Barbara Spinelli, "La Stampa", 30 aprile 2006
Se nella campagna elettorale si fosse parlato dell'essenziale - della
legalita' tenuta in spregio da anni, del conflitto d'interessi, della legge
che in Italia non ha piu' maesta' - forse non ci sarebbe stato il caos
che abbiamo visto l'altra notte quando si e' trattato di nominare il presidente
del Senato. Non ci sarebbe stato questo nuovo manifestarsi d'un tumore
che affligge gran parte della classe politica, che non accenna a mitigarsi
nonostante la sconfitta di Berlusconi, e che puo' esser riassunto nelle
seguenti malformazioni: il prevalere dell'interesse particolare o personale
su quello collettivo, il primato dell'emozione vendicativa sulla valutazione
razionale dell'utile per l'Italia, la sistematica preferenza data alla
divisione, al disfacimento di quel che si potrebbe fare, al ricatto, al
voto di scambio, all'avvertimento che promette e non promette, insinua
e impaura.
Adesso Marini e' stato eletto presidente e Prodi ha l'inconfutabile
diritto a governare con il sostegno di ambedue le camere, ma i miasmi delle
ultime ore converra' tenerseli accanto come ammonimenti, per capire quel
che sta davanti al futuro governo e agli italiani. In particolare converra'
avere accanto il ricordo di come Andreotti, candidandosi, ha contribuito
a tale inquinamento. A partire dal momento in cui su suggerimento di Berlusconi
e' sceso in campo per contrastare la candidatura di Marini, a partire dal
momento in cui s'e' ostinato a restare in gara pur essendosi accorto che
l'imparziale spirito d'unita' che pretendeva incarnare era una menzogna,
si poteva infatti prevedere la massima confusione. Diabolus, che vuol dire
divisore, e' lo spirito maligno che imprigiona l'Italia politica e non
stupisce che questo sia il nome attribuito al senatore: Belzebu'. Se nella
campagna elettorale si fosse parlato di legalita' da restaurare non ci
sarebbe stato spazio per un rientro di Andreotti all'insegna di questo
epiteto, e per quel che s'e' accompagnato a tale rientro: i voti sbagliati
per Marini denominati pizzini, il vocabolario della mafia che entra in
Parlamento e l'infanga, le parole eversive dette dall'ex maggioranza contro
Scalfaro.
Quest'ultima avventura di Andreotti resta come una ferita, uno sgarro.
Una ferita che oscura le non poche sue condotte benefiche, e anche integre:
la battaglia per l'Europa, la scelta di difendersi nei processi e non contro
i processi. Ha detto il senatore che voleva apparire come uomo sopra le
parti, un tipico esponente del centro che rifiuta l'aspro conflitto bipolare:
ma come tale non si e' comportato, seminando piuttosto divisione. La nozione
stessa di centrismo esce devastata dall'esperienza, perche' ancora una
volta ad affiorare e' stato l'estremismo del centro, che si dilania sulle
persone avendo perso cognizione del conflitto di idee. Da questo punto
di vista e' piu' super partes Bertinotti, che alla Camera non ha esitato
a dire: "Sono un uomo di parte che per questo motivo, pero', non teme il
conflitto. (...) Ma non bisogna lasciar scivolare la politica nella coppia
amico-nemico".
Altri dicono piu' verosimilmente che Andreotti voleva levarsi un sassolino
dalla scarpa (nel frattempo se n'e' tolti tanti, troppi: fin da quando
si auguro', nell'agosto 2005: "Meglio sarebbe che Violante e Caselli non
fossero mai esistiti". O quando equiparo' il proprio processo al calvario
di Gesu'), e ha fallito prestandosi a un'impresa disgregante anziche' unitaria.
Quest'idea di adoperare la politica per levarsi sassolini, strappar poltrone,
e' un'usanza che rischia di fare tanti piu' proseliti, quanto piu' viene
considerata normale. Quando Andreotti sostiene che il potere logora chi
non ce l'ha, e' a quest'usanza che sembra pensare. E' la convinzione che
il politico sia autentico solo se e' costantemente ai comandi e non, come
in Plutarco, "governante per breve tempo, e governato per tutta la vita".
Una convinzione non fugata dalla vittoria di Prodi. E' l'usanza di chi
nella politica vede un mezzo per propri calcoli o rivincite e neppure sa
cosa sia, dare uno scopo a se' e anche alla polis. Il sassolino di cui
Andreotti voleva disfarsi e' un macigno, ed e' gravissimo che nessuno glielo
abbia fatto capire, a cominciare dalle gerarchie ecclesiastiche. La giustizia
lo ha assolto solo in apparenza, perche' nella motivazione della sentenza
la sua contiguita' con la mafia fino all'80 e' attestata: se non ha pagato
per questo reato e' perche' esso fu prescritto, non perche' non fu commesso.
