di Peppe Sini e Tomas Stockmann, "La nonviolenza in cammino", n. 380, 9 ottobre 2002
Un cosi' lungo titolo e' indice di un'angoscia, osservo' uno che passava di la'. E diceva bene. Anche l'organizzazione formale di questo articolo ha funzione di difesa dello sguardo dinanzi a una materia incandescente. Si vede. Lo diciamo.
* Primo: Andante con moto
Troviamo necessario condannare la politica di Sharon. Ma vogliamo farlo
con le parole luminose di Primo Levi, non con l'iconografia infame de "La
difesa della razza".
Troviamo necessario sostenere il popolo palestinese, ma vogliamo farlo
sulle posizioni di Ali Rashid o di Edward Said, non del fondamentalismo
terrorista.
Troviamo necessario contrastare la destra razzista al potere (in Israele,
come in Italia), ma vogliamo farlo senza dire idiozie e senza commettere
orrori.
Troviamo necessario il rispetto di tutte le opinioni, tranne quelle
opinioni che negano ad altri esseri umani il diritto di esistere.
Troviamo che il modo migliore di aiutare gli esseri umani che sbagliano
e' di denunciare e combattere i loro errori.
E questo per cominciare.
* Secondo: Minuetto
Che la destra italiana al potere sia connotata dal razzismo e' un dato
di fatto.
La legge Bossi-Fini e' solo l'ultimo atto di un'azione ideologica e
pratica che per alcuni partiti al potere e' addirittura costitutiva (il
fenomeno leghista), per altri e' identita' di lungo periodo e profonda
(pochi ricordano che il basamento della fiamma del simbolo dell'Msi - che
ancora fa bella mostra nel simbolo di An - rappresentava per convinzione
comune dei fascisti che in quel partito si riunirono la tomba di Mussolini
da cui scaturisce la fiamma dell'identita' nazionale), per altri ancora
e' richiamo a quanto vi e' di peggio nella tradizione di potere cattolica
(quella parte peggiore contro di cui anche tanti cattolici si sono battuti,
e tra essi primo e principe l'indimenticabile papa Giovanni XXIII), ed
infine per il partito del presidente dubbio non v'e' che chi aderisce a
un movimento fondato sul "fuhrerprinzip", un residuo di ideologia propria
dei movimenti autoritari indagati da Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo
e' pressoche' di prammatica (quali fantasmi si agitano nell'inconscio individuale
e collettivo di quanti ritengono che il loro scopo nella vita sia l'identificazione
con l'attuale capo del governo? Misteri della psiche umana, e come diceva
Thomas Mann: profondo e' il pozzo dell'animo umano).
E non v'e' dubbio che la destra razzista al governo va contrastata
nel modo piu' limpido ed intransigente, per difendere i dirtti umani di
tutti gli esseri umani, per difendere la democrazia e la civile convivenza.
Ma qui e' della sinistra italiana che vogliamo dire, e di noi stessi
in quanto in questo schieramento ci collochiamo.
Dobbiamo avere da qualche parte una vecchia lettera di Livia Turco,
all'epoca ministro, che rispondeva all'incirca a una nostra in cui se la
memoria non ci inganna le chiedevamo conto di cio' che il governo di cui
era membro aveva fatto e non fatto in relazione alla sorte degli esseri
umani che in fuga dalla fame e dalla morte arrivavano in Italia. Livia
Turco e' persona d'onore. Ma quella legge che porta anche il suo nome (la
cosiddetta "Turco-Napolitano"), ha riaperto i campi di concentramento in
Italia.
Se la condizione fatta ai fratelli e alle sorelle immigrate e' oggi
cosi' turpe, tale che noi - che pur abbiamo cercato nella poverta' dei
nostri mezzi e nella pochezza delle nostre persone di fare qualcosa - proviamo
vergogna di noi stessi in quanto cittadini di questo paese che imbarbarisce,
ebbene, e' anche perche' le rappresentanze politiche della sinistra italiana,
quando erano al governo, hanno ceduto al razzismo. Certo, una parte della
sinistra: un'altra - pensiamo al movimento anarchico in primo luogo, a
istituzioni e movimenti d'ispirazione religiosa, ed a tante esperienze
di solidarieta' capillarmente diffuse ancorche' prepolitiche o di una politica
con molti aspetti purtroppo ambigui - non ha ceduto, e li ammiriamo per
questo e li sentiamo piu' vicini al nostro cuore.
Son cose tristi, ma dobbiamo pur dircele.
Ma e' di altro che qui vogliamo dire.
* Terzo: Farandola
Crediamo che non aiutino il popolo palestinese quanti pensando di esprimere
ad esso solidarieta' si abbandonano a ragionamenti, atteggiamenti e gesti
di effettuale antisemitismo che quanto piu' sono inconsapevoli, tanto piu'
sono gravi e inquietanti.
