San Precario, "Il fatto quotidiano" (http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/15/brunetta-e-il-santo-peggiore-d%E2%80%99italia/118293/),
15 giugno 2011
Ebbene sì, io, San Precario, protettore di precari e precarie,
Co.co.co., esternalizzati, delocalizzate, stagisti, partite iva, lavoratori
in nero e disoccupate sono il santo peggiore d’Italia, per nomina ufficiale
del ministro Renato Brunetta. Meglio che diventare cavaliere o commendatore.
È successo ieri e l’avete visto tutti: alcuni precari e precarie
della pubblica amministrazione e dei Punti San Precario di Roma hanno cercato
di prendere la parola al convegno sull’Innovazione presenziato dal ministro
Brunetta (il “furbetto” descritto dall’Espresso). Appena la persona invitata
a parlare ha pronunciato la parola “precari” il ministro le ha voltato
la schiena e se n’è andato dicendo: “Siete l’Italia peggiore”. Dopo
di che ha strappato lo striscione ed è salito sulla sua auto blu,
mentre uno dei precari veniva strattonato da un membro dello staff del
ministro. Il video è già un successone (purtroppo) della
rete, e in migliaia stanno invadendo la bacheca Facebook di Brunetta per
dirgli quello che pensano del suo comportamento.
Ora, è evidente che un ministro che rifiuta di parlare con le
persone che dovrebbe rappresentare e che per di più vivono una condizione
di difficoltà lavorativa, è già di per sé un
caso incredibile. Ma magari fosse tutto qua. Il ministro ritiene che i
precari siano “l’Italia peggiore”. Siamo fannulloni, scaldasedie, bamboccioni,
scioperati. Non facciamo un c… dalla mattina alla sera, anzi peggio, roviniamo
la vita a quelli che “lasciatemi lavorare”. L’Italia peggiore siamo noi,
che lavoriamo 60 ore a settimana per mille euro al mese, che dobbiamo elemosinare
un rinnovino, che col Co.co.pro. ci fanno timbrare il cartellino e non
abbiamo nemmeno la malattia e la pensione, che facciamo stage di sei mesi
senza vedere una lira eppure tiriamo avanti la baracca. Abbiamo ingoiato
rospi e perso per strada i diritti acquisiti da decenni, e per cosa?
Perché dobbiamo dirlo chiaramente: la precarietà serve
a mantenere alti i profitti. Noi creiamo la ricchezza di questo paese e
qualcun altro se la mette in tasca. Mentre l’Italia negli ultimi dieci
anni non cresceva di un euro (battendo solo Haiti e Zimbabwe, come ricordava
l’Economist la settimana scorsa), i profitti volavano e le vendite di Suv
aumentavano. Vi siete chiesti come mai? Ecco l’Italia “migliore”, quella
degli imprenditori senza scrupoli che sfruttano il lavoro precario abusandone,
che ci chiedono se siamo incinte prima di farci un contratto di sei mesi,
che ci lasciano a casa se facciamo passare un volantino sindacale, che
chiudono baracca e burattini appena conviene. Quella dei ministri dell’istruzione
che tagliano e licenziano, delle consulenze milionarie e delle ruberie
legalizzate. Quell’Italia lì fa i soldi. Noi, l’Italia peggiore,
facciamo i salti mortali per pagare l’affitto e non ci è nemmeno
permesso di prendere parola con un ministro che è stato messo lì
non per tutelare il settore che dovrebbe rappresentare, la pubblica amministrazione,
ma per smantellarlo e umiliarlo.
Siamo noi, l’Italia peggiore, a dover risolvere questa situazione,
e per farlo dobbiamo diventare protagonisti e smetterla di subire e lamentarci.
Se incrociassimo le braccia e smettessimo di lavorare per un tozzo di pane,
il paese si fermerebbe. Perché senza di noi, l’Italia “migliore”
degli imprenditori e dei ministri d’accatto che ci ritroviamo non sarebbe
capace nemmeno di farsi il caffè.