Marco Travaglio, "Il Fatto Quotidiano", 21 marzo 2012
Ma davvero il presidente della Repubblica ha il potere di intimare alle
parti sociali di rinunciare a “qualsiasi interesse o calcolo particolare”,
cioè di non rappresentare più le categorie che dovrebbero
rappresentare, per inchinarsi alla cosiddetta riforma dell’articolo 18
unilateralmente imposta dal governo del prof. Monti e della sig.ra Fornero
con l’inedita formula del “prendere o prendere”? Ma dove sta scritto che
quella cosiddetta riforma è buona? Ma chi l’ha stabilito che risolverà
“i problemi del mondo del lavoro e dei nostri giovani”? Ma chi l’ha detto
che “sarebbe grave la mancanza di un accordo con le parti sociali”? Ma,
se “sarebbe grave la mancanza di un accordo”, perché il capo dello
Stato non dice al governo di ritirare la sua proposta che non trova l’accordo
delle parti sociali, anziché dire alle parti sociali di appecoronarsi
alla proposta del governo in nome di un accordo purchessia? E che c’entra
la commemorazione del prof. Biagi con l’art. 18? Non si era detto che la
flessibilità avrebbe moltiplicato i posti di lavoro? Ora che ha
sortito l’effetto opposto, anziché ridurla, si vuole aumentarla?
E perché mai un lavoratore licenziato senza giusta causa dovrebbe
rinunciare ad appellarsi al giudice perché valuti la discriminatorietà
del suo licenziamento? E poi: perché mai sarebbe così urgente
cambiare l’articolo 18, che riguarda l’1% dei licenziamenti? E che senso
ha rispondere, come fa la sig.ra Fornero, che così si tutelano i
lavoratori non tutelati? Per tutelare i non tutelati si tolgono le tutele
ai tutelati cosicché nessuno sia più tutelato? E siamo sicuri
che, in un paese dove è facilissimo uscire dal mondo del lavoro
e difficilissimo entrarvi, la soluzione sia rendere ancor più facile
uscirne? E chi l’ha stabilito che la trattativa deve chiudersi il 22 marzo,
non un giorno di più? E che libera trattativa è quella in
cui il capo dello Stato getta la sua spada su uno dei piatti della bilancia,
quello del governo, per farlo prevalere sull’altro? E che senso ha la frase
della sig.ra Fornero: “Non si può discutere all’infinito, indietro
non si torna”? Infinito in che senso, dopo un solo mese di negoziati? Indietro
rispetto a cosa? E il Parlamento? Esiste ancora un Parlamento libero di
approvare o bocciare le proposte del governo, o è stato abolito
a nostra insaputa? E perché mai il Parlamento ha potuto svuotare
a suon di emendamenti il decreto liberalizzazioni, snaturarne un altro
con l’emendamento Pini contro i magistrati, mentre l’abolizione dell’art.
18 sarebbe sacra e inviolabile? È per caso un dogma di fede? Siamo
proprio sicuri che l’insistenza del governo e del Quirinale sull’art. 18
risponda a motivazioni economiche e non al progetto tutto politico di isolare
le voci stonate dal pensiero unico, tipo Fiom, Idv, Sel e movimenti della
società civile e di cementare l’inciucio Pdl-Pd-Terzo Polo? Se il
governo gode nei sondaggi della fiducia del 60% degli italiani e tutti
se ne felicitano, perché ignorare il fatto che lo stesso 60% degli
italiani è contro qualunque “riforma” dell’art. 18? È proprio
ininfluente la maggioranza degl’italiani sulla scelta di un governo che
nessuno ha eletto, anzi di cui nessuno, alle ultime elezioni, sospettava
la nascita? E perché mai gli unici che devono rinunciare a rivendicare
i propri diritti sono i lavoratori e i pensionati, mentre la patrimoniale
non si fa perché B. non vuole e le frequenze tv non si vendono all’asta
perché B. non vuole? Il Quirinale smentisce l’indiscrezione apparsa
ieri sul Foglio, secondo cui Bersani sarebbe “sempre più insofferente
per l’interventismo del capo dello Stato” che “lo riprende e lo bacchetta”
non appena “tenta di smarcarsi dal governo o dagli alleati” (nel senso
di Casini e Alfano) “su Rai e giustizia”, per “ripor tare all’ovile il
Pd” in nome della “stabilità del governo”? Ma, se il Parlamento
deve ratificare senza batter ciglio i decreti del governo e i partiti e
le parti sociali devono prendere ordini dal Colle e dal governo sottostante,
siamo proprio sicuri di vivere ancora in una democrazia parlamentare?
E in una democrazia?