La Firenze dei lavavetri e dei calciatori La Firenze dei lavavetri
e dei calciatori
Nicola Ruganti, "Lo straniero", aprile 2009
Nel novembre del 2002 il Social forum europeo attraversava Firenze
mettendo la città al centro di un dibattito nazionale sull’opportunità
di dare accoglienza al movimento di “un altro mondo è possibile”,
ad appena un anno dalle tragiche vicende del G8 di Genova. Quella che passò
per Firenze fu una ventata di freschezza e impegno che continuò
ad animare università, scuole, associazioni e realtà territoriali
anche nei periodi successivi. Cosa sarebbe successo se l’ordinanza sui
lavavetri dell’assessore “sceriffo” Graziano Cioni (Polizia municipale,
Sicurezza, Arredo e Decoro urbano) fosse piombata in quel momento? Non
sarebbe stato possibile: sarebbe stata benzina sul fuoco da parte di un’amministrazione
comunale che già allora non vedeva di buon occhio quel movimento
e covava in sé il seme del controllo sociale basato sulla polizia.
Ad agosto del 2007 la città è scossa dall’ordinanza che
“vieta fino al 30 ottobre 2007 su tutto il territorio comunale l’esercizio
del mestiere girovago di lavavetri sia sulla carreggiata che fuori di essa”
e punisce “ai sensi dell’articolo 650 del codice penale” i trasgressori.
Il provvedimento sarà soggetto nelle settimane successive a modificazioni
indotte dal procuratore capo di Firenze Ubaldo Nannucci, e dopo il 30 ottobre
2007 diventerà definitivo. La ricostruzione della vicenda è
ben scandita nel libro “Lavavetri” di Lorenzo Guadagnucci, il quale ci
informa che “l’attività dei lavavetri dal 2007 è assimilata
al lavaggio dei veicoli, definito da un Regolamento (del 1932) concepito
per vetture trainate da cavalli: è quanto basta per mettere al bando
50 migranti privi di tutto e per sancire l’adesione al motto ‘legge e ordine’.
Il titolo della sezione che includeva l’articolo 43 assume a questo punto
un sapore emblematico: ‘Decoro pubblico’.” Nel suo documentatissimo reportage
giornalistico, pubblicato per Terre di mezzo e Edizioni Piagge, Guadagnucci
inserisce due interviste importanti. La prima alla sorella di Giovanna
Reggiani, la donna uccisa a Roma e il cui omicidio scatenò l’ondata
anti-rom romeni: Paola Reggiani vive a Firenze e ha scelto il silenzio
stampa, e insieme alla comunità valdese di cui fa parte si è
attivata in progetti di promozione sociale per i rom romeni. La seconda
intervista è al prete Alessandro Santoro che, oltre a dare una testimonianza
con la propria esperienza che da quindici anni lo vede radicato nel quartiere
delle Piagge, alla periferia di Firenze, invita con forza a “produrre territorialità
e a costruire comunità locali solidali” e cita quello che è
uno dei libri recenti più convincenti nella difficile operazione
dell’intreccio di teoria e pratica: “Le Piagge. Storia di un quartiere
senza storia”, di Francesca Manuelli (L’ancora del Mediterraneo, 2007).
Il libro è generoso nei dettagli di un percorso – fragile e tenace
– alle Piagge, ed è specchio di una pratica non autoreferenziale
ma aperta alla città di Firenze (dalle cooperative sociali al mensile
“L’altracittà”, dal premio “Raccontare la periferia” con il Gabinetto
Vieusseux, al microcredito per i “non bancabili”).
