José Saramago, "la Repubblica", giovedì 20 settembre 2001
In un luogo dell'India. Una fila di pezzi d'artiglieria in posizione.
Legato alla bocca di ciascuno di essi c'è un uomo. In primo piano
nella fotografia un ufficiale britannico erge la spada e sta per dare l'ordine
di fare fuoco. Non disponiamo di immagini dell'effetto degli spari, ma
anche la più ottusa delle immaginazioni potrà "vedere" teste
e tronchi dispersi nel campo di tiro, resti sanguinolenti, viscere, membra
amputate. Gli uomini erano ribelli.
In un luogo dell'Angola. Due soldati portoghesi sollevano per le braccia
un nero che forse non è morto, un altro soldato impugna un machete
e si prepara a separargli la testa dal corpo. Questa è la prima
fotografia.
Nella seconda, stavolta c'è una seconda fotografia, la testa
è già stata tagliata, è infilzata in un palo, e i
soldati ridono. Il nero era un guerrigliero. In un luogo di Israele. Mentre
due soldati israeliani immobilizzano un palestinese, un altro militare
gli rompe a martellate le ossa della mano destra. Il palestinese aveva
lanciato dei sassi.
Stati Uniti dell'America del Nord, città di New York. Due aerei
passeggeri nordamericani, sequestrati da terroristi legati all'integralismo
islamico, si lanciano contro le torri del World Trade Center e le distruggono.
Allo stesso modo, un terzo aereo provoca enormi danni all'edificio del
Pentagono, sede del potere bellico degli States. I morti, sepolti tra le
macerie, ridotti in briciole, volatilizzati, si contano a migliaia. Le
fotografie dell'India, dell'Angola e di Israele ci esplodono con orrore
in faccia, le vittime ci vengono mostrate nell'istante stesso della tortura,
dell'attesa agonica, dell'ignobile morte.
A New York, tutto è sembrato irreale al principio, un episodio
ripetuto e poco diverso da tante catastrofi cinematografiche, veramente
avvincente per il grado di illusione raggiunto dal creatore degli effetti
speciali, ma privo di rantoli, di fiotti di sangue, di carni schiacciate,
di ossa triturate, di merda. L'orrore, nascosto come un animale immondo,
ha aspettato che uscissimo dallo stupore per saltarci alla gola. L'orrore
dice per la prima volta «eccomi» quando quelle persone si lanciano
nel vuoto come se avessero deciso di scegliere una morte che gli appartenga.
Adesso l'orrore apparirà ad ogni istante nello spostare una pietra,
un pezzo di parete, una lastra di alluminio contorta, e sarà una
testa irriconoscibile, un braccio, una gamba, un addome aperto, un torace
schiacciato. Ma perfino questo è ripetitivo e monotono, è
in qualche modo già noto per le immagini che ci sono giunte di quel
Ruanda di un milione di morti, di quel Vietnam cotto al napalm, di quelle
esecuzioni in stadi pieni di gente, di quei linciaggi e di quei pestaggi,
di quei soldati iracheni sepolti vivi sotto tonnellate di sabbia, di quelle
bombe atomiche che rasero al suolo e calcinarono Hiroshima e Nagasaki,
di quei crematori nazisti che vomitavano cenere, di quei camion per sgomberare
cadaveri come se di immondizia si trattasse.
