di riconoscere le istituzioni democratiche”, ha
scritto Anne Applebaum sul Washington Post. “A differenza degli egiziani
di piazza Tahrir, a cui i manifestanti di Londra e New York si richiamano
apertamente, noi abbiamo istituzioni democratiche”. Se si riduce la rivolta
di piazza Tahrir a una richiesta di democrazia di tipo occidentale, come
fa Applebaum, diventa ridicolo paragonare le proteste di Wall street a
quelle in Egitto: come possono i manifestanti occidentali pretendere ciò
che già hanno? Quello che la giornalista sembra non vedere è
un’insoddisfazione generale per il sistema capitalistico globale, che in
luoghi diversi assume forme diverse.
“Eppure in un certo senso”, ammette Applebaum, “è comprensibile
che a livello internazionale il movimento non sia riuscito a produrre proposte
concrete: sia le origini della crisi economica globale sia le sue soluzioni
sono, per definizione, al di fuori della sfera di competenza dei politici
locali e nazionali”. Ed è costretta a concludere che “la globalizzazione
ha chiaramente cominciato a minare la legittimità delle democrazie
occidentali”. È proprio questo il punto su cui i manifestanti vogliono
richiamare l’attenzione: il capitalismo globale mina la democrazia. La
conclusione logica è che dovremmo cominciare a riflettere su come
espandere la democrazia oltre la sua forma attuale – basata su stati-nazione
multipartitici – evidentemente incapace di gestire le conseguenze distruttive
dell’economia. Invece Applebaum accusa i manifestanti “di accelerare il
declino” della democrazia.
Sembra sostenere quindi che, siccome l’economia globale non è
alla portata del sistema democratico, qualunque tentativo di espandere
la democrazia per gestire l’economia rischia di accelerare il declino della
democrazia stessa. Cosa dovremmo fare allora? A quanto pare dovremmo continuare
a riconoscere un sistema politico che, stando alla spiegazione di Applebaum,
non è in grado di fare il suo lavoro. In questo momento le critiche
al capitalismo non mancano: siamo sommersi da storie di imprese che inquinano
spietatamente l’ambiente, banchieri che intascano bonus enormi mentre le
loro banche sono salvate dal denaro pubblico, fabbriche che sfruttano i
bambini per confezionare abiti destinati a negozi di lusso.
Ma c’è un tranello. Il presupposto è che la lotta contro
questi eccessi dovrebbe svolgersi nel quadro liberaldemocratico. L’obiettivo
è democratizzare il capitalismo, estendere il controllo democratico
sull’economia globale grazie alla denuncia dei mezzi d’informazione, a
inchieste parlamentari, leggi più severe, indagini di polizia eccetera.
Ciò che non si mette mai in discussione è il quadro istituzionale
dello stato democratico borghese.
Qui l’intuizione cruciale di Marx è attuale ancora oggi: la
questione della libertà non dovrebbe essere riferita solo alla sfera
politica, cioè a cose come le libere elezioni, l’indipendenza della
magistratura, la libertà di stampa o il rispetto dei diritti umani.
La vera libertà risiede nella rete “apolitica” dei rapporti sociali,
dal mercato alla famiglia, dove la trasformazione necessaria per promuovere
dei miglioramenti non è la riforma politica, ma un cambiamento nei
rapporti sociali di produzione. Noi non votiamo su chi possiede cosa o
sul rapporto tra i lavoratori in fabbrica. Queste cose sono lasciate a
processi che esulano dalla sfera del politico, ed è un’illusione
che si possa cambiarle “estendendo” la democrazia: creando, per esempio,
banche “democratiche” controllate dal popolo.
Occorre ricordare che i meccanismi democratici fanno parte di un apparato
dello stato borghese chiamato ad assicurare il regolare funzionamento della
riproduzione capitalistica. Alain Badiou aveva ragione quando sosteneva
che il nemico ultimo oggi non si chiama capitalismo, impero, sfruttamento
o cose del genere, ma democrazia: è l’“illusione democratica”, l’accettazione
dei meccanismi democratici come unico mezzo legittimo di cambiamento, a
impedire un’autentica trasformazione dei rapporti capitalistici.
Le proteste di Wall street sono appena un inizio, ma bisogna cominciare
così, con un gesto formale di rifiuto che è più importante
del suo contenuto propositivo, perché solo un gesto di questo tipo
può aprire lo spazio a un nuovo contenuto. Perciò non dovremmo
farci distrarre dalla domanda su cosa vogliamo. Questa è la domanda
che l’autorità maschile rivolge alla donna isterica: “Ti lamenti
e piagnucoli: almeno sai cosa vuoi?”. In termini psicoanalitici le proteste
sono una crisi isterica che provoca il padrone, minandone l’autorità.
E la domanda del padrone, “Ma cosa vuoi?”, nasconde il suo sottinteso:
“Rispondi nei miei termini oppure stai zitto!”.
Finora i manifestanti sono riusciti a evitare di esporsi alla critica
fatta da Lacan agli studenti del 1968: “Come rivoluzionari siete degli
isterici che vogliono un nuovo padrone. Lo troverete”.