Lo diciamo con strazio: nel corso della nostra vita abbiamo conosciuto
amici palestinesi, militanti politici della Resistenza palestinese, che
annoveriamo tra le persone che ammiriamo di piu' e per la cui sorte trepidiamo
e la cui parola conta per noi come e' giusto che conti la parola dei buoni
e dei saggi. Non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che il popolo palestinese
avesse ed abbia diritto a un paese in cui vivere libero e solidale.
Ma non abbiamo mai ammesso la falsificazione delle vicende storiche
che per comodita' di propaganda certi personaggi nostrani compiono credendo
di aiutare di piu' la causa palestinese con qualche penosa menzogna, ed
invece danneggiandola molto.
E sarebbe interessante ricostruire la storia delle posizioni che le
sinistre di palazzo e quelle di piazza hanno avuto nel corso dei decenni
sulla situazione mediorientale per scoprirne, ahinoi, delle belle. Sono
cose che chi ha la nostra eta' ricorda, ma che un po' tutti fanno finta
di non ricordare, col risultato che i piu' giovani che oggi si affacciano
all'impegno politico ricevono idee false e crescono in un brodo di coltura
che agevola il ritorno dell'antisemitismo come tratto ricorrente in diversi
movimenti sociali radicali europei.
Il popolo palestinese merita la nostra solidarieta' piu' profonda e
nitida. La sua sorte e' figura della nostra, di quella dell'intera umanita'.
In questo senso cosi' come Dietrich Bonhoeffer seppe dire che chi non aiutava
il popolo ebraico perseguitato dal nazismo non aveva diritto di cantare
il gregoriano, noi dobbiamo dire che chi non aiuta il popolo palestinese
non ha diritto di chiamarsi amico della nonviolenza.
Si', Il popolo palestinese merita la nostra solidarieta' piu' profonda
e nitida. Invece certi sedicenti amici del popolo palestinese non meritano
rispetto alcuno.
E vanno smascherati. E dobbiamo smascherarli noi, e non permettere
che le loro sconcezze diventino arma nelle mani delle destre razziste come
quella oggi al potere nei palazzi della politica e della comunicazione
in Italia (in tutti: noi non siamo di quelli che pensano che la democrazia
consista nel difendere sempre e solo i boiardi entrati alla Rai con le
lottizzazioni pregresse).
Certi slogan, striscioni, vignette, che riciclano il piu' infame armamentario
dell'antisemitismo europeo, e che fanno disgustosa mostra di se' in tante
manifestazioni odierne, ebbene, rivelano quanto persistente e pervasiva
sia la tradizione dell'antsemitismo nel continente in cui e' avvenuta la
Shoah. E il fatto che chi quegli slogan esibisce e propala non se ne accorga,
ebbene, rivela la profondita' - diremmo: la radicalita' - di questa inquietante
presenza all'interno di esperienze, culture e ragionamenti che pure a livello
conscio sono del tutto nemiche dell'hitlerismo, ma forse non abbastanza
della bimillenaria tradizione di pregiudizio e persecuzione antiebraica
in Europa.
E qui le ideologie islamiste non c'entrano un bel niente: e' l'antisemitismo
(per usare questa definizione - che sappiamo imprecisa e inadeguata - per
descrivere la persecuzione antiebraica) europeo: romano prima, cristiano
poi, quindi scientista e reazionario, ed infine nazista; l'antisemitismo
europeo contro cui la lotta e' ancora aperta, e nessuno puo' illudersi
che sia un rudere di un immondo passato che non potra' tornare mai piu'.
Sentire un segretario di partito (di un partito che ha anche meriti
grandi e militanti valorosi) che in una massima assise della sua organizzazione
urla orwellianamente all'incirca "noi siamo ebrei, noi siamo palestinesi,
noi siamo questo e quello" (e "noi", naturalmente, e' il Partito, che si
pretende totalita' e nega cosi' la concreta esistenza delle diversita'
e il loro diritto a persistere come tali) significa l'esposizione di un
totalitarismo mentale che pretende di tutto divorare ed a tutto sostituirsi,
negando l'identita' altrui nella pretesa di partecipare di tutto, di tutto
sussumere a se', di rappresentare tutto, anzi di "essere" tutto, cosi'
facendo la stessa operazione di chi pensava di essere la classe, la storia,
eccetera, ed usava i gulag per chi non si sentiva rappresentato dal partito
che e' tutto e ne stava al di fuori (ed in effetti secondo questo ragionamento
se il partito e' tutto e tutti, chi e' al di fuori non esiste: ergo i gulag).
