Sabina Petrucci*, "il manifesto", 7 febbraio 2009
Protezionismo, razzismo, liberismo. Ognuno usa la sua per far finta
di interpretare la vicenda del Lincolnshire, dove i lavoratori inglesi
si sono in mobilitati contro la decisione di un'azienda italiana di utilizzare
lavoratori di altri paesi e hanno strappato un buon risultato. Qualcuno
parla di guerra tra poveri, ma in questo caso chi sono i poveri?
Quello di Grimsby è un classico conflitto sul lavoro e non per
il lavoro, perché è un conflitto sui diritti. La responsabilità
assoluta è in quel potere politico che oggi grida allo scandalo
e che per anni in Europa e nei vari paesi ha proceduto ad abbassare ed
eliminare i diritti sul lavoro e peggiorare le condizioni di lavoro di
tutti e di tutte, sostenuto dalle lobby industriali stranamente assenti
in questa discussione. Per primo il governo Britannico, che ogni volta
si discute di tenere o migliorare un aspetto della prestazione lavorativa
o diritti pone veti o chiede l'esclusione, seguito a ruota dal governo
Berlusconi. Gordon Brown ripropone a Davos ricette per uscire dalla crisi
identiche a quelle che ci hanno fatto precipitare nella crisi più
grave. Sbraita contro il proibizionismo, dopo aver statalizzato le più
grandi banche e senza aver dato risposte i milioni di disoccupati privi
di ammortizzatori sociali. Nessun cambiamento delle leggi antilavoriste
e antisindacali, con una struttura industriale non autonoma, contoterzista
(oggi molte multinazionali, anche italiane, tagliano occupazione negli
stabilimenti inglesi). Non sorprende che la vicenda di Grimsby sia scoppiata
spontaneamente, saltando i sindacati.
Veniamo alla solita Italietta. I politici italiani si sentono leggittimati
a sparare stupidità: dichiarazioni che prevedono la messa in discussione
dell'Ue, i leghisti sostengono i lavoratori inglesi per un puro calcolo
razzista, visto che la Lega vota con il governo italiano le direttive europee
che hanno aiutato questa situazione. Desolante il silenzio della sinistra,
ormai incapace di qualsiasi giudizio sulle questioni di lavoro. Sacconi
parla di libera circolazione dei lavoratori, quando la questione riguarda
i diritti dei lavoratori. Nessuno ha sentito il dovere di chiedere informazioni
all'azienda italiana: quanti i lavoratori coinvolti? Quanti italiani? Quali
le condizioni di lavoro concordate a livello individuale, visto che l'azienda
non è sindacalizzata?
E ancora: cosa sta usando l'azienda in questo appalto: la direttiva
distacco? Il contratto dei metalmeccanici italiano? Le condizioni contrattuali
inglesi? L'azienda dichiara di utilizzare lavoratori «europei»
su base permanente, 2500 dalle dichiarazioni del vicepresidente. Da quali
paesi vengono? Con quali contratti? Certo è che si volevano utilizzare
lavoratori non sindacalizzati escludendo quelli sindacalizzati (gli inglesi).
Cosa accadrebbe in Italia se un'azienda straniera si comportasse come la
Irem? L'atteggiamento sarebbe valutato antisindacale, non si capisce perché
dovrebbe essere considerato legittimo in Inghilterra o in un altro paese.
Prima ancora che un problema per i lavoratori inglesi ce n'è
uno per gli italiani: la deregolamentazione e la svalorizzazione del lavoro
ha portato a situazioni del tutto oscure. Per questo la Fiom di Siracusa
ha chiesto un incontro urgente con la locale associazione industriali.
Innanzitutto cerchiamo di capire se ci sono anche nostre responsabilità.
E non si venga a parlare di forme di razzismo. La classe dirigente
italiana, grazie alla sua campagna sulla sicurezza ha reso questo paese
tra i più insicuri, con le leggi più razziste dell'Europa
terremotando la tenuta sociale. Non siamo nelle condizioni di dare lezioni
ad altri. Dobbiamo rimettere in circolo le persone e la possibilità
di riscatto per milioni di lavoratori e lavoratrici europei. Con un sindacato
europeo senza diritto di sciopero spetta a noi, individualmente e collettivamente
assumerci questa responsabilità. Lo sciopero del 13 febbraio di
Fiom e Funzione pubblica ci prova.
* responsabile Europa Fiom