Enrico Zanette, http://storiamestre.it/2012/03/18marzo/
Il comunardo Jules Vallès scriveva ricordando le prime giornate
della Comune di Parigi: “Allons! C’est la Révolution! La voilà
donc, la minute espérée et attendue depuis la première
cruauté du père, depuis la première gifle du cuistre,
depuis le premier jour passé sans pain, depuis la première
nuit passée sans logis – voilà la revanche du collège,
de la misère, et de Décembre!”*.
Quando lessi per la prima volta queste righe rimasi molto sorpreso.
Ero abituato infatti a sentir parlare della rivoluzione come di una palingenesi
sociale, la trasformazione radicale della società sulle linee guida
di principi astratti, ideali; protagonisti erano i popoli, le masse, la
classe operaia che si muovevano per la libertà e la giustizia universale.
Pensavo che la rivoluzione, la politica, fossero sacrificio di sé
e iniziassero proprio con il mettere da parte la dimensione individuale
e privata dell’esistenza, sostituita dai problemi collettivi, della società,
del mondo, degli altri.
Vallès invece, colui che pochi anni prima aveva partecipato
alla rivoluzione comunarda, e quindi rivoluzionario di fatto, parlava di
tutt’altro. Presentava la rivoluzione come una rivincita, come un fatto
legato al suo vissuto personale. Mi era quindi sembrato uno straordinario
esempio di antiretorica applicata al tema della rivoluzione, presentata
come valorizzazione politica del vissuto individuale. La rivoluzione così
perdeva l’aura retorica che assumeva nei discorsi radicali per divenire
momento di rivincita sulle violenze, miserie, ingiustizie e sofferenze
subite. Per Vallès i protagonisti della Comune non erano quindi
riconducibili a una classe o alla bontà di qualche spirito filantropico,
ma a quella che lui definiva la Fédération des Douleurs.
Questo punto di vista sulla rivoluzione mi convinceva dell’utilità
e dell’attualità di uno studio sulla Comune e i suoi protagonisti.
Mi spiego meglio.
Quando ne parlo in questi termini vengo generalmente accolto da sguardi
di stupore, se non di ironia. Queste reazioni le riscontro anche di fronte
a quelli che fanno politica “radicale” per i quali nonostante la Comune
sia un mito rivoluzionario indiscutibile, rimane un fatto del XIX secolo.
Mi dicono “sei fermo all’Ottocento, il mondo è cambiato” e cominciano
a parlare di capitale cognitivo, moltitudine, esodo, biopolitica…
A me sembra invece che quella che Vallès chiamava la fédération
de douleurs composta dalle vittime della disoccupazione, della precarietà
del lavoro, delle diseguaglianze di genere, della disciplina scolastica
sia – con tutte le differenze storiche – un fatto sociale di oggi tanto
quanto di allora. Se la rivoluzione è rivincita sulle ingiustizie,
aspirazione alla libertà individuale di essere, fare e dire ciò
che si vuole e perseguimento della giustizia sociale nel voler instaurare
rapporti paritari di cooperazione tra gli individui, si tratta di una prerogativa
dell’Ottocento, o piuttosto di una possibilità che sta di fronte
a noi?
L’attualità della Comune consiste allora nel mostrarci come
un esempio che ciò che pensiamo, le miserie che viviamo, le aspirazioni
che abbiamo sono state vissute da altre persone. La Comune ci consegna
però anche una dolorosa verità: la semaine sanglante. La
rivoluzione iniziata il 18 marzo 1871 terminò brutalmente dopo pochi
mesi, il 28 maggio a seguito di quella che viene ricordata come la semaine
sanglante, durante la quale decine di migliaia di parigini vennero massacrati
dall’esercito francese. Questa fine terribile della Comune fu nei decenni
successivi oggetto di discussione e analisi da parte del movimento rivoluzionario
internazionale nel tentativo di trovare una soluzione all’esito sanguinario
della repressione. In Russia Lenin prima, e Stalin poi, metabolizzando
l’esperienza della Comune, si decisero per una semaine sanglante preventiva,
prima di subire un eventuale reazione controrivoluzionaria. Sappiamo oggi
che entrambe le strade sono due vicoli ciechi e che forse la soluzione
è da ricercare in quella bussola di cui scriveva qualche anno fa
Innocenzo Cervelli a proposito di un altro comunardo, Gustave Lefrançais
(su questo sito lo ha già citato Filippo Benfante). La rivoluzione
presentandosi come il nord della bussola ci indirizza nelle scelte quotidiane
adattandosi costantemente al mutamento continuo del contesto storico. Un
lavoro pertanto lento e paziente di affermazione, sostegno e conquista,
sempre e ovunque, di maggiore libertà e giustizia sociale tra gli
individui.
Detto questo, oggi godiamoci il 18 marzo, Thiers e il suo esercito
hanno lasciato Parigi, la quarta settimana di maggio è ancora lontana,
la primavera è alle porta e la Comune trionfa.
* Da L’insurgé, cap. XXIV; il romanzo uscì postumo
nel maggio 1886, Vallès era morto il 14 febbraio 1885.
“Andiamo! È la Rivoluzione! Eccolo dunque, il momento sperato
e atteso dal primo gesto crudele del padre, dal primo schiaffo del maestrino,
dal primo giorno trascorso senza pane, dalla prima notte passata senza
un tetto – ecco la rivincita del collegio, della miseria, e di Dicembre!”
(con allusione al colpo di stato di Luigi Bonaparte che instaurò
il Secondo impero abolendo la repubblica nata nel 1848).