Di qualcosa dovremo sempre morire, ma si è ormai perso il conto
degli esseri umani morti nei peggiori modi che degli esseri umani potessero
inventare. Uno di questi, il più criminoso, il più assurdo,
quello che più offende la semplice ragione, è quello che,
dal principio dei tempi e delle civiltà, ha il mandato di uccidere
in nome di Dio. È stato già detto che le religioni, tutte,
senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini,
e che, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze
inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che
costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia
umana. Almeno come segno di rispetto per la vita, dovremmo avere il coraggio
di proclamare in tutte le circostanze questa verità evidente e dimostrabile,
ma la maggioranza dei credenti di qualsiasi religione non solo finge di
ignorarla, ma si leva iraconda e intollerante contro coloro per i quali
Dio non è altro che un nome, nient'altro che un nome, il nome che,
per paura di morire, un giorno gli abbiamo messo e che sarebbe venuto a
sbarrarci il passo per un'umanizzazione reale. In cambio, ci hanno promesso
paradisi e ci hanno minacciato con inferni, tanto falsi gli uni come gli
altri, insulti sfacciati a un'intelligenza e a un senso comune che ci è
costato tanto far crescere. Dice Nietzsche che tutto sarebbe permesso se
Dio non esistesse, e io rispondo che precisamente per causa e in nome di
Dio si permette e si giustifica tutto, principalmente il peggio, principalmente
ciò che è più orrendo e crudele. Durante secoli l'Inquisizione
fu anch'essa, come oggi i Taliban, un'organizzazione terrorista che si
dedicò a interpretare perversamente testi sacri che avrebbero dovuto
meritare il rispetto di quelli che dicevano di crederci, un mostruoso connubio
stabilito tra la Religione e lo Stato contro la libertà di coscienza
e contro il più umano dei diritti: il diritto a dire di no, il diritto
all'eresia, il diritto a scegliere una cosa, che solo questo significa
la parola eresia.
Eppure, nonostante tutto, Dio è innocente. Innocente come qualcosa
che non esiste, che non è esistito né esisterà mai,
innocente di aver creato un universo intero per collocarvi degli esseri
capaci di commettere i più grandi crimini per poi venire a giustificarsi
dicendo che sono celebrazioni del suo potere e della sua gloria, mentre
i morti si vanno accumulando, questi delle torri gemelle di New York e
tutti gli altri che, in nome di un Dio divenuto assassino per volontà
e per azione degli uomini, coprono e continueranno a coprire di terrore
e di sangue le pagine della Storia. Gli dèi, secondo me, esistono
solo nel cervello umano, prosperano o si consumano nello stesso universo
che li ha inventati, ma il «fattore Dio», questo sì,
è presente nella vita come se ne fosse effettivamente il padrone
e signore. Non è un dio, ma il «fattore Dio» quello
che si esibisce nei dollari e che si mostra nei cartelli che chiedono per
l'America (quella degli Stati Uniti, non l'altra.) la benedizione divina.
Ed è il «fattore Dio» in cui il dio islamico si è
trasformato che ha scagliato contro le torri del World Trade Center gli
aerei della rivolta contro i disprezzi e della vendetta contro le umiliazioni.
Si potrebbe dire che un dio è andato a seminare venti e che un altro
dio risponde ora con tempeste. È possibile, anzi è sicuro.
Ma non sono stati loro, poveri dèi senza colpa, è stato il
«fattore Dio», quello che è terribilmente uguale in
tutti gli esseri umani dovunque siano e qualunque sia la religione che
professano, quello che mantiene intossicato il pensiero e aperte le porte
alle intolleranze più sordide, quello che non rispetta se non ciò
in cui comanda di credere, quello che dopo essersi vantato di aver fatto
della bestia un uomo ha finito col fare dell'uomo una bestia.
Il lettore credente (di qualsiasi credenza) che sia riuscito a sopportare
la ripugnanza che probabilmente gli avranno ispirato queste parole, non
credo che passerà all'ateismo di chi le ha scritte. Lo prego soltanto
di capire, per mezzo del sentimento se non può essere per mezzo
della ragione, che, se c'è Dio, c'è solo un Dio, e che, nel
suo rapporto con lui, la cosa meno importante è il nome che gli
hanno insegnato a dargli. E che diffidi del «fattore Dio».
Non mancano allo spirito umano i nemici, ma questo è uno dei più
pertinaci e corrosivi. Come è stato dimostrato e purtroppo si continuerà
a dimostrare.