L’aspetto più interessante di Lavavetri è l’ampia e ben
organizzata documentazione non solo su Firenze, ma anche sull’imponente
dibattito nazionale sulla sicurezza che si è sviluppato fin dal
maggio del 2007. Guadagnucci analizza i testi degli articoli pubblicati
sul quotidiano “la Repubblica”: la lettera aperta di un lettore in prima
pagina con il titolo “Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista”,
le risposte di Veltroni (allora sindaco di Roma) e di Corrado Augias, e
un articolo di Giuliano Amato (allora ministro dell’Interno) sullo “sdoganamento”
di Sarkozy come modello del centrosinistra italiano. Il dibattito che alla
fine emerge è la conferma della scelta di politiche che, nel lessico
e nelle azioni, sono repressive, massimaliste e si rifanno al vecchio schema
della destra americana “law and order”, in attesa di un’occasione per darsi
ragione e scatenare la macchina repressiva. Il 30 ottobre 2007 è
il giorno dell’aggressione a Giovanna Reggiani e della presentazione del
“pacchetto sicurezza” di Prodi: la miscela è deflagrante e quando
“la sera di giovedì primo novembre muore Giovanna Reggiani; in Italia
parte una campagna mediatica che farà vivere per giorni un clima
di autentico pogrom” contro la comunità dei rom romeni. L’amministrazione
fiorentina ha dimostrato dunque un tempismo straordinario, ha guadagnato
consensi e conquistato un posto nel dibattito nazionale; ma ciò
che merita maggior attenzione sono le dichiarazioni di Cioni che il 7 novembre
2007, alle Piagge, annuncia che il “sistema è al collasso” e chiarisce
che il Comune non ha più denaro da investire per attivare le politiche
sociali (ma più convenientemente quelle poliziesche). Per Guadagnucci
Firenze è lo specchio di una “cultura democratica [...] che ha lasciato
agli immobiliaristi il compito di ridisegnare le città, e poi è
rimasta succube della risposta autoritaria alla domanda di sicurezza scaturita
dalla disgregazione sociale”. Quasi contemporaneamente a “Lavavetri”, a
testimonianza di un tentativo cittadino di reazione, sono usciti anche
nove quaderni di inchiesta urbana delle edizioni “Un’altra città
un altro mondo”, la realtà politica che nel 2004 mandò al
ballottaggio il sindaco Leonardo Domenici e che oggi si propone, con il
nuovo nome “Per un’altra città”, come discontinuità vera
e come gruppo che nel disastro fiorentino tenta di costruire un’alternativa.
Oggi Firenze, nonostante tutto, è comunque slittata oltre le logiche
securitarie; infatti gli “sceriffi”, che hanno fatto del rispetto della
legge il loro cavallo di battaglia, si sono fatti sorprendere dalla magistratura
in toni poco rispettosi nei confronti delle regole. La città si
è di nuovo imposta all’attenzione delle cronache nazionali con lo
“scandalo di Castello”, un intreccio di interessi politico-edilizi su una
zona di Firenze resi noti da un’inchiesta della procura. L’ipotesi di reato
di corruzione ha coinvolto gli assessori comunali Graziano Cioni e Gianni
Biagi (quest’ultimo si è dimesso il 27 novembre 2008), oltre a famosi
professionisti e imprenditori. Tra questi anche Salvatore Ligresti, noto
alle cronache e alla magistratura, da cinque anni presidente onorario di
Fondiaria-Sai, gruppo assicurativo del panorama finanziario nazionale e
storico proprietario di un significativo patrimonio immobiliare, aree di
Castello comprese. Il terreno a nord-ovest di Firenze, adiacente alla città
e sbocco naturale verso la collina e la pianura, è un “vuoto” appetibile
e raro che ha un ruolo strategico per il futuro assetto dell’area metropolitana.
Da qui si arriva direttamente alla “questione morale”: se all’inizio degli
anni ottanta Berlinguer ne parlava riferendosi alla Democrazia cristiana,
nel giugno del 1989 Achille Occhetto, segretario nazionale del Partito
comunista, intervenne personalmente, con una telefonata notturna, nella
politica comunale del Pci fiorentino e bloccò l’approvazione del
progetto proprio per la zona di Castello. Perciò quando nelle cronache
di vent’anni dopo si parla di “questione morale” per le vicende fiorentine,
ci troviamo semplicemente nell’esasperazione, ma in perfetta continuità,
di un intreccio tra poteri che dura da decenni. Dalle intercettazioni telefoniche
è evidente che il sindaco Domenici, per niente inibito dal proprio
ruolo di garante istituzionale, ben consapevole che la proposta di costruzione
di uno stadio-cittadella, avanzata con forza dai Della Valle (proprietari
della Fiorentina), è una grande occasione sia di valorizzazione
delle aree della Fondiaria, sia di consenso cittadino, si adopera da grande
manovratore senza considerare le regole, ma in linea con la prassi dell’occupazione
dei poteri.
In questo panorama di inchieste si sono consumate le primarie per il
candidato del centrosinistra, che hanno visto trionfare Matteo Renzi. Il
trentaquattrenne presidente della provincia di Firenze ci aiuta a capire
in che cosa si concretizza la politica del Partito democratico quando in
effetti prova a sparigliare le carte in tavola. Se osservando Domenici
o Cioni, Vannino Chiti o Claudio Martini, D’Alema o Veltroni, prima di
tutto appare l’ex comunista, soffermandosi con attenzione su Renzi non
si vede l’ex margheritino rutelliano (che però c’è), ma un
giovane tifoso della Fiorentina, un “assessore al calcio”, un amministratore
capace di dichiarazioni quali “nei primi giorni di mandato il prossimo
sindaco di Firenze dovrà impegnarsi a sciogliere definitivamente
il nodo del nuovo stadio con un patto bipartisan perché la Fiorentina
non è nera né rossa, ma Viola, e in una città sempre
divisa tra guelfi e ghibellini la squadra rappresenta l’unione”. Per Renzi
lo stadio è una grande occasione per la città e questo trova
Firenze in perfetta linea con la politica del centro commerciale-stadio
che viene attuata da Torino a Milano, da Genova a Siena, da Cagliari a
Palermo, e per finire ai due stadi per la Roma e la Lazio annunciati a
marzo da Alemanno.
