da Missione oggi, giugno 2002
New York, 11 giugno 2002. Sono passati nove mesi dall’atte
ntato alle Torri Gemelle. Il tempo di una gravidanza.
E adesso tutto è chiaro. Purtroppo. L’11 settembre è una
data di rottura, che chiude un ciclo geopolitico (quello apertosi il 9
novembre 1989, con la caduta del Muro di Berlino) e ne apre un altro, in
cui tutti possono essere sospettati di appoggiare il terrorismo internazionale.
È un nuovo maccartismo. Il periodo 1989-2001 era stato caratterizzato
dallo sgretolarsi dell’Urss, dalla Guerra del Golfo e da due mandati del
presidente Clinton, che forse non era uno stinco di santo, ma se non altro
i suoi obiettivi erano auspicabili: combattere le dittature, tutelare i
diritti umani e stabilire degli Stati di diritto. Ovvero l’esatto contrario
di ciò che prevede l’agenda di Bush. Che si è scelto come
alleati, due dittatori: il generale Musharraf, salito alla presidenza del
Pakistan con un colpo di Stato nell’ottobre 1999 e il “presidente” dell’Uzbekistan,
Karimoff. Quanto ai diritti umani, basta vedere che cosa è successo
nella base di Guantanamo, dove sono detenuti – nemmeno con lo status di
“prigionieri di guerra” – gli uomini di Al Qaeda. In campo internazionale,
gli Stati Uniti non hanno preso, né intendono prendere, una posizione
decisa contro l’operazione militare voluta da Sharon nei Territori. E per
la prima volta, da dieci anni a questa parte, gli Usa hanno appoggiato
apertamente un colpo di Stato: contro Chavez, in Venezuela. Se ufficialmente
il messaggio è: “Ci attaccano, ci difendiamo”, a ben guardare gli
americani hanno deciso di assumere un nuovo ruolo nella globalizzazione:
da addetti alla sicurezza. Finora la globalizzazione attaccava i cittadini
su due fronti: quello economico – tramite Wto, Fmi e Banca mondiale – e
quello ideologico, dove è il neoliberismo a condurre la battaglia.
Dopo l’11 settembre, si è aggiunto però un terzo fronte:
quello militare. Chi meglio di palestratissimi marines può difendere
il sistema? La definizione stessa di “terrorismo” consente all’esercito
americano di aggiudicarsi questo ruolo. Oggi l’Afghanistan e domani chissà:
l’Iraq? Nessun paese è escluso, ora che la guerra viene fatta contro
un concetto, appunto il terrorismo. E non contro una nazione, un governo.
A nove mesi di distanza dall’11 settembre, è tuttavia evidente che
la gravità degli attentati ha fornito agli Stati Uniti una “giustificazione
morale” per praticare questa politica. E l’Amministrazione Bush ha colto
quest’occasione al volo. Ma la volontà c’era già. Tutti gli
uomini (e le donne) del presidente erano già sulla plancia di comando.
Condoleeza Rice, compresa