www.globalist.it, 14 agosto 2012
Libero ha trovato il modo per sferrare un colpo basso alla magistrata
che si occupa dell'Ilva di Taranto e metterla kappa-o: l'ha definita zitella
(rossa)...
Perché è donna. Perché non si fa intervistare
e non ci sono molte immagini sue in giro. Perché lavora a testa
bassa senza dar retta a nessuno. Soprattutto, di nuovo e comunque, perché
è donna. E brava. E scomoda. Che razza di insulto sarebbe stato,
si fosse trattato di un magistrato-uomo, definirlo "scapolo"?
Invece... "La zitella rossa che licenzia 11mila operai": un titolo
che fa balzare dalla sedia. O dalla sdraio. Così "Libero" di Maurizio
Belpietro, nella foga della campagna pro-Ilva, non ha mancato l'affondo
contro la magistrata tutta-d'un-pezzo. E non avendo altre frecce all'arco,
poiché molto si parla della sua riservatezza, ha scagliato l'insulto
peggiore che un uomo crede di fare a una donna: zitella. E ancora bene
che non ha detto: zitellaccia. Ma siamo lì...
E', come spesso accade, soprattutto una questione di titoli: l'articolo,
infatti, racconta solo che è rigorosa, ha i capelli corti e rossi
e porta gli occhiali, e che "la sua carriera è cominciata al Tribunale
per i minorenni, poi si è occupata di violenze sessuali, criminalità
organizzata e corruzione".
Non entriamo qui nel caso-Taranto (anche se salute e lavoro, in una
moderna democrazia, non possono essere antitetiche: è una storia
che ci fa precipitare indietro di secoli, drammi da archeologia industriale):
registriamo però che Anna Patrizia Todisco, oltre a trovarsi al
centro di uno scontro istituzionale, si trova ora a dover fronteggiare
anche chi usa i giornali come clave, infarcendoli di stereotipi. A quando
"Donne e buoi...", "Chi dice donna...", "Donne e motori..."?