Tutto cambia ma niente cambia: anzi, Renzi è il giovane pragmatico
ammantato di nuovo a cui andava spianata la strada, è il cattolico
per cui il diverso da me è necessariamente oggetto di assistenza,
fede, speranza e carità, ma guai se diventa libero. Renzi è
un conservatore sui temi etici e non ha i sensi di colpa della classe dirigente
che lo ha preceduto. Quando ostenta i propri no a Berlusconi è sincero
perché ne è generazionalmente distante, ma nella persuasione
morale abbiamo davanti lo stesso animale politico fatto di ambizione irriverenza
spregiudicatezza con in più una forte impronta clericale. Il laboratorio
del centrosinistra ha finalmente prodotto un risultato vincente: Renzi
è lo spregiudicato che senza timore battezza Franceschini “vice-disastro”.
Altra certezza è che con Renzi non si concretizza nessuna rivoluzione,
visto che la sua candidatura alla presidenza della provincia è frutto
di un accordo fra Ds e Margherita nel 2004; quello che spaventa del sindaco
in pectore di Firenze non sono la sua biografia, la vicinanza ai poteri
forti o la corrispondenza con le scelte di Domenici e del presidente della
Regione Claudio Martini sull’Alta velocità, ma la determinazione
quasi fanatica, il pragmatismo di facciata, la certezza del giusto. La
sua risolutezza non è costruita a tavolino: come i veri conservatori
crede veramente in quello che dice, come i riformisti d’assalto pensa che
tutto sia plasmabile. Renzi, per adesso, è limpido ma fazioso, accanito
nella conferma di se stesso. Non prova nessun imbarazzo a dichiarare nella
propria presentazione sul suo sito ufficiale che il suo sogno è
essere centravanti della Fiorentina, a cantarne quasi per intero e con
soddisfazione l’inno, a chiedere più spazio in televisione per la
sua squadra del cuore. Non ha nessun tipo di scrupolo perché Renzi
è esattamente questo, non deve improvvisarsi e perciò piace
a Firenze.
La destra l’ha capito e oscilla, in attesa della scelta del capo Berlusconi,
tra due possibilità: la candidatura a sindaco di Giovanni Galli,
portiere della Fiorentina nei lontani anni ottanta (ed estremo difensore
del primo Milan berlusconiano), contrapponendo così al tifoso l’ex-giocatore
(secondo il vincente modello antropologico di questi anni: populismo, un
po’ di calcio, pane e circo, e in carenza di pane insistere con il circo).
L’alternativa è la ricerca di un cattolico convinto, ben organico
al Popolo della Libertà con pacchetti di voti sicuri, ma che di
fatto non insidierà il candidato del Pd (a meno di una discesa in
campo dello stesso Berlusconi): Renzi, che a sinistra è garantito
dall’alleanza con Graziano Cioni, raccoglie già il consenso di tutti
e racchiude in sé il cattolico, il politico organico e il tifoso.
La priorità dei poteri è creare entusiasmo per la “politica
degli stadi” come risposta alla disgregazione e all’imbarbarimento della
società italiana, essere i mezzadri della coltivazione di consenso
politico, amministratori della città che si abbrutisce nei recinti
del consumo e dell’aggressività. Il controllo sociale ha finalmente
un terreno neutro dove poter fare esercizio delle proprie possibilità
muscolari; rassicura e compiace la maggioranza propugnando una retorica
che esclude minoranze e diversità che rispondono ad altri codici.
Firenze dunque si presenta come l’ennesimo specchio di un’Italia segnata
dall’impoverimento culturale e dalla costruzione o dall’ammodernamento
del proprio piccolo, cittadino e particulare “circo massimo”, meno efferato,
ma potentemente straniante dal quotidiano. L’Italia degli stadi è
il farsi di un sogno in cui viene “pacificata” la dialettica e coltivata
la valvola di sfogo, il vivere da acefali/senza complessità/bidimensionali:
calcio e centri commerciali.