Una cosa e' il motto "siamo tutti ebrei polacchi" detto dai giovani
piu' generosi in solidarieta' con una persona perseguitata; una cosa e'
dire che "Marcos" e' gay a S. Francisco, nero in Sudafrica e asiatico in
Europa per dire che tutti gli oppressi del mondo subiscono una sostanzialmente
analoga denegazione di umanita' ed aspirano tutti ad una umanita' di liberi
ed eguali nel rispetto della diversita' di ognuno; e una cosa di segno
opposto e' un prominente personaggio del panorama politico italiano che
ricicla e degrada uno schema retorico senza avvedersene metamorfosandolo
in totalitario.
Leggere di Israele definito come "mostro americano" da parte di un
vecchio amico e compagno (anche di partito, un partito che si suicido'
un paio di decenni fa) sul giornale cui piu' siamo legati (sebbene assistiamo
con pena a come sia stato pervaso di volgarita' e irresponsabilita') ci
rattrista e incupisce.
Leggere nei notiziari di certe ong (che pure fanno un lavoro grande
di solidarieta' concreta e di riflessione critica; beninteso: largamente
usando di soldi pubblici, ed e' bene non dimenticarlo) la definizione di
"martiri" per i terroristi suicidi, e' peggio che un errore di traduzione,
e' la riproduzione di un'ideologia.
Leggere certe giustificazioni che in guisa di "excusatio non petita"
taluni intellettuali e militanti si sentono in dovere di addurre, e nelle
quali cio' che emerge accecante e' ancora una volta il non rendersi conto
di quanto sia privo di rispetto per l'altrui dolore il riempirsi la bocca
di proclami secondo cui ai figli delle vittime dei campi neppure il diritto
di rivendicare la loro condizione di addolorati resta, poiche' essa stessa
si pretende di loro sottrarre come peculiarmente sentita (ancora per il
vizio di fondo di essere la sinistra che rappresenta la totalita' e chi
non si sente rappresentato e' un eretico o peggio un nemico del popolo);
e si sorvola frattanto sul fatto che Israele - e non solo nella percezione
dei superstiti dei campi di sterminio - e' anche, oltre che tante
altre cose su cui discutere e' piu' che lecito doveroso, l'ultimo rifugio
per i sopravvissuti dell'episodio piu' satanico della storia dell'umanita',
quella Shoah di cui intera e ineludibile la responsabilita' grava sull'Europa;
ebbene, tutto questo non ci dice nulla di terribile su noi stessi?
Non sara' necessario rifletterci sopra, discuterne apertamente, smascherare
pregiudizi e ipocrisie?
E naturalmente non parliamo neppure di chi sistematicamente agisce
la provocazione per comparire in tivu': non a caso finisce in tivu', poiche'
e' il prediletto dei potenti che allo scardinamento dello stato di diritto
sovrintendono e che a tal fine sono ben lieti di servirsi di personaggi
che non degli "utili idioti" ma dei furbastri di tre cotte sono, e che
ai piani berlusconiani cooperano con la massima alacrita' mentre proclamano
di essere il rappresentante designato di tot miliardi di esseri umani che
non hanno mai dato loro alcuna delega (noi almeno non gliela abbiamo mai
data).
* Quarto: Presto con fuoco
L'aiuto che possiamo e dobbiamo dare al popolo palestinese e' anche
questo: combattere l'antisemitismo che e' in noi, perche' solo cosi' il
nostro aiuto sara' comprensibile ed efficace. E non per equilibrismo, ma
per dovere morale ed anche per necessita' pratica.
Solidali col popolo palestinese e il suo diritto alla vita e a uno
stato; solidali col popolo israeliano e il suo diritto alla vita e a uno
stato. Su questa base si potra' costruire poi una societa' senza stati
e senza classi nel mondo intero, ma frattanto questi diritti minimi esatti
da popoli che hanno subito persecuzioni immani nessuno deve negarli.
Una sinistra che tollera o promuove espressioni di antisemitismo non
e' degna del nome che reca. E' solo un'estrema propaggine di quel totalitarismo
contro cui un'altra sinistra, quella dei resistenti e dei fucilati, ha
combattuto e dovra' combattere ancora e ancora.
Ha scritto all'incirca Primo Levi che la lotta contro l'oppressione
e' senza fine: e proprio per questo e' compito della persona di volonta'
buona condurla adesso e sempre. "Ora e sempre", sono le ultime parole di
una delle lapidi che Piero Calamandrei ebbe a dettare, e che finisce con
una parola ancora, magnifica, e che non puoi pronunciare se non tra le
lacrime: Resistenza.
Quando parliamo di nonviolenza parliamo anche di questo, parliamo essenzialmente
di questo.