"Cenerentola", giugno 2009
Bologna: 18 maggio 2009, ora di pranzo. Un operaio edile, sudato
e impolverato, entra in pizzeria e ordina una “quattro stagioni”. Mentre
aspetta che gli arrivi la pizza, apre il giornale che è appoggiato
sul bancone. Si tratta di Il Bologna; non è un quotidiano locale,
bensì l’edizione locale di E Polis, quotidiano gratuito diffuso
in tutt’Italia, che assume nomi diversi da città a città:
all’inizio sembrava “indipendente”, ora è saldamente in mano alla
destra.
In seconda pagina c’è un titolo enorme: «I salari italiani
tra i più bassi d’Europa / busta paga gonfia di tasse e contributi».
Sopra, un po’ più in piccolo, è scritto: «Il rapporto
Ocse: retribuzione di 21.374 dollari, Belpaese al 23esimo posto sui 30
in graduatoria». Sotto al titolo: «I lavoratori guadagnano
in media il 17% in meno e va meglio anche in Grecia e in Spagna. Il cuneo
fiscale l’handicap / L’opposizione chiama in causa il governo: “E’
immobile”. Capezzone replica: “Fu Prodi ad aumentare le aliquote”».
In alto, a destra, in un riquadro, si può leggere: «Sì
alla riforma fiscale. “Questi dati dell’Ocse non sorprendono – afferma
il segretario dell’Ugl Polverini – è necessaria una vera e propria
riforma fiscale”».
Il messaggio è chiaro: se i salari italiani sono così
bassi è colpa delle tasse troppo alte!
La pizza non è ancora arrivata e l’operaio legge l’articolo,
dal quale apprende che, tra i paesi dell’Ocse (in pratica quelli del “blocco
occidentale”), siamo «ventitreesimi su trenta per quanto riguarda
il salario netto ma sesti per il peso di tasse e contributi», che
il salario netto è stato calcolato «a parità di potere
di acquisto» e che «conti alla mano, in un anno un italiano
guadagna mediamente il 44% in meno di un inglese, il 32% in meno di un
irlandese, il 28% in meno di un tedesco e il 18% in meno di un francese».
«A pesare negativamente sulle nostre buste paga - prosegue l’articolo
– è anche il cuneo fiscale, che calcola la differenza tra quanto
pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al
lavoratore. Per una persona dal salario medio, single e senza carichi di
famiglia, il peso di tasse e contributi raggiunge il 46,5%: in questa speciale
classifica l’Italia balza purtroppo dal ventitreesimo al sesto posto».
In un riquadro posto in fondo alla pagina, un breve articolo dal titolo:
«A fine mese pesa il caro vita / i Consumatori: “Detassare”».
La pizza è arrivata, l’operaio ha saputo quanto siamo meno pagati
rispetto ai lavoratori degli altri paesi, ma non ha saputo quanto siamo
più tassati.
Non gli sarebbe andata meglio se, al mattino, sull’autobus che prende
per recarsi in cantiere, avesse letto City, l’altro importante giornale
gratuito che si trova presso tutte le fermate, e che titolava, in prima
pagina: «I salari italiani sono tra i più bassi d’Europa,
le tasse tra le più alte». L’articolo di City, collocato in
terza pagina, conteneva infatti le stesse notizie di quello di E Polis.
Né ha saputo di più, quella mattina, l’insegnante
che è salito sul treno, con Il corriere della sera sottobraccio,
per recarsi a far scuola in un paese del circondario. Stesse notizie, e
in più una perla uscita dalla bocca del responsabile del lavoro
del Partito Democratico, Cesare Damiano, che afferma: «Uno dei dati
rilevati dall’indagine dell’Ocse è il divario tra retribuzione lorda
e retribuzione netta in busta paga: il famoso cuneo fiscale, che il governo
Prodi, con lungimiranza, aveva provveduto a diminuire in modo significativo.
Occorrerebbe però proseguire su questa strada scegliendo di investire
risorse per uscire dalla crisi, anziché aspettare che passi la nottata».
E, al nostro insegnante, non sarebbe andata meglio neppure se avesse
acquistato Il Sole 24 Ore, giornale della Confindustria, normalmente piuttosto
generoso nello snocciolare dati ma, in questo caso, stranamente reticente.
Sarebbe stato necessario che i nostri eroi, tornati alle loro case,
avessero fatto una ricerca su internet per scoprire, non senza difficoltà,
che i paesi Ocse nei quali i salari sono tassati maggiormente sono il Belgio,
l’Ungheria, la Germania, la Francia e l’Austria e che ciò nonostante,
in tutti questi (esclusa l’Ungheria) il potere d'acquisto
dei salari netti risulta più elevato che in Italia.
Superando ulteriori difficoltà, avrebbero poi trovato la graduatoria
del potere d’acquisto dei salari lordi (comprensivi cioè di tasse
e contributi) e avrebbero scoperto che in tale graduatoria l’Italia si
colloca comunque agli ultimi posti. Non è colpa delle tasse se i
padroni italiani pagano poco i dipendenti.
Ma, alla sera, l’operaio non ha molta voglia di collegarsi a internet,
preferisce rilassarsi davanti alla televisione, evitando accuratamente
i telegiornali. L’insegnante, forse, se maschio e provvisto di una consorte
vecchio stampo, un telegiornale lo guarderà, mentre quest’ultima
gli prepara la cena. E si sentirà ripetere il medesimo ritornello:
se i salari sono bassi è perché le tasse sono alte.
Ascolterà a lungo i rappresentanti della destra che, naturalmente,
diranno che è colpa della sinistra. E quelli del centro, che attribuiranno
la colpa alla destra: nessuno infatti – sosterranno, con buone ragioni
- è stato bravo come loro nel regalare soldi ai padroni.
La sinistra non c’è.