I giudici d'appello hanno emesso a Palermo una chiara sentenza nel 2003,
resa definitiva dalla Cassazione nel 2004, quando hanno evocato: "un'autentica,
stabile e amichevole disponibilita' dell'imputato verso i mafiosi" fino
alla "primavera del 1980". Se la legalita' italiana non fosse da tempo
e in misura crescente qualcosa di opinabile, Andreotti non avrebbe potuto
osare esporsi cosi', e offrire un pessimo esempio ai politici dei due campi.
Da questa patologia il centrosinistra dovra' prima o poi ripartire,
perche' essa permette il continuo riemergere di personaggi che con la legalita'
hanno rapporti distorti: personaggi che Sylos Labini chiama i neomachiavellici,
presenti a destra come a sinistra e sempre pronti non a distinguere la
politica dalla morale, ma a contrapporre l'una all'altra (Sylos Labini,
Ahi serva Italia). La caratteristica di simili personalita' e' l'indifferenza
all'etica pubblica, la disinvoltura con cui minacciano slealta', mercanteggiano
lealta', usano parlare di gioco politico per dissolvere nella levita' dei
vocabolari infantili la distruttivita'. Sono chiamati spesso simpatici
per il modo in cui esibiscono la spregiudicatezza come un pennacchio (lo
osservava con acutezza Thomas Mann, poco dopo l'ascesa di Mussolini, nel
racconto Mario e il Mago: "Quello strano tipo di uomo, che gli italiani
chiamano simpatico, confonde singolarmente il giudizio morale con quello
estetico"). Altri attributi estetizzanti si sono
nel frattempo aggiunti: geniale, coraggioso, intelligente, addirittura
intelligentissimo. L'imperturbabilita' nelle tempeste e' scambiata automaticamente
col coraggio, il cinismo e' preso per acume: qui fiorisce spesso l'estremismo
del centro.
La morale, con tutti questi attributi, non ha rapporto alcuno. La morale
del geniale e' quella tartufesca di chi ininterrottamente chiede un qualche
risarcimento per i sacrifici fatti, una compensazione per la lealta' che
in politica si dovrebbe dare gratuitamente. Andreotti abilitato a togliersi
sassolini diventa modello, anche se sconfitto: ognuno ritiene di poter
rivendicare un indennizzo sotto forma di promozione, in cambio della propria
fedelta'. Nel dizionario Battaglia il risarcimento e' "la riparazione di
danni causati ingiustamente, l'ottenere soddisfazione a seguito di un danno
morale, un'offesa, un'ingiustizia". Tutto a questo punto puo' divenire
illecita offesa, danno morale: perdere la maggioranza nel voto, subire
indagini, processi: tutti - da Berlusconi a Andreotti - devono esser pacificati
con risarcimenti.
Se cosi' stanno le cose, son soprattutto le parole ad ammalarsi e a
dover esser ripulite. Questa non e' la seconda repubblica di cui si parla,
ne' stiamo entrando nella terza. Siamo tuttora immersi nelle escrescenze
della prima, che l'hanno appestata. Stiamo tuttora cercando il gancio che
ci riconnetta con l'Italia quando fu davvero coraggiosa: nel Risorgimento,
nella Resistenza, nel dopoguerra. Certo siamo in emergenza, e ogni emergenza
richiede larghe intese per fronteggiare ingovernabilita' e maggioranze
esigue. Ma larghe intese su cosa precisamente, su quali requisiti personali,
pubblici? Se il terreno comune non ha come base la maesta' della legge
e la moralita' da restaurare, le larghe intese sono un complice patto che
perpetua il fango e rende grotteschi i paragoni con la grande coalizione
tedesca. Se non si cerca un altro tipo d'accordo, l'insolente distruttivita'
delle ultime ore si ripetera' per l'elezione del Capo dello Stato, e vorra'
dire che dalle notti di aprile si e' appreso poco. Il centrosinistra potrebbe
forse proporre queste intese all'opposizione: su legalita', etica pubblica,
imparzialita' vera delle nomine. Se Berlusconi e alleati dissentiranno,
vorra' dire che ben altro vogliono: non intese ma cosiddetti inciuci. Un
vocabolo che dissolve ogni cosa - civile coerenza, divisione tra destra
e sinistra - nei miasmi del pateracchio, del pettegolezzo e dell'intrigo.
Per Andreotti questi non sono stati giorni di riscatto, proprio perche'
da essi si era aspettato non gia' giustizia ma risarcimento. Questi sono
stati giorni in cui la terribile profezia di Aldo Moro, pronunciata in
una lettera dalla prigionia brigatista ("Lei uscira' dalla Storia e passera'
alla triste cronaca che le si addice"), si e' in parte avverata e non e'
stata contraddetta da una vera conoscenza di se', oltre che delle proprie
responsabilita'.