di Marco Travaglio, "l'Unità", 4 agosto 2005
Il 2 agosto di ogni anno, puntuale come i temporali di mezza estate,
una «disinvolta congrega» di «maleducati», «faziosi»,
«ineducati», «qualunquisti» affetti da «infantilismo
e primitivismo ideologico» si dà convegno a Bologna con la
scusa di ricordare la strage del 1980, ma in realtà con il preciso
scopo di guastare le vacanze a Ernesto Galli della Loggia.
Il noto pensatore sottovuotospinto ha pazientato per ben 25 anni. Ora
ha deciso di dire basta, sulla prima pagina del Corriere della Sera, con
un vibrante attacco alla «disinvolta congrega formata da familiari
delle vittime, giornalisti “democratici”, magistrati e politici alla ricerca
di consensi». La piantino, i farabutti, con l’«ossessiva evocazione
degli “ispiratori e mandanti”». La finiscano col «rito dell’invettiva»
e con gli «immancabili fischi ai rappresentanti del governo».
Non disturbino il manovratore e lascino riposare il pensatore, sennò
diventa nervoso e ce lo rimane per tutto l’anno. Perché «a
un certo punto il passato va accolto nella memoria per ciò che è
stato, con tutte le sue oscurità, ambiguità, contraddizioni».
Insomma, «il passato deve passare». Hanno avuto mogli, figli
e genitori scannati da quella bomba fascista? Se ne facciano una ragione
e l’accolgano nella memoria con tutte le sue oscurità, ambiguità
e contraddizioni. Che ci vorrà mai? Invece schiamazzano sotto la
Loggia del Galli, gli infantili faziosi. «Si credono esenti da ogni
responsabilità per i mali del Paese». Rifiutano di farsi «l’esame
di coscienza», per sé e per i loro morti, che vi si sono appositamente
sottratti 25 anni fa. Già.
Che ci facevano quegli 85 scioperati tutti insieme alla stazione di
Bologna il 2 agosto 1980? Potevano starsene a casa. Potevano dividersi
fra le stazioni di Cesenatico, Terontola e Casalecchio. Invece no, tutti
assembrati alla stazione di Bologna alla stessa ora, gli ineducati qualunquisti:
e poi a una Mambro e a un Fioravanti non devono prudere le mani. Per lo
tsunami son morte ben più di 84 persone, ma in Indonesia non staranno
certo a menarla fino al 2029. «Il passato deve passare», quindi
per favore dall’anno prossimo aboliamo questa seccante cerimonia del 2
agosto. O facciamo come con Tangentopoli: lasciamo che siano i colpevoli
a riscrivere la storia. Una bella orazione di Mambro & Fioravanti e
non se ne parli più. O magari del senatore Cossiga, che ci illustrerà
la pista islamica spuntata fuori l’altro giorno.
Lasciando Galli Della Loggia e passando alle cose serie, resta la questione
dei fischi. Nello speciale galateo tracciato dal regime col filo spinato
per delimitare ciò che possiamo fare e ciò che non possiamo
fare, il fischio a ministri, sottosegretari, portaborse e affini è
severamente proibito. Finora in nessuna democrazia nessuna legge, penale
o morale, aveva mai vietato le contestazioni. Che, anzi, sono la regola
a teatro, all’opera, ai concerti, allo stadio, in qualunque pubblica manifestazione
artistica, sportiva e ludica. Un tempo anzi, quando il politically correct
ancora non ammorbava la vita civile, dai loggioni partivano robusti lanci
di ortaggi e di materiali organici. Poi ci si limitò a manifestare
il proprio disappunto fischiando. Ma non è raro, in Paesi civilissimi
come quelli anglosassoni e scandinavi, assistere a lanci di torte contro
presidenti e ministri. Nel grande Truman Show berlusconiano, invece, si
può scendere in piazza solo per applaudire. Vietato fischiare. Ma
non a tutti: solo a chi contesta il regime. Nel qual caso i fischi diventano
«odio», «violenza», «demonizzazione»,
anticamera del terrorismo. Se invece i fischi sono contro gli avversari
del regime, tornano a essere quel che sono in ogni Paese serio: un effetto
collaterale, sgradevole ma sacrosanto, della democrazia.
Nella campagna elettorale del ’96, in due assemblee della Confcommercio,
Prodi si confrontò con Berlusconi e fu sonoramente fischiato. Entusiasmo
della stampa e delle tv berlusconiane, nessuno che parlasse di odio. Nel
2002 Giuliano Ferrara invitò i suoi lettori a recarsi al Festival
di Sanremo non per fischiare, ma addirittura per «lanciare uova marce»
contro Roberto Benigni. Appello caduto ovviamente nel vuoto per mancanza
di lettori (ma Benigni, da allora, non è più lo stesso).
