Fabio Sebastiani, www.controlacrisi.org, 8 dicembre 2012
Una alleanza tra paesi sul modello della sudamericana “Alca”, oppure
un ritorno alla fluttuazione in un regime di doppia moneta; terzo, una
trattativa a viso aperto con la Germania. Mentre tutti si accaniscono su
come tenere “l’Italia nell’euro”, il dibattito sul cosiddetto “piano B”
per fortuna non langue. Un dibattito cominciato mesi fa quando lo spread
era ancora un gattino dalle unghie corte e dalla Merkel ci si poteva aspettare
anche un invito a cena. Poi tutto è cambiato, e piuttosto rapidamente.
Ora in molti si stanno accorgendo che il “gioco non vale la candela”. Soprattutto,
da quando la vicenda della Grecia ha messo un punto definitivo sull’efficacia
delle politiche di austerità. Cioè, i costi sono tali che
o portano al disastro sociale, politico ed economico, oppure posticipano
talmente tanto in là il momento della cosiddetta ripresa che il
sacrificio diventa un lento e inesorabile depauperamento. Il fatto che
alla fine l’Ue abbia dovuto aprire per forza il doloroso capitolo dell’”haircut”,
ovvero del taglio degli interessi sul debito è la controprova che
la strada della “stabilizzazione del debito” è davvero senza uscita.
Rimanere nell’euro potrebbe portare seri danni. Del resto, come fa notare
il professor Bruno Amoroso, le tre grandi promesse della moneta unica -
protezione dall’inflazione; protezione dalla speculazione finanziaria,
e rafforzamento del processo di coesione sociale e territoriale dell’Unione
europea – sono completamente fallite. E non basta più qualche semplice
aggiustamento.
La battaglia per una via di uscita dignitosa, secondo Amoroso, ricomincia
dalla riconquista di spazi di flessibilità nazionale e meso-regionali
per le politiche economiche”. “Il primo passo deve essere per i paesi dell’Europa
del Sud la rinegoziazione dei loro apporti valutari con gli altri paesi
dell’Unione – aggiunge Amoroso - . Le procedure per questo tipo di operazioni
esistono e sono ben collaudate: chiusura provvisoria delle frontiere finanziarie
per i paesi impegnati nel processo di ri-negoziaione e rivalutazione dei
assetts and liabilities esteri. I contratti finanziari interni possono
essere trasferiti nella nuova valuta – nazionale o di area come nel caso
di un euro-sud – e al termine di queste negoziazioni delle quali la sede
potrebbe essere la Commissione Europea (cioè i ministri delle finanze
dei vari paesi) i mercati valutari potrebbero riaprire. Nel caso dei paesi
europei questo produrrebbe una svalutazione delle monete (come è
avvenuto in Irlanda e Islanda) ma consentirebbe spazio a politiche economiche
a vantaggio della ripresa delle attività produttive e dell’interscambio
tra i paesi del Sud. L’effetto della svalutazione è anche quello
di ridurre le importazioni e, quindi, favorire la ripresa dei sistemi produttivi
locali e nazionali o meso-regionali”. Secondo Luciano Vasapollo, professore
di Statistica all’Università La Sapienza di Roma, la ricerca di
un’area comune, meglio se “mediterranea” è un passaggio più
che obbligato. “ma pur sempre in presenza di “un nuovo protagonismo della
classe lavoratrice in una visione internazionalista capace di porsi sul
terreno di percorsi e processi di lotta”. L’obiettivo sarebbe quello di
creare un’area “per uscire contemporaneamente e in maniera congiunta dall’euro,
tre, quattro o cinque paesi, per costruire un’alleanza economica e commerciale,
con una moneta virtuale di compensazione”. “Questa formula doterebbe questi
territori della stessa forza che ha oggi l’ALBA in America Latina”, aggiunge
Vasapollo - . Diversamente dall’ipotesi di Amoroso, il nodo rimarrebbe
quello dell’azzeramento del debito, superabile, nella prospettiva di Vasapollo,
da un atto politico e di lotta. “Nello stesso tempo, - conclude Vasapollo
- è necessario nazionalizzare le banche, che significherebbe poter
orientare la linea di credito verso i settori strategici, e, come anche
si sta facendo nell’ALBA, nazionalizzare i settori energetico, trasporti
e telecomunicazioni,rafforzando il ruolo pubblico e gratuito di efficienti
servizi nella sanità, istruzione sistemi pensionistici e di sostegno
al reddito che, tutto ciò darebbe un ulteriore impulso all'economia
in una dimensione sociale, efficiente e solidale”. Emiliano Brancaccio,
docente all’Università del Sannio, prova un approccio più
“contrattuali sta”. “Cercando di seguire il dibattito interno ai gruppi
di interesse prevalenti in Germania interno alla Buba ho capito – dice
Brancaccio - che non c’è alcun interesse a cambiare l’assetto della
politica economica europea”. “E’ vero che pagano la crisi ma la pagano
in termini relativi – sottolinea Brancaccio - molto meno di noi e per certi
versi ci guadagnano. Basta vedere all’andamento dell’occupazione, che ha
aumento nella crisi un milione e mezzo di unità” Un quadro pragmatico
di quanto sta accadendo e che consiglia, secondo Brancaccio, di tentare
il confronto a viso aperto con la Germania. Che “non teme nemmeno più
l’uscita dall’euro di alcuni paesi”. “Pensiamo, infatti, al quadro che
si determinerebbe il giorno dopo, con i tedeschi pronti a fare shopping
sui mercati deboli”. “L’unica cosa che li spaventa realmente – conclude
Brancaccio - è che usciamo dalla zona e attiviamo dei meccanismi
neoprotezionistici. Cioè fondamentalmente non mettiamo solo in discussione
la moneta unica ma anche il mercato unico. E’ l’unica carta che i paesi
periferici dell’unione possono giocare al tavolo delle trattative”. E l’Area
comune che fine fa in questo schema? “Come spesso è accaduto
in Europa – risponde Brancaccio - l’interrogativo fondamentale è
capire se la Francia sceglierà di aderire a una alleanza carolingia
e quindi si aggregherà alla Germania o sarà costretta ad
uscire. Chiaro che una alleanza fatta con la Francia diventerebbe una alleanza
più facile da gestire perché potrebbe risultare per molti
versi autonoma dal punto di vista della produzione e del consumo” Per Antonella
Stirati, docente di economia all’Università di Roma Tre, infine,
se non si riesce a trovare una soluzione dentro l’euro “il problema di
sottrarsi si pone seriamente". "Perché se si continua così
- aggiunge Stirati - l’economia va a gambe per aria". “Quello che avrebbe
senso se dovesse fallire l’euro è fare dei tentativi in una direzione
simile all’America Latina”, prosegue. Tecnicamente, vuol dire “avere una
moneta comune per saldare gli scambi tra paesi, e con un margine di riallineamento,
e una moneta per i pagamenti internazionali. E questo ci eviterebbe di
pagare in dollari”.