Serge Quadruppani, http://www.carmillaonline.com/, 22 marzo 2011
Non condivido l'interpretazione dietrologica delle rivoluzioni arabe.
Quella tunisina e quella egiziana non sono rivoluzioni controllate dagli
Stati Uniti. Della Tunisia gli americani se ne infischiano, e se fossero
stati in grado di controllare una rivoluzione in Egitto, per affidare il
potere all'esercito avrebbero potuto molto più semplicemente far
deporre direttamente Mubarak dall'esercito, senza passare da piazza Tahir.
Mi pare un grosso sbaglio non riconoscere l'irruzione della novità
nella Storia, e vedere sempre complotti dietro i movimenti popolari, vedere
sempre la mano dell'America e dell'Occidente dietro tutti gli eventi. L'America
non è più il Grande Satana di una volta, ha un sacco di guai,
ci sono altre potenze in ascesa - tra cui Cina e Russia - mentre l'America
è irrimediabilmente in discesa, coi freni rotti fin dalla crisi
dei fondi Subprimes.
Con le rivoluzioni arabe (che non sono finite) stiamo vivendo un "anti
11 settembre", cioè un momento di apertura all'iniziativa dal basso.
Che l'Occidente e tutte le potenze del mondo stiano cercando di controllare
questo momento è ovvio (benché non significhi che ci stiano
riuscendo). Che questo momento adesso sia minacciato dall'intervento delle
potenze occidentali (col buffone Sarkozy sciabola in mano) è altrettanto
ovvio.
L'intervento internazionale è una sconfitta della rivoluzione
libica, perché gli insorti hanno dovuto chiedere protezione (cosa
che non avevano fatto le prime settimane) a quegli stessi poteri internazionali
che fino a ieri con Gheddafi avevano trafficato petrolio e contenimento
dei migranti.
Di certo non è bello, come non sarebbe bello per me, che odio
la polizia in generale e i poliziotti in particolare, chiedere aiuto ai
poliziotti se fossi aggredito per strada da un pazzo armato, ma lo farei
lo stesso.
In questo momento cosi complesso però, limitarsi a vedere soltanto
la mano dei potenti, sempre e dappertutto, sarebbe vetero antimperialismo
anni 70 che si rifiuta di cogliere i cambiamenti in corso ormai da decenni,
tra cui il tramonto lento ma sicuro dell'America.