di Maria Turchetto, "Il Vernacoliere", dicembre 2003
Gianni Vattimo è professore di filosofia teoretica all'Università
di Torino. Non si limita a insegnare filosofia, la produce in proprio -
anzi, "è tra i più noti filosofi italiani", come si legge
nel risvolto di copertina di questo libro. Vero: è il famoso inventore
del pensiero debole, ossia della teoria secondo cui "nella Babele del pluralismo
tardo moderno e della fine delle metanarrazioni si moltiplicano i racconti
senza centro e senza gerarchia" (p. 20). Non fatevi intimidire dal linguaggio
paludato (i filosofi sono parolai tremendi): significa semplicemente tutto
fa brodo. Ognuno dice la sua e amici come prima. Svagellamento libero.
Sul piano teoretico è una posizione coraggiosa, difficile da
sostenere in quanto priva di senso. Direi che è anche difficile
da praticare sul piano professionale: cosa chiederà Vattimo agli
studenti che esamina? "Dica una cazzata qualsiasi, con parole sue". Fatto
sta che Vattimo ha cambiato mestiere ed è diventato europarlamentare.
Questo spiega alcune significative evoluzioni del suo (continuiamo a chiamarlo
così) pensiero.
Fare l'europarlamentare è una pacchia: non si fa un tubo e si
becca un sacco di soldi. Il Parlamento europeo non conta nulla, i giornali
ci ricordano che esiste una volta ogni cinque anni, quando ci sono le elezioni
europee, poi nessuno ne parla più. Per questo vengono candidati
personaggi stravaganti e sostanzialmente "ornamentali": stilisti, attori,
o filosofi come il nostro Vattimo. Il quale, nello svolgimento della dorata
sinecura, si è evidentemente impigrito. Da debole, il suo pensiero
è diventato debolissimo, addirittura molle. E dolce, per di più:
"amicizia, amore, devozione, pietas" (p. 12) - non più semplicemente
tolleranza, come nelle prime opere - sono le nuove parole d'ordine della
filosofia vattimiana. Non è più un pensiero, è un
budino. State a sentire: "Dio è morto, scrive Nietzsche, perché
i suoi fedeli [...] alla fine hanno scoperto che Dio stesso è una
bugia superflua. Ma questo, alla luce della nostra esperienza postmoderna,
vuol dire: [...] per ciò stesso è di nuovo possibile credere
in Dio" (p. 9). Non c'è nesso logico, direte voi. Certo che non
c'è nesso logico, è pensiero debole, lo avete dimenticato?
E proprio qui sta il punto: se non ci sono nessi logici, non si può
pensare; e se non si può pensare, cosa si può fare? semplice,
si può credere, come ci hanno sempre suggerito i preti, o ancora
più debolmente si può "credere di credere" (p. 5), come suggerisce
Vattimo che, essendo un filosofo, ama giocare con le parole.
Ma credere in che cosa? Ahimé, qui il filosofo cede il posto
all'europarlamentare: un europarlamentare che probabilmente dovrà
pronunciarsi sulla bozza della Costituzione europea e a cui probabilmente
è stato chiesto di non incaponirsi troppo sulla laicità,
di fare al Vaticano quel piacerino, di ricordare le "radici ebraico-cristiane"
dell'Europa. E allora ecco qua: la società è multietnica,
"le culture altre che hanno preso la parola nelle società occidentali
hanno portato con sé anche le loro teologie e le loro credenze religiose"
(p. 21), dunque le religioni sono tante, ma quando si tratta di credere
non è più vero che tutto fa brodo: il vero buon brodo (come
diceva un vecchio Carosello) è quello ebraico-cristiano, meglio
cristiano ("la cristianità ossia l'Europa", come dice Novalis, p.
75), meglio ancora cattolico (perché, come dice ancora Novalis,
la rigidità della lettera della Bibbia introdotta da Lutero "annulla
la sensibilità religiosa", cfr. p. 37, cioè limita il libero
svagellamento cui Vattimo pur sempre tiene). Contento, signor papa?
E si può fare ancora di meglio, per confondere i sostenitori
della laicità: "lo spazio laico in cui la religione ha cessato di
essere conflittuale si è realizzato nell'Occidente moderno entro
un più ampio [...] spazio religioso di origine cristiana, o ebraico-cristiana",
cioè, in parole povere, la laicità europea è cristiana
- diciamolo pure, tanto il principio di non contraddizione non è
mica operativo nel sistema del pensiero molle. Del resto i politici ci
hanno ben abituati a chiamare "operazioni di pace" le azioni di guerra,
volete che un filosofo come Vattimo sia da meno? Forza! La guerra è
pace! La schiavitù è libertà! La laicità è
confessionale! Il cristianesimo non è religioso! Bravo, questa è
la filosofia che va bene per la politica! Trasformismo! Voltagabbana! Nonsenso
allo stato puro! Cosa aspettano a rinnovargli il mandato?
Macché. Sembra invece che i Democratici di Sinistra - "un partito
pre-stalinista o paleo-centralista", come lo definisce Vattimo sull'Unità
del 26/11/2003, dunque poco sensibile al fascino del postmodernismo spinto
- vogliano mandarlo a casa. Apriti cielo, Vattimo l'ha presa proprio male.
Urli e berci, altro che "amicizia, amore, devozione, pietas". Insulti alla
povera Mercedes Bresso, sua probabile sostituta al seggio europeo, altro
che carità cristiana. Scomposte esibizioni di narcisismo, altro
che le lezioni di umiltà di Gioacchino da Fiore (cfr. p. 29 e ss.).
Insomma, il pensiero sarà anche debole, ma la faccia è di
bronzo, e il culo ben attaccato alla poltrona, con la colla forte.