L’altro giorno, sempre sul Foglio, Antonio Socci invitava i ciellini a
fischiare Gianfranco Fini al prossimo Meeting di Rimini, così impara
a votare No al referendum. Nessuno, giustamente, ha parlato di odio. Le
cronache parlamentari riportano ogni giorno scambi di insulti, quando non
di calci e di pugni, fra gli eletti dal popolo. Teodoro Buontempo invita
i camerati a «sodomizzare Casini, non in senso metaforico».
Carlo Giovanardi tappezza l’Emilia di manifesti che paragonano a Hitler
gli avversari della legge sulla fecondazione. Berlusconi e Fini, dopo aver
esposto l’Italia al rischio di attentati inviando truppe di occupazione
in Iraq, accusano Prodi di esporre l’Italia al rischio di attentati per
aver chiamato occupanti gli occupanti. Bossi parla di fucilate e mitragliate
da mane a sera, prima e dopo i pasti. Il ministro Calderoli guida cortei
con bare per seppellirvi i giudici Papalia e Forleo. Berlusconi insulta
da dieci anni i magistrati con ogni sorta di calunnie e accusa l’opposizione
di voler seminare «terrore e morte» una volta vinte le elezioni.
Taormina va al tribunale di Milano e domanda: «Il giudice Carfì
non è ancora morto? Lo odio». Poi, al primo fischio che si
leva in lontananza da una piazza, questi raffinati stilnovisti arrotondano
la bocca a cul di gallina e fanno gli schizzinosi. «Aiuto, ci odiano,
attentato!». E chiamano la pula.
Il rito dell’«unanime condanna ai fischi» è talmente
ridicolo che non vi abboccherebbe nemmeno un lontano parente di Giovanardi.
Invece abboccano quasi tutti, da destra a sinistra, perché l’impostura
è diventata pensiero unico, ripetuta 24 ore su 24 a reti ed edicole
unificate. «Non si fischiano i ministri». Per smontarla basterebbe
un bimbo che si levasse dal coro per domandare: «E chi l’ha detto?
Perché mai non si può fischiare?». Qualcuno dirà:
chi fischia «fa il loro gioco», «cade nella trappola»
di chi non aspetta altro per scatenare la canea. E chi se ne importa. Tanto,
avendo in tasca tutta l’informazione che conta, la canea la scatenano anche
se non succede niente. Il rubinetto dello scandalo e dello sdegno l’hanno
in mano loro. Lo aprono e lo chiudono a piacimento. Perché mai,
allora, cedere al ricatto e rinunciare via via ai nostri elementari diritti
civili? Per scansare qualche calunnia che tanto arriva comunque?
Due anni fa, a commemorare la strage, il regime mandò il ministro
Lunardi, quello che «con la mafia bisogna convivere». Nel suo
discorso agli attoniti bolognesi, sottolineò i danni che la bomba
del 1980 aveva causato al materiale rotabile: un incidente ferroviario,
ecco. Fu sacrosantamente fischiato, il minimo che si potesse fare. Unanime
sdegno del mondo politico. Non per le parole di Lunardi, ma per quei fischi
così inurbani. Quest’anno han mandato Tremonti, che andrebbe fischiato
solo per la faccia che porta. Ai primi fischi, The Genius ha ironizzato
con quella boccuccia da uova fresche: «Bella piazza». E giù
altre bordate, liberatorie, sacrosante. Onestamente: che altro si può
fare, di nonviolento, quando si ha di fronte un Tremonti, se non fischiare?
Naturalmente i fischi non erano soltanto per lui e la sua boccuccia. Ma
anche per il governo del tesserato 1816 della loggia P2 (il cui gran maestro,
insieme ad altri confratelli, fu condannato per i depistaggi della strage).
E per una maggioranza piena di vecchi camerati e nuovi difensori di Mambro
& Fioravanti, oltre ad alcuni vecchi amici di Cosa Nostra, l’altra
organizzazione terroristica che ha insanguinato l’Italia a suon di stragi
(quel Casini che ora parla di «macabro rituale dei fischi»
è lo stesso che telefonò macabramente la sua «amicizia
e stima» a Dell’Utri alla vigilia della condanna per mafia).
Una maggioranza che ha abolito la commissione Stragi, che fa la guerra
alla giustizia e all’antimafia, che si ostina a coprire col segreto di
Stato qualcosa che noi non conosciamo, ma che lorsignori devono conoscere
benissimo. Ora, che deve mai fare un cittadino comune che vuole semplicemente
la verità sui mandanti occulti di quella strage e di tutte le altre?
È giusto criticare i fischi. Perché fischiare è troppo
poco.