"Umanità nova", 31 ottobre 2010
Il 27 settembre è uscito “La crisi dei salari”, quinto rapporto dell’IRES, istituto di ricerca della CGIL, chi fosse interessato, è disponibile a questo indirizzo: http://www.ires.it/node/1382. Il rapporto si occupa della variazione dei salari nel decennio 2000-2010 (sic): tale periodo si è chiuso con una perdita delle retribuzioni nette pari a 5.453 euro, risultato della somma fra il calo del potere di acquisto e della mancata restituzione del fiscal drag nel periodo osservato. Il fiscal drag, è opportuno ricordarlo, è l’aumento del prelievo fiscale sulle buste paga in conseguenza dell’aumento nominale delle stesse. Per ottenere le retribuzioni reali, i ricercatori dell’IRES hanno usato il deflatore implicito dei consumi; è un metodo usato anche dalla Banca d’Italia e dall’ISTAT, ed è alternativo a quello usato dal Governo per il calcolo dell’inflazione, basato sui prezzi al consumo (IPCA). Complessivamente, la mancata restituzione del fiscal drag ha portato nelle casse dello Stato 44 milioni di euro, sottratti alle buste paga. Questo rapporto è importante perché permette alcune considerazioni. Innanzi tutto svela il vero significato della concertazione, definita all’interno dell’accordo interconfederale del 1993, e che limita gli aumenti delle retribuzioni contrattuali all’interno dell’inflazione programmata. Inoltre smentisce la leggenda che le fasi di sviluppo economico si accompagnano automaticamente ad aumenti delle retribuzioni e dell’occupazione. L’accordo interconfederale del ‘93 prevede, come abbiamo detto, che gli aumenti contrattuali debbano rimanere all’interno dell’inflazione programmata dal Governo. Il presidente dell’IRES, nella sintesi del rapporto preparata per i media, si vanta che le retribuzioni contrattuali sono state al passo con l’inflazione programmata, ma si dimentica di aggiungere che altri due istituti previsti dall’accordo non sono stati attivati, grazie al boicottaggio dei sindacati concertativi. Si tratta del generico meccanismo di recupero della differenza fra inflazione programmata dal Governo ed inflazione effettiva (ovviamente superiore alla prima) e soprattutto dell’indennità di vacanza contrattuale, che doveva proteggere i lavoratori dalla melina delle associazioni di categoria dei capitalisti che ritardavano la firma del nuovo contratto. Solo in alcune categorie del pubblico impiego, grazie all’impegno di alcuni sindacati di base, i lavoratori hanno ottenuto l’indennità di vacanza contrattuale. Perché i sindacati concertativi sono venuti meno in maniera così plateale al loro compito di difendere i lavoratori? O non si sono resi conto degli effetti perversi che il mantenimento degli aumenti all’interno del tetto dell’inflazione programmata aveva sulle condizioni di vita dei lavoratori, oppure sono stati compensati in un altro modo, si sono venduti. Non a caso insieme all’accordo sulla contrattazione, è stato firmato l’accordo sulla rappresentanza che garantisce alla triplice concertativa (CGIL, CISL e UIL) il 33% delle RSU, mentre il Governo ha autorizzato i sindacati ad aprire i CAF. Ecco il prezzo che Confindustria e Governo hanno pagato per il tradimento! La cosa più sconcertante, comunque, è che è proprio un rapporto dell’istituto di ricerca della CGIL che denuncia il fallimento del sindacato! Un altro punto importante che emerge dal rapporto è che la riduzione del reddito reale è stata più incisiva nel periodo in cui non c’era la crisi. La cosa si spiega se si tiene conto che il rapporto rileva le retribuzioni effettivamente percepite, al netto della Cassa Integrazione: Cassa Integrazione e licenziamenti hanno colpito innanzi tutto i precari e le fasce più basse dei lavoratori dipendenti, per cui la statistica delle retribuzioni ha subito una distorsione verso l’alto. Resta comunque il fatto che anche nei periodi di sviluppo economico le retribuzioni hanno segnato una riduzione del potere d’acquisto, smentendo l’illusione che il sistema sia in grado migliorare le condizioni di vita del proletariato, in realtà il processo di accumulazione si basa ed ha come risultato l’impoverimento della classe operaia, e nessun “patto fra i produttori” può nascondere questa realtà. Infine, la questione salariale non è più solo una questione sindacale, ma è una questione politica: il Governo si pone come garante dell’accordo interconfederale, il Governo fissa il tetto di inflazione programmata al cui interno devono rimanere gli aumenti salariali; in un primo tempo questo comportamento rafforza la posizione di Confindustria, favorisce il processo di accumulazione, ma a lungo andare sviluppa fra le avanguardie di classe e fra tutti i lavoratori la convinzione che la lotta sindacale è insufficiente a garantire le loro condizioni di vita, la stessa alternanza tra destra e sinistra dimostra che non è questo o quel governo al servizio della borghesia, ma è la stessa esistenza del governo ad essere nemica dei lavoratori. L’aumento dell’astensionismo elettorale dimostra quanto questa coscienza sia diffusa fra le masse, spetta agli anarchici trasformarla in azione